La pandemia ha cambiato profondamente la gestione del lavoro, a partire dal remote working – che è destinato a continuare, ma a determinate condizioni: sono ad esempio in ascesa i software per il monitoraggio dei dipendenti, con effetti non trascurabili su chi ha scelto di lavorare a distanza
I software e i tool per il monitoraggio dei dipendenti, installati nei dispositivi aziendali e conosciuti come tattleware (“tattle” in inglese significa “spiare”), esistevano già prima che il remote working diventasse una pratica comune a molti lavoratori, ma è con la fine della pandemia che il loro utilizzo è aumentato, con l’obiettivo di tenere sotto controllo l’operato dei molti che hanno scelto – o che hanno avuto la possibilità – di continuare a lavorare a distanza.
Tra i molti tattleware ci sono Sneek, TSheets, Hubstaff o Microsoft Productivity Score: ciascun tool offre varie funzioni, come catturare periodicamente un’immagine dalla webcam o controllare la cronologia delle ricerche su Internet, fino a valutare la velocità di battitura sulla tastiera e geo-localizzare il dispositivo aziendale.
I programmi più avanzati si spingono anche oltre, permettendo a chi sta “dall’altra parte” di prendere il controllo del dispositivo attivo da remoto, così come visualizzare il contenuto delle email inviate o monitorare i movimenti del puntatore del mouse sullo schermo.
Nei primi mesi dell’emergenza sanitaria, il mercato dei tattleware ha subito un’impennata economica mai vista prima; e secondo un’analisi di Market Research Future questo è un settore che continuerà a crescere, al pari di quello delle piattaforme per lavorare a distanza.
Le conseguenze sui lavoratori
Negli Stati Uniti i programmi di questo tipo si stanno diffondendo più velocemente che in altri Paesi, e per un lavoratore è molto comune ricevere dispositivi aziendali con programmi di sorveglianza preinstallati – senza la possibilità di essere disabilitati.
Lo scopo dei tattleware è chiaro: certe aziende temono che il remote working riduca la costanza nel processo produttivo dei dipendenti, perciò scelgono di esercitare un controllo quanto più ampio sul lavoratore agile. Questo è uno degli effetti del clima di trasformazione digitale che, purtroppo o per fortuna, ha inevitabilmente innescato l’esperienza della pandemia.
Il lavoro da remoto viene apprezzato dai dipendenti soprattutto perché favorisce il work-life balance, tra le altre cose. Al contrario la consapevolezza di essere monitorati porta ai lavoratori maggiore stress, danneggiandone l’autostima e le capacità organizzative, e rendendoli meno autonomi nel lavoro – segnala uno studio dell’European CEO.
Il controllo sistematico viene interpretato dai lavoratori come mancanza di affidabilità, e riduce quell’autodeterminazione che spingerebbe i professionisti a prestazioni migliori. In sintesi, l’utilizzo di tattleware può quindi trasformare il remote working in una scelta paradossalmente più stressante e sconveniente per gli stessi dipendenti.
Le reazioni al monitoraggio dei dipendenti
Il dibattito sui limiti e i benefici di questi strumenti è ancora in corso, soprattutto nei Paesi anglosassoni, che hanno un’etica del lavoro particolarmente incentrata sulla produttività: c’è chi vede nei tattleware uno strumento utile per la sopravvivenza dei tradizionali schemi aziendali in un mondo del lavoro sempre più full remote, e chi questiona la loro validità legale, sostenendo che in questo modo si invada la privacy del personale.
Per far fronte all’ascesa dei controlli a distanza, diversi utenti hanno iniziato a utilizzare software anti-sorveglianza, che hanno portato alla nascita di piccole comunità su Reddit impegnate a consigliarsi tool (come Presence Schedulere) e stratagemmi per ingannare i software di monitoraggio dei dipendenti.
Nel panorama europeo l’imposizione di tool del genere pone maggiori interrogativi rispetto alla privacy dei dipendenti. In Italia, ad esempio, l’uso dei cosiddetti tattleware è regolamentato, e limitato, dall’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori, dove si legge che «gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali».
In sostanza, in Italia il controllo delle attività da remoto dei lavoratori, a oggi, può essere introdotto solo per determinate finalità (come esigenze di tipo organizzativo o produttivo), ma senza intaccare la normativa vigente sulla privacy e, soprattutto, previo via libera da parte delle associazioni sindacali. Rispetto al funzionamento e alle modalità di raccolta-dati degli strumenti di monitoraggio, il datore di lavoro ha l’obbligo di informare per tempo e adeguatamente i dipendenti, che a loro volta dovranno dare il consenso a procedere. Prima del 2015 l’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori vietava di utilizzare «impianti audiovisivi e altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori»; la norma è stata poi molto alleggerita con il Jobs Act: secondo un’analisi di Capterra, società che sviluppa tool di monitoraggio del lavoro, su un campione di oltre 1200 dipendenti italiani (intervistati nel 2020), almeno il 40% dichiara di lavorare in un’azienda che utilizza strumenti di controllo dell’operatività.
Cos’è lo schema lavorativo 3-2-2
Tre giorni in ufficio, due giorni in remoto e due giorni liberi. Questo sarebbe lo schema della nuova settimana lavorativa proposto da alcuni accademici sulla Harvard Business Review. Secondo i ricercatori, con il modello 3-2-2 i dipendenti saranno incentivati a scegliere la configurazione della settimana lavorativa che meglio funziona per loro, e modellare così programmi personali intorno a essa.
Il settore pubblico in Svezia è stato tra i primi a far suo questo approccio: il datore di lavoro e i dipendenti firmano accordi incentrati su una serie di punti che includono le specifiche mansioni da svolgere da remoto, e quanti giorni a settimana sono riservati al remote working. La trasparenza che deriva da questo processo sembra portare benefici a entrambe le parti, ed è un compromesso sempre più adottato anche dalle aziende italiane.
I manager, organizzando e dividendo preventivamente le mansioni, evitano una potenziale dispersione della forza lavoro, e non si sentiranno costretti a ricorrere a strumenti di monitoraggio dei dipendenti. Dall’altro lato, i lavoratori conservano la propria autonomia nel rispetto dei compiti assegnati e degli schemi aziendali pre-esistenti, avendo come valore aggiunto la possibilità di dedicare più tempo alla vita privata durante i giorni o i periodi di remote working.
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