Secondo l’ultimo rapporto dell’Agenas di ottobre 2022, in Italia c’è carenza di infermieri, mentre di medici ce ne sono a sufficienza. A eccezione dei medici di base, che sono anche loro sotto organico, un problema comune a tutta la Ue. Lo studio fa luce sulla copertura delle figure sanitarie in Italia, e rileva come l’emergenza pandemica non abbia apportato nessun miglioramento
Quattro medici ogni mille abitanti, contro i 3,17 della Francia e i 3,03 del Regno Unito. Stando al rapporto dell’Agenas (Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali) pubblicato a ottobre dal titolo ‘Il personale del servizio sanitario nazionale’, l’Italia non soffre al momento alcuna carenza di medici. Al contrario, a subire una grave mancanza di organico sono gli infermieri, “con un tasso molto inferiore alla media europea” si legge nello studio. “Nel 2020 nel nostro paese operavano 6,2 infermieri per mille abitanti, contro i 18 di Svizzera e Norvegia, gli 11 della Francia, i 13 della Germania e gli 8,2 del Regno Unito”. Il numero dei medici sarebbe in sostanza, secondo il rapporto, “congruo” , mentre quello degli infermieri “insufficiente”. L’Italia è oltretutto al quart’ultimo posto tra i paesi Ocse per numero di posti a disposizione negli atenei per la laurea in Infermieristica. Dietro di noi solo Messico, Colombia e Lussemburgo.
Non ci sono infermieri ma neppure medici di base, mestiere poco attrattivo
Vero è che a mancare in ambito medico sono sì alcune figure specialistiche, in particolare i medici di base, che dal 2019 al 2021 si sono ridotti di 2178 unità. Con loro anche i pediatri di libera scelta, calati in numero di 386, certifica il rapporto Agenas. Ma in questo caso non sarebbe il numero complessivo del personale a non coprire le esigenze del paese, bensì la scarsa presenza nelle aree a bassa densità abitativa o in condizioni geografiche disagiate. La media nazionale è infatti di 1.224 medici di base, con il valore più alto che si registra al Nord (1.326), rispetto al Centro (1.159) e al Sud (1.102). In particolare, sottolinea l’Agenas, le regioni con il maggior numero di assistiti per medico di medicina generale sono Trentino-Alto Adige (1.454), Lombardia (1.408) e Veneto (1.365); mentre in coda ci sono Calabria (1.055), Basilicata (1.052) e Umbria (1.049).
In sofferenza le zone più isolate
Il rapporto mette in luce anche “la forte disomogeneità di distribuzione degli assistiti per medico esistente fra le aree metropolitane e le aree a bassa densità di popolazione come le aree rurali, le comunità montane e le isole”. Un problema, quello dei medici di base, che vivono sulla propria pelle anche gli altri paesi Ue perché – si legge ancora nel rapporto – “risulta sempre più difficile attrarre un numero di laureati in medicina sufficiente a ricoprire i posti disponibili per la medicina generale”. Le motivazioni “sembrerebbero legate alla retribuzione e al basso livello di prestigio percepito del ruolo”. Il contesto di insufficiente copertura, sia in fatto di infermieri che di medici di base, era già presente prima della pandemia, e a seguito dei provvedimenti adottati sulla scorta dell’emergenza Covid non ha visto “significative correzioni”, segnala l’Agenas.
L’allarme del sindacato sulla carenza di infermieri
A fare da eco è l’Uls, il sindacato dei lavoratori della sanità. “Dopo anni scellerati di blocco delle assunzioni solo l’improvviso aumento del fabbisogno di personale (medici, infermieri e altro), determinato dalla emergenza pandemica, ha accelerato le dinamiche già messe in atto dal cosiddetto Decreto Calabria”, scrivono nel comunicato Anna Rita Amato e Antonino Gentile del direttivo nazionale Uls in risposta al rapporto Agenas. Il Decreto Calabria era infatti entrato in vigore prima che scoppiasse l’emergenza pandemica, ad aprile 2019. Il provvedimento commissariava in toto la sanità calabrese, prevedendo anche norme di interesse nazionale per la sanità: dal nuovo tetto di spesa per il personale del Servizio sanitario nazionale alla formazione, dall’apertura delle procedure concorsuali per l’accesso alla dirigenza ai medici in formazione specialistica fino ai medici veterinari iscritti all’ultimo anno, alla medicina generale ed alla carenza di farmaci.
Personale sanitario sempre più precario
La Uls denuncia che “delle 83mila assunzioni legate alle esigenze derivanti dall’emergenza Covid-19 solo 17mila sono state a tempo indeterminato; i restanti 66mila risultano essere stati assunti con contratti flessibili”. Nessuna soluzione definitiva dunque, ma al contrario soluzioni sempre più all’insegna della precarietà, scrivono i sindacalisti, definendo il tutto “esempio plastico e imbarazzante della volontà di non potenziare concretamente il Servizio sanitario nazionale”.
L’organico, peraltro, era già in sofferenza perché – si legge nel report Agenas – “tra il 2012 e il 2017, il personale (sanitario, tecnico, professionale e amministrativo) dipendente a tempo indeterminato in servizio presso le Asl, le aziende ospedaliere, quelle universitarie e gli IRCCS pubblici è passato da 653mila a 626mila unità, con una flessione di poco meno di 27 mila unità (4%). Di pari passo crescevano gli impieghi precari: “Nello stesso periodo il ricorso a personale con un profilo di impiego flessibile è cresciuto di 11.500 unità, riuscendo solo in parte a compensare questo calo”.
Il nuovo governo dovrà cambiare passo
Secondo i calcoli Uls a mancare sono “26.850 infermieri se si considera lo standard previsto dalla riforma dell’assistenza territoriale contenuta nel DM 77/2022”, norma che individua un nuovo modello di riorganizzazione territoriale. La richiesta al nuovo governo è dunque “che si appunti da subito un cambio di passo a favore della Sanità, garantendo maggiori risorse economiche, sbloccando i concorsi per acquisire personale infermieristico a tempo indeterminato, aumentando concretamente i salari dei lavoratori e non come le elemosine degli scorsi rinnovi contrattuali del pubblico e del privato”.
I bisogni assistenziali della popolazione, redarguisce l’Agenas, vanno assicurati con livelli di assistenza definiti dal legislatore attraverso un’attenta pianificazione. Si tratta di una “leva strategica”, evidenzia, chiamata a considerare attentamente “la proiezione futura della disponibilità di medici e infermieri per adottare tempestivamente un sistema di incentivi e disincentivi in grado di influire sullo specifico settore occupazionale”.
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