Il nuovo Reddito di cittadinanza, Mia (Misura di inclusione attiva), è ancora in via di definizione. Ma il sussidio cambierà davvero? Secondo l’avvocato giuslavorista Giampiero Falasca si andrà solo verso una riduzione di platea e importi. Senza significative modifiche al meccanismo, le cui fondamenta resteranno in piedi.
“Tutto deve cambiare perché tutto resti come prima”: la nota citazione del Gattopardo descrive l’usanza di fingere riforme e cambiamenti con lo scopo opposto, cioè quello di lasciare le cose come stanno. È il caso del Reddito di cittadinanza, che a partire da settembre 2023 cambierà la sua struttura, sia nella forma che nella sostanza. Come? I dettagli ancora non si conoscono, ma stando alle anticipazioni sulla bozza di riforma di tutto si tratterà fuorché di una rivoluzione. “L’impianto fondamentale resta lo stesso” spiega a Dealogando Giampiero Falasca, avvocato dello studio Dla Piper. Ed è a suo dire l’errore che il Reddito di cittadinanza si porta dietro dall’inizio: quello cioè “di essere configurato come una misura spuria, un po’ assistenziale e un po’ di politica attiva”. Le due cose “andrebbero separate”. In questo modo invece, ragiona Falasca, si dà “lo stesso trattamento a occupabili e non occupabili”.
La nuova Mia dividerà tra occupabili e non
La misura avrà un nuovo nome (Mia, Misura di inclusione attiva) e vedrà una divisione in due delle categorie di beneficiari, gli occupabili e i non occupabili. Che però era già presente, in forma diversa, nella prima versione del Reddito di cittadinanza. Non occupabili diventeranno ad esempio tutte le famiglie al cui interno vi siano figli minori, disabili, oppure over 60, mentre nella categoria degli occupabili rientreranno le famiglie con persone in grado di lavorare, dai 18 ai 60 anni di età. Anche prima era sostanzialmente così. C’erano infatti gli esonerati dall’obbligo di dichiarare l’immediata disponibilità al lavoro, in cui rientrava tutta una serie di soggetti tra cui gli over 65, i disabili, gli studenti o chi si occupasse di bambini fino ai tre anni di età. Condizioni che adesso vengono solo rimodulate, ridisegnando la platea in due tronconi, non occupabili e occupabili per l’appunto.
Le modifiche del Mia a importi e durata
Ci sarà poi una ridefinizione, al ribasso, degli importi e della durata della misura. Per chi non può lavorare è previsto, secondo quanto trapelato nei giorni scorsi dalla relazione tecnica, un assegno di circa 500 euro, che avrà una durata di 18 mesi per un massimo di 6 mila euro all’anno. Ma dalla seconda domanda in poi la durata dell’assegno sarà di soli dodici mesi. Per le famiglie in grado di lavorare l’assegno mensile sarà invece di 375 euro, della durata massima di 12 mesi per un importo fino a 4.500 euro. Anche qui dalla seconda volta in poi in cui si fa domanda, per le famiglie con persone occupabili la durata massima del Mia sarà di sei mesi. Lo logica insomma è quella di restringere le maglie del sussidio.
La stretta del Mia su Isee e congruità dell’offerta
E poi a essere abbassata sarà la soglia Isee di accesso al beneficio: se quella attuale è entro i 9360 euro, si passerà da settembre – verosimilmente – a 7200. Un taglio che farà fuori una fetta sostanziale della platea. Nella legge di Bilancio 2022 scompare poi il riferimento all’offerta congrua, e basterà il rifiuto di una sola offerta, la prima che arriva, per decadere dal diritto all’assegno. Purché si rispetti il requisito della territorialità del posto di lavoro, che invece rimane in piedi. Nulla invece si dice ancora nella bozza di riforma circa il contributo affitto attualmente riconosciuto. Se dovesse sparire, il rischio sarebbe quello di far salire di colpo gli sfratti.
Chi ci perderà (e chi non) con il nuovo Reddito di cittadinanza
Per i genitori di figli minori a cui è riconosciuto, oltre al Reddito, anche l’Assegno unico (sussidio di cui godono tutti a prescindere dall’Isee) “la situazione potrebbe addirittura migliorare”, ha spiegato Massimo Baldini, professore di Politica economica all’università di Modena, in un’intervista all’Espresso. Questo perché una famiglia con due figli potrebbe passare dal percepire “una media di 1130 euro attuali a circa 1230”, proprio per via dell’aumento dell’Assegno unico, che andrebbe a compensare la diminuzione del Reddito. I veri penalizzati saranno quindi i single che hanno meno di sessant’anni: nel caso siano occupabili il contributo scenderà a 325 euro, mentre nel caso non lo fossero si calcola che andrebbero a percepire circa 650 euro.
Il Reddito di cittadinanza andrebbe diviso in due
Per questo, sostiene Falasca, “ci vorrebbero due misure al posto di una sola, ognuna con una finalità distinta”. Con l’impostazione attuale si sovrappongono due piani: “quello della povertà con quello delle politiche attive”. E si finisce in un terreno scivoloso, che è quello della definizione di occupabile, passibile di equivoci a non finire. Troppo labile il confine e “mettersi a questionare sugli occupabili rallenta solo il procedimento”. “Per aggredire la povertà occorre invece un misura ad hoc verso chi è in difficoltà economica”, continua Falasca, “svincolata da qualsiasi filtro di applicazione”. Dall’altra parte “una misura di politica attiva, in cui a essere coinvolte siano le agenzie per il lavoro”.
Le agenzie per il lavoro per far funzionare il Reddito di cittadinanza
Dovrebbero essere le agenzie per il lavoro a portare avanti l’incrocio di domanda e offerta. E a queste “andrebbe dato un incentivo, pagandole a risultato, a seconda delle persone assunte”. Inefficaci invece i centri per l’impiego: “I dati ci dicono che solo quattro persone su cento trovano lavoro grazie ai centri per l’impiego”, quindi non è da lì che potrebbe passare la riforma. Troppo alta la possibilità che si fallisca, come è stato per i navigator, questione su cui Falasca ha un’opinione tranchant. “Sono vittime”, dice, “della propaganda politica: persone laureate, con aspettative, lanciate nell’agone politico per giustificare figure senza senso, assegnate a progetti senza strumenti e idee”.
Il nuovo Reddito di cittadinanza porterà solo a un risparmio
Se sarà confermato quanto anticipato, si andrà verso un cambiamento che porterà “solo a una riduzione della sola platea dei beneficiari e a una contrazione degli importi”. Ci sarà un risparmio – si calcola – sui 2-3 miliardi di euro. Ma senza un “vero cambio di filosofia” secondo il parere del giuslavorista. Anche perché smantellare del tutto il Reddito non si sarebbe potuto: “Un sistema analogo esiste in tutti i paesi europei, inteso come strumento di contrasto alla povertà”. Il Reddito di cittadinanza dunque rimarrà, con un nuovo nome ma in tutto simile a quello odierno a meno di sorprese dell’ultimo momento.
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