Dopo le Grandi Dimissioni, negli Stati Uniti sembra essere arrivata la fase del ‘Grande Ripensamento’: in tanti di quelli che hanno lasciato il proprio impiego per diverse ragioni, ora non sembrano più così convinti di quella scelta. I rimpianti per quanto riguarda le scelte professionali, però, possono essere un freno per la nostra crescita personale e per la carriera
Mai come in questo periodo abbiamo piena percezione dello scorrere del tempo: la pandemia, la guerra in Ucraina, la crisi economica e quella energetica sono diventati, da ormai due anni, la nostra quotidianità e tutti questi sconvolgimenti storici e sociali avvengono in un momento in cui non siamo mai stati così connessi. In media, infatti, utilizziamo almeno tre social network diversi a testa e la nostra, come le vite degli altri, sono sempre sotto i nostri occhi. Il confronto continuo tra i nostri follower e la nostra vita ci porta a un’autocritica costante, unita a una sensazione che gli inglesi chiamano F.O.M.O., acronimo di Fear of Missing Out, cioè la paura di “perdersi esperienze piacevoli e gratificanti” o di sprecare la propria vita o il proprio tempo.
Sarebbe sciocco non riflettere sull’influenza che questa paura, figlia dell’epoca dell’iper-connessione, ha sulle nostre decisioni, private e professionali, ma anche sul giudizio che diamo alle scelte che abbiamo preso in passato, diventato per molti impietoso. E, secondo quanto rivela una ricerca condotta negli USA da CNBC, il 47% dei Millennials rimpiange le proprie scelte professionali. In particolar modo, tanti si pentono di aver accettato un lavoro frustrante esclusivamente per denaro.
Grandi Dimissioni: e se poi te ne penti?
Come abbiamo già raccontato, quella dei Millennials è una generazione particolarmente sfortunata, investita da crisi continue e costantemente dimenticata dalla politica. La Gen Y, inoltre, fatica a reggere il confronto sia con i genitori – generalmente Baby Boomers, quindi persone per cui è stato mediamente più semplice raggiungere la stabilità economica, comprare una casa e metter su famiglia – sia con i giovanissimi della Gen Z, i nativi digitali che oggi hanno a disposizione molti mezzi per raggiungere i propri obiettivi e che sono generalmente meno disposti a scendere a compromessi.
Proprio questo desiderio di rivalsa ha generato un fenomeno ormai noto a tutti come Great Resignation, o Grandi Dimissioni: secondo un sondaggio condotto dalla piattaforma Joblist negli Usa, sono in molti ad essersi pentiti della scelta di lasciare il lavoro e circa un (ex) lavoratore su quattro non rassegnerebbe di nuovo le dimissioni.
Il post pandemia, soprattutto in rete, è stato idealizzato come il momento in cui, temprati dalla tragedia globale che abbiamo attraversato, avremmo riscoperto noi stessi e mai più messo il lavoro davanti al nostro benessere. Eppure, la realtà è più complessa di un post su Instagram: lasciare il lavoro significa doverne cercare un altro, e il 40% degli intervistati da Joblist ha dichiarato di essersi trovato alle prese con un mercato del lavoro ben più difficile di quanto si aspettasse; per chi riesce a trovare un nuovo impiego, poi, c’è il confronto con le aspettative, spesso troppo alte: il 42% ammette di essersi pentito perché il nuovo lavoro si è rivelato peggiore del vecchio.
La trappola della Yolo Economy
Spostando lo sguardo sull’Italia, sembra che il “Grande Ripensamento” non abbia le stesse dimensioni degli Stati Uniti, eppure qualcosa si muove anche qui: una ricerca di Hunters Group, società di selezione del personale, su un campione di 1000 lavoratori che si sono dimessi nel periodo della pandemia, rileva che il 32% degli intervistati si ritiene poco o per nulla soddisfatto del cambio di lavoro e il 29% sarebbe addirittura disposto a tornare sui suoi passi.
Inoltre, la ricerca di Hunters Group sembra confermare che in molti si siano lasciati trasportare dalle promesse della cosiddetta Yolo economy, dove Yolo è acronimo di “You Only Live Once” (Si vive una volta sola). Sotto questo punto di vista, non è consigliabile “romanticizzare” una decisione che invece richiederebbe prudenza, attenzione e uno sguardo responsabile sul futuro.
Ripensare alle nostre scelte è un comportamento perfettamente umano: “come sarebbe andata se?” è una domanda che tutti ci siamo posti almeno una volta nella vita. E i rimpianti, piccoli e grandi, sono parte del nostro bagaglio di esperienze. Eppure, indugiare nel rimpianto può farci perdere di vista il presente e, soprattutto, influenzare negativamente le scelte che dobbiamo ancora prendere.
Come gestire il rimpianto sul lavoro?
Non è affatto vero che “il passato è passato” e va lasciato indietro. O meglio, ciò che siamo è determinato dalle nostre scelte ed è per questo che dobbiamo ascoltare i nostri rimpianti, perché possono dirci tanto su noi stessi e su ciò che desideriamo per il futuro. Ma il rimuginare troppo sul passato, mettendo in discussione ogni nostra scelta, diventa controproducente.
Sebbene in questo campo i consigli possono sembrare dei banali cliché, ci sono almeno due atteggiamenti mentali che possono aiutarci a non vivere costantemente nel rimpianto. Il primo è la disconnessione: vivere costantemente confrontando le nostre vite con quelle di amici, conoscenti o influencer ci fa dimenticare che su Internet ognuno di noi mostra una parte di sé accuratamente selezionata. Imparare a gestire il nostro rapporto con i social network e ripensare il modo in cui ci lasciamo influenzare da ciò che vediamo o leggiamo online può renderci più “impermeabili” a frustrazioni spesso autoindotte.
Il secondo è invertire la prospettiva: ogni scelta compiuta nel nostro percorso, professionale o privato, ha prodotto delle conseguenze, sia negative che positive. La nostra attenzione spesso viene catturata da ciò che va male, ma sarebbe opportuno ricordare anche ciò che di buono è derivato dalle nostre decisioni. Per esempio, potremmo aver incontrato il nostro partner proprio in quella facoltà universitaria che non faremmo più “se potessimo tornare indietro”, oppure potremmo esserci incrociati con persone decisive per la nostra carriera in luoghi dai quali volevamo scappare e dove ci siamo pentiti di essere stati tanto tempo.
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