Le aziende italiane hanno in programma di assumere in totale 1,2 milioni di lavoratori, ma la difficoltà di reperimento si ha in 1 caso su 3. Questo perché diverse posizioni sono considerate dagli italiani poco attrattive e scarsamente remunerative per le ore di lavoro da svolgere, e la situazione pesa particolarmente sul settore della ristorazione che denuncia la mancanza di personale qualificato

Qualche settimana fa, un rapporto redatto dal Centro Studi di Confindustria ha rivelato che la risalita del Pil italiano nel 2021 è stata migliore rispetto alle attese: +6,1%, 2 punti in più rispetto alle stime di aprile, seguito da un ulteriore +4,1% previsto per il 2022.

Ma se da un lato questo rinato ottimismo aiuta le aziende e gli investimenti, dall’altro pesano i numeri della disoccupazione, causata anche dalla mancanza di personale qualificato in diversi settori produttivi, come quello manifatturiero. Ma non solo, perché anche il comparto della ristorazione denuncia la mancanza di chef e personale di sala.

Le aziende sono a caccia di 1,2 milioni di lavoratori

Le aziende italiane hanno in programma di assumere 1,2 milioni di lavoratori e, in media, la difficoltà di reperimento si ha in 1 caso su 3. Nello specifico, si legge sul Sole 24 ore: nei servizi, il commercio ha bisogno di 148mila persone, il turismo di 276mila, trasporti, logistica e magazzini di 84mila.

Il motivo di questa carenza di personale, secondo i dati del Bollettino Excelsior e realizzato insieme ad Anpal, nel 44% dei casi dipende dalla mancanza di formazione adeguata, mentre nel 75% dipende dal fatto che diverse posizioni sono considerate dagli italiani poco attrattive e scarsamente remunerative per le ore di lavoro da svolgere.

Sembra quasi un paradosso: dopo l’emergenza da Covid-19, il governo sta spingendo la ripresa economica del nostro Paese, ma alcune categorie di lavoratori non sembrano affatto interessati agli impieghi definiti “usuranti”. Forse perché in pieno lockdown le abitudini di ciascuno di noi sono state stravolte: abbiamo cominciato ad apprezzare l’arte della lentezza, del riposo e del lavoro da casa. Ora, dopo due anni, è difficile riabituarsi ai vecchi modelli lavorativi.

L’autunno dei lavoratori scomparsi dal settore della ristorazione

Una rilevazione effettuata da Assolavoro Datalab, l’Osservatorio dell’Associazione Nazionale delle Agenzie per il Lavoro, getta luce sul mondo della ristorazione: cuochi e camerieri sono tra le 30 figure professionali che saranno più richieste nei prossimi mesi, ma questo boom di richieste si scontra con una carenza di figure disponibili.

Nello specifico, secondo i dati raccolti da Fipe, la Federazione Italiana Pubblici Esercizi, nel trimestre da settembre a novembre, la ricerca di cuochi specializzati ha superato le 15mila unità, mentre per gli aiuto cuoco si è arrivati a quota 17mila. Ancora più difficile è stato trovare personale di sala e camerieri, con oltre 51mila offerte aperte anche sui canali social come LinkedIn.

Di questi, quanti hanno accettato il lavoro? Pochi. Molto pochi. A dirlo è Silvio Moretti, responsabile area sindacale Fipe che è convinto che durante l’emergenza sanitaria c’è stata una forte emorragia dal settore della ristorazione e quindi molti “addetti ai lavori” si sono trovati costretti a cambiare impiego, in favore di ambiti ritenuti più stabili come la logistica. Moretti infatti dice che: “I numeri raccontano di circa 150mila deflussi dal mondo della ristorazione, di cui solo una piccola fetta di 30mila unità era costituita da personale stagionale“.

L’allarme delle associazioni di categoria

Nei giorni scorsi l’allarme sulla carenza di personale nel settore della ristorazione è stato lanciato anche dalle associazioni di categoria di Bologna, considerata la capitale della gastronomia, che vedendo tornare i turisti nelle principali città italiane ha denunciato la mancanza di camerieri, aiuti cuoco e lavapiatti.

Massimo Zucchini, presidente regionale della Fiepet Confesercenti, ha raccontato a La Repubblica che: “Si fa veramente fatica a trovare personale qualificato e che ha voglia di lavorare. Ancora oggi mancano migliaia di addetti, 10 mila solo in Emilia-Romagna e 30 mila nel Lazio. Questa è una tendenza che blocca e crea grande disagio a tutto il settore“.

Troppi sacrifici e poche soddisfazioni. Ne è convinto lo chef Max Poggi, presidente dell’associazione Cheftochef, che crede che questa carenza di lavoratori nel settore della ristorazione sia legato al fatto che si tratta di lavori molto stancanti, manuali e con poche prospettive di crescita a breve termine:

L’economia sta ripartendo, c’è un boom di assunzioni in tutti i comparti e a parità di stipendio i ragazzi preferiscono fare orari più tranquilli e avere il weekend libero per uscire. Abbiamo problemi soprattutto nel cercare il personale di sala, perché in cucina in dieci-quindici anni puoi crescere, in sala è più complicato.

Il settore della ristorazione tra reddito di cittadinanza e lavoro agile

Ma questa tendenza da cosa dipende? E soprattutto come si può invertire? Abolendo i sussidi statali come il reddito di cittadinanza, tuona da diversi mesi in molti salotti televisivi lo chef Gianfranco Vissani, premiato come Ambasciatore del gusto 2021. Lo chef umbro è, infatti, convinto che i giovani hanno perso lo stimolo a lavorare, sapendo che stando a casa possono fare richiesta di sussidi: Il reddito di cittadinanza? Una vergogna totale. Non si trova più personale in giro, dobbiamo educare i nostri ragazzi al lavoro, al sacrificio, devono sporcarsi le mani“.

Ma sulle possibili soluzioni Vissani tace, mentre altri chef, come Alessandro Borghese, provano a lanciare delle proposte più in linea con il “lavoro agile”, concetto sdoganato in uno scenario post pandemico. Il re di “4 ristoranti”, infatti, è convinto che chi si affaccia a queste professioni vuole garanzie. Stipendi più alti, turni regolamentati, percorsi di crescita. In cambio del sacrificio di tempo, i giovani chiedono certezze e gratificazioni. Borghese, in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera ha detto:

Il tempo, oggi, è la vera moneta. La mia stessa brigata si è rivoluzionata radicalmente: sono andate via figure che stavano con me da più di dieci anni, sono tornate nelle loro regioni d’origine, dove hanno scelto un lavoro che richiedesse meno fatica psicologica, mentale e fisica. In effetti prima questo mestiere era sottopagato: oggi i ragazzi non lo accettano.

Un punto è chiaro, per Borghese anche il datore di lavoro deve fare la sua parte dando prospettive per garantire lo sviluppo della ristorazione.

 

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Cosa dicono i lavoratori di settore

Certo, in un Paese in cui si discute molto di disoccupazione sembra davvero un paradosso che migliaia di posizioni restino scoperte, soprattutto quando a richiedere nuovo personale sono ristoranti rinomati e internazionali. Ma a rispondere a questa mancanza di lavoratori nel settore della ristorazione sono proprio questi “specialisti”, quei ragazzi e quelle ragazze che rifiutano determinati impieghi in favore di una stabilità – soprattutto economica – che possono avere altrove. Camerieri, personale di sala e aiuti cuoco si scagliano contro il salario, la tipologia contrattuale che gli viene proposta e l’eccessivo carico di lavoro, a fronte di un solo giorno libero a settimana.

Dunque, la diffusa irregolarità, il diffondersi del sistema di applicazione di ‘contratti pirata’, un’elevata precarizzazione del lavoro e le paghe proposte che, secondo alcune testimonianze, sono pari a 900 euro al mese, rischiano di frenare la crescita del settore. E se si continua così, i ristoranti sarebbero costretti a chiudere più di un giorno a settimana o fare metà servizio.

I sindacati comunque sono schierati in favore dei lavoratori, sposandone le principali cause. Il presidente dell’Associazione Nazionale Lavoratori Stagionali, Giovanni Cafagna, è convinto che: “lo stipendio base di un cameriere, secondo gli accordi di categoria, dovrebbe essere di 1.400 euro. Anche se si rispettasse solo questo parametro, i giovani sarebbero più invogliati a lavorare”.