Il decreto Lavoro approvato lo scorso mese agisce soprattutto sui contratti a termine. E sono piovute critiche perché con le modifiche introdotte sarà più facile rinnovarli. Ma secondo Marco Leonardi, ordinario di Economia, la norma è tutta sbagliata: “Le priorità del mercato del lavoro sono altre”.  

L’approvazione del decreto Lavoro a inizi di maggio ha sollevato il (solito) polverone di polemiche. Con un dibattito che si è incentrato soprattutto sull’aumento della precarietà a cui la nuova normativa di fatto porterà grazie all’alleggerimento delle condizioni per rinnovare i contratti a termine. Si tratta però di una visione fuori fuoco secondo Marco Leonardi, docente di Economia all’università di Milano, che a Dealogando spiega: “Il decreto Lavoro sbaglia tempi e modalità, non centra i veri problemi del mercato del lavoro”.

Nel decreto Lavoro solo l’ennesima modifica ai contratti a termine

Questi problemi non sono certo – o almeno non solamente – i rinnovi dei contratti a termine allo scoccare dei dodici mesi. L’ennesima regolamentazione (“in dieci anni siamo stati solo capaci di cambiare tredici volte le regole sui contratti a termine” prosegue Leonardi) va adesso nella direzione di facilitare la possibilità di rinnovare fino a ventiquattro mesi. Quello che è accaduto con il decreto Lavoro “è che è stata data la possibilità di far durare un contratto due anni invece che uno”. Il come è presto spiegato: “Indicando nella causale una motivazione molto generica, come può essere per esempio il picco di produzione”. Il cosiddetto ‘causalone’ che il decreto Dignità aveva invece spazzato via.

Rinnovo più facile per i contratti a termine

Con la norma firmata da Luigi Di Maio all’epoca in cui era alla guida del ministero del Lavoro, infatti, per le aziende era diventato più complicato rinnovare il contratto a termine. Di fatto era possibile solo in casi tassativi, per “le esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività” oppure “esigenze di sostituzione di altri lavoratori”. Regolamentazione adesso superata, perché con il decreto Lavoro attuale basteranno “esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti”. Così, sottolinea Leonardi, “si allargano le maglie della contrattazione a termine”. Ma senza neppure troppo coraggio, “perché la nuova normativa varrà fino ad aprile 2024, per poi cambiare di nuovo”.

Il decreto Lavoro reintroduce il ‘causalone’ per il rinnovo dei contratti a termine

Secondo Leonardi l’unico risultato tangibile per i contratti a termine, con causali poco definite, “sarà solo quello di aumentare il contenzioso”. E il lavoro precario sarà incentivato, al contrario di quanto avviene in altri paesi: “Per esempio in Spagna hanno varato una legge che sostanzialmente impedisce i nuovi contratti a termine” evidenza il docente. Anche se, a dirla tutta, nel paese del governo Sanchez “c’era un numero eccessivo di contratti a termine e hanno proceduto in tal senso”. In Francia la lotta al precariato, continua Leonardi, è passata attraverso l’abolizione dei contratti part-time al di sotto delle 24 ore. Al contrario in Italia “siamo in un periodo in cui il numero dei contratti a termine diminuisce”, e infatti i dati Inps dello scorso novembre parlavano di un boom di indeterminati saliti di oltre il 30 per cento. Il focus è insomma “tutto sbagliato”, perché le priorità del mercato del lavoro italiane sono su altri piani. Non sul lavoro precario, per di più in riduzione.

La priorità del Decreto lavoro non dovrebbe riguardare i contratti a termine ma il salario minimo

Il tema del precariato “riguarda 2-3 milioni di persone”. Una parte contenuta dei lavoratori insomma, mentre le priorità restano altre. In primis c’è il salario minimo, “che è il primo intervento da fare” rilancia Leonardi. E poi interventi sui giovani. Che scappano dall’Italia “perché sanno che non avranno carriere soddisfacenti, ma resteranno nei livelli inferiori delle gerarchie aziendali”. La politica pubblica si dovrebbe poi concentrare, dice Leonardi, “nel ridurre il mismatch tra domanda e offerta e preparare i giovani per le professioni del futuro”. Il governo attuale ha invece pensato bene, sempre nel decreto Lavoro, di affossare questi aspetti. “Cancella l’agenzia per le politiche attive Anpal, senza un progetto alternativo”. E rivede la parte del reddito di cittadinanza destinata agli occupabili “rischiando di mancare gli obiettivi del Pnrr in tema di formazione”. Quando invece la direzione giusta sarebbe quella, sostiene Leonardi, di occuparsi soprattutto della crescita dei salari.

 

Leggi anche >> Salario minimo, c’eravamo quasi ma la crisi di governo lo fa saltare