Durante il lockdown 6,5 milioni di lavoratori sono stati sottoposti al regime di smart working. Oggi, con la pandemia ancora in corso, sono 5 milioni e un domani il numero di “lavoratori agili” non si abbasserà così tanto. Motivo per cui è necessario iniziare a pensare in prospettiva e rendere concreti i necessari aggiustamenti al fine di rendere questa modalità di lavoro davvero smart. In 13 Contratti collettivi nazionali, infatti, hanno iniziato ad essere inserite delle regole ben precise riguardanti lo smart working. Quali?
Da soluzione emergenziale a prassi consolidata: lo smart working, pandemia o non pandemia, sembra ormai entrato a far parte della nostra routine lavorativa quotidiana e che dovremo fare i conti con questa modalità anche nel prossimo futuro – con l’augurio che, superata l’emergenza sanitaria, il lavoro agile lo diventi ancora e sempre di più.
In questi ultimi mesi, infatti, il settore pubblico e quello privato hanno cercato di organizzarsi nel miglior modo possibile, ma in tanti casi sono stati trascurati i diritti dei lavoratori e l’agilità del lavoro da casa si è spesso tradotta in disorganizzazione e mancanza di regole precise che mettessero il lavoratore nelle migliori condizioni per svolgere le sue attività. Lo smart working, nello specifico, nel nostro Paese regolato dalla Legge n.81 del 22 maggio 2017, rientra infatti in una filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta di spazi, orari e strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati. La diffusione del Covid 19 e il rapido aumentare dei contagi nel corso del 2020 non ha purtroppo permesso alle aziende e a tutti gli altri luoghi di lavoro di avere il tempo necessario per strutturare un’organizzazione delle attività che non arrecasse disagi ai dipendenti e, nonostante con il passare dei mesi le cose siano complessivamente migliorate, ci sono ancora delle situazioni in cui lo smart working assomiglia più ad una forma – decisamente disorganizzata – di telelavoro.
Diversi sono stati, infatti, gli appelli dei sindacati e della politica affinché i lavoratori, nelle loro case, fossero dotati delle strumentazioni più adatte a svolgere le proprie attività e supportati con misure economiche ad hoc per non doversi caricare sulle spalle costi in precedenza sostenuti dal datore di lavoro (come quelli legati al consumo elettrico o alla connessione Internet). Poi c’è la questione legata ai limiti dell’orario di lavoro, spesso, troppo spesso non tenuti in conto proprio da questi ultimi e sfuggiti di mano, di conseguenza, anche ai lavoratori che si sono ritrovati a dover invocare un diritto alla disconnessione – viste anche, con l’arrivo congiunto della Dad, le nuove difficoltà legate al work life balance in famiglia.
Per tale ragione in 13 Contratti collettivi nazionali – Ccnl (5 sui 10 rinnovati nel 2021 e 8 sui 22 rinnovati nel 2020) – secondo i risultati di un monitoraggio operato da Il Sole 24 Ore in collaborazione con Adapt e il Politecnico di Milano – hanno iniziato ad essere inserite delle regole ben precise per poter rendere il lavoro agile “più agile”, in una prospettiva di lungo termine. Parliamo ad esempio dei contratti dei settori dell’industria alimentare, bancario, assicurativo o delle telecomunicazioni. Una serie di nodi, relativi soprattutto alle fasce di reperibilità di un lavoratore, quindi ai limiti dell’impegno orario, alla dotazione tecnologica e alla sede effettiva di lavoro, iniziano ad essere sciolti, ma c’è ancora tanta strada da fare.
Smart working, cosa sta cambiando?
Secondo quanto dicono i dati, sono 6,5 milioni i lavoratori che da quando è iniziata la pandemia hanno avuto a che fare con lo smart working e molti di questi – circa 5 milioni – continuano a svolgere le proprie attività da casa o da altri luoghi. Una volta terminata l’emergenza, però, secondo il parere di molti questo il lavoro agile non sarà un capitolo da archiviare: nonostante alcuni la abbiano vissuta come una brutta esperienza, altri non tornerebbero ogni giorno in ufficio e, anzi, hanno apprezzato questa modalità di lavoro che, se ben strutturata, lascia alle persone margini decisamente più ampi di autonomia. “In futuro prevediamo che un terzo dei lavoratori dipendenti saranno interessati dalle nuove modalità di organizzazione del lavoro, almeno per alcuni giorni alla settimana”, ha infatti riferito al Sole 24 Ore Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio sullo smart working del Politecnico di Milano.
È proprio per questa ragione che i contratti collettivi nazionali iniziano a prevedere, al loro interno, degli articoli che tutelino il lavoratore in “modalità agile”. Al momento si tratta più che altro di linee guida generali, ma che fissano tuttavia dei paletti importanti, mentre per tante questioni specifiche i Ccnl rimandano comunque ai contratti aziendali/individuali. Vediamo qui di seguito, intanto, a cosa fanno riferimento queste linee guida.
Sede di lavoro
Secondo i Ccnl, questa deve assicurare l’assoluta segretezza delle informazioni aziendali. Nel settore bancario, ad esempio, la sede pubblica è vietata e le regole prevedono che il luogo di lavoro diverso dal domicilio debba essere autorizzato.
Limiti di impegno orario e frequenza
Alcuni contratti prevedono delle fasce e la condizione che almeno una parte della prestazione lavorativa (pari al 50%)si svolga tra le 9 e le 18. La frequenza deve essere stabilita sulla base di settori e mansioni.
Smart working, le regole sulla dotazione tecnologica
Gli strumenti per lo svolgimento del lavoro dovranno essere garantiti dall’azienda, come anche la loro manutenzione.
Disconnessione
Alcuni contratti prevedono il diritto per il lavoratore di non rispondere alle mail o alle telefonate
che arrivano dopo la fine dell’orario di lavoro (o in caso di assenza giustificata). Altri vietano la convocazione di riunioni durante la pausa pranzo o dopo le 18.
Formazione
I Cnnl inizieranno a prevedere dei percorsi formativi ad hoc per gli smart workers.
Welfare
I Ccnl inizieranno a prevedere delle misure economiche si sostegno o degli strumenti
di welfare per l’attività di lavoro a distanza.
Categorie con priorità
Nel caso in cui le aziende dovessero selezionare le domande per lo smart working, la priorità dovrà essere data ai genitori unici con figli a carico under 14 o disabili, a coloro che hanno situazioni familiari complesse o abitano distante dalla sede di lavoro.