Ormai lo smart working è entrato a far parte delle nostre vite, con la maggior parte dei lavoratori che sono sottoposti a questo nuovo “regime” per via delle restrizioni anti-Covid e delle misure per limitare il contagio, anche e soprattutto sul luogo di lavoro. Ma siamo sicuri che questo sia il vero “lavoro agile”?
Fare smart working non significa semplicemente “lavorare da casa”: con il diffondersi del Coronavirus, tutto il mondo ha dovuto avere a che fare con questo concetto e cambiare il modo in cui siamo sempre stati abituati a lavorare, ma c’è ancora molta confusione su cosa sia davvero il “lavoro agile”.
È molto importante quindi fare chiarezza e porre una netta linea di separazione tra smart working e telelavoro, due modalità di lavoro da casa completamente diverse e che non devono essere confuse. Lo smart working, d’altronde, sopravvivrà al Covid-19: una volta terminata l’emergenza sanitaria, infatti, saranno ben 5,35 milioni i lavoratori che continueranno a svolgere le proprie attività in remoto.
La speranza è quindi che le aziende definiscano meglio le regole dello smart working, in modo tale da limitarne i disagi per il lavoratore, che ha diritto ad essere dotato di strumenti per svolgere le sue attività, alla formazione per l’alfabetizzazione digitale e ad essere disconnesso per riuscire a bilanciare meglio lavoro e vita privata. Ma quali sono le “regole” di un vero smart working, che definiscono i diritti del dipendente e i doveri del datore di lavoro?
Smart working: il vero significato di “lavoro agile”
Lo Smart Working, o Lavoro Agile, è una nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta di spazi, orari e strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati. Un nuovo approccio al modo di lavorare e collaborare all’interno di un’azienda che si basa su quattro pilastri fondamentali:
- revisione della cultura organizzativa
- flessibilità rispetto a orari e luoghi di lavoro
- dotazione tecnologica e spazi fisici
Lo smart working, come anticipato, non è telelavoro. Se infatti quest’ultimo si configura come una vera e propria forma contrattuale, lo Smart Working o Lavoro Agile rappresenta un accordo tra lavoratore e organizzazione all’interno del rapporto di lavoro subordinato. C’è una netta differenza in termini di flessibilità e autonomia. Nello Smart Working, luoghi e orari di lavoro sono scelti liberamente dal lavoratore, mentre il telelavoro impone regole piuttosto rigide in questo senso. Regole che sono prestabilite e che rispecchiano lo stesso assetto organizzativo utilizzato sul luogo di lavoro.
Smart working: qual è la normativa di riferimento?
A dare una definizione normativa allo smart working ci ha pensato la Legge n.81 del 22 maggio 2017, che definisce tutti gli aspetti giuridici del lavoro da remoto: diritti e doveri dello smart worker, controllo da parte del datore di lavoro, strumenti e modalità dell’attività lavorativa.
Il numero di smart worker in Italia, già in crescita negli ultimi anni, è esploso con l’avvento della pandemia. Se nel 2018 a lavorare con questa modalità erano solo 480mila persone, divenute 570mila nel 2019 (+15%), nel 2020 i lavoratori “agili” sono arrivati a quota 6,58 milioni, con un aumento esponenziale del +1.050%. Il fenomeno, in generale, ha coinvolto il 97% delle aziende, il 94% delle pubbliche amministrazioni italiane e il 58% delle Piccole e Medie Imprese.
Lo smart working ha evidenziato l’impreparazione tecnologica delle aziende (due su tre hanno avuto problemi nel dotare i dipendenti degli strumenti necessari), ma ha anche contribuito a migliorare le competenze digitali dei dipendenti (per il 71% delle grandi imprese e il 53% delle PA).
Il 29% dei lavoratori ha però incontrato difficoltà a separare il tempo del lavoro e quello privato e a mantenere un equilibrio fra i due aspetti.
Affinché si parli di vero smart working, il lavoratore deve essere dotato di tecnologie digitali che rendano “virtuale” lo spazio di lavoro. Deve essere creato un digital workplace in cui comunicazione, collaborazione e socializzazione siano indipendenti da orari e luoghi di lavoro.
Il datore di lavoro deve quindi agire sullo sviluppo di competenze digitali che siano trasversali rispetto al profilo professionale di ciascuno, soprattutto al fine di garantire l’employability delle persone nel medio lungo periodo. Fondamentale anche l’impostazione di un tipo di organizzazione capace di generare autonomia e responsabilità nelle persone, riconoscerne il merito e sviluppare il loro talento e il loro engagement verso innovazione e cambiamento.
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La legge, inoltre, obbliga a predisporre un accordo scritto con cui sono stabilite le modalità di lavoro agile, con i seguenti contenuti minimi:
- luogo di svolgimento dell’attività, modalità di svolgimento, disciplina riguardo la privacy
- forme e limiti del potere direttivo e di controllo del datore di lavoro
- indicazione degli strumenti che il lavoratore deve utilizzare
- individuazione dell’orario di lavoro e delle fasce di disponibilità
- indicazione delle misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare il diritto alla disconnessione del lavoratore
Per quanto riguarda infine lo stipendio, a parità di mansioni, la retribuzione dell’impiegato in smart working è la stessa del dipendente che compie la sua prestazione lavorativa secondo la modalità “tradizionale”.
Smart working, le differenze con il telelavoro
Come anticipato, nonostante i due termini tendono a confondersi esiste una netta differenza tra smart working e telelavoro relativa in particolare a sede e orario di lavoro. Se per quanto riguarda il “lavoro agile” non esistono vincoli a livello di spazi e orari e l’organizzazione avviene per fasi, cicli e obiettivi – ed è stabilita con un accordo tra dipendente e datore di lavoro – nel telelavoro il lavoratore ha semplicemente una postazione fissa che però si trova in un luogo diverso da quello dell’azienda.
Il concetto di “smart”, quindi, sta tutto nella possibilità di riuscire a rendere il lavoratore più produttivo lasciandolo libero di conciliare vita privata e attività lavorativa. La flessibilità, infatti, è uno dei punti cardine dello smart working e non del telelavoro, soggetto a una maggiore rigidità sia sul piano “spaziale” che su quello “temporale”.