Le più recenti tecnologie al centro della ricerca di aziende come Meta e altri player promettono di realizzare grandi salti innovativi in diversi ambiti della nostra vita. Guardando al mondo professionale, stanno diventando impellenti riflessioni sull’impatto che una tecnologia come il metaverse potrebbe avere per la funzione HR di un’azienda: come potrebbero interagire queste due realtà, e con quali risultati? Si tratta di un rapporto complesso e spinoso, che coinvolge aspetti come il management, le strutture organizzative e il settore HR nel suo complesso a seguito della comparsa di nuovi spazi digitali
Il metaverse è uno spazio digitale di esperienze interattive e immersive, attorno al quale si è imposto un grande dibattito soprattutto grazie a Meta, artefice del boom di interesse per questa tecnologia che, secondo un’indagine di McKinsey, varrà fino a 5 bilioni di dollari entro il 2030. Sempre stando ai dati, una ricerca della società di analisi Brendon Hall Group riferisce un grande entusiasmo per questo tema, con il 64% degli intervistati che considera tale tecnologia una miniera di opportunità da incoraggiare e sviluppare. Sebbene sia spesso associato a scopi ludici, il metaverso è un ambiente phygital che promette importanti rivoluzioni in molti settori, tra cui quello HR, dove la sperimentazione è già partita. Per esempio, Randstad Italia ha aperto la sua prima sede nel metaverso, un edificio virtuale dedicato a eventi formativi, riunioni e colloqui, puntando ad un’esperienza personalizzata per ogni utente.
Anche PwC ha deciso di precorrere i tempi, scommettendo sull’uso del metaverso nel recruiting, permettendo ai candidati di interagire con un potenziale cliente e risolvere virtualmente un business case. Sempre PwC, in uno studio, parla di un apprendimento per i dipendenti che sono sottoposti a formazione tramite sensori VR quattro volte più veloce rispetto a quello che si verifica in classe. Nel metaverso, l’upskilling e il reskilling diventano attività da poter svolgere attraverso l’uso di visori introdotti da aziende come Oculus, Meta, Roblox o Nike.
Il metaverso è una sfida alla realtà fisica perché promette di superarne determinati limiti. Nel mondo HR, esso potrebbe introdurre nuovi modi per attrarre, sviluppare e trattenere talenti, impattando su processi quali il recruiting, la selezione, la formazione (attraverso la gamification, ad esempio) e sull’avanzamento della carriera. Potrebbe allo stesso tempo produrre sviluppi interessanti nei campi dell’engagement e della comunicazione tra dipendenti, tramite attività di team building virtuali, forme di collaborazione più creative, una formazione maggiormente immersiva. Il metaverso, grazie ai suoi spazi di simulazione, può inoltre fornire un set di dati utili ad analizzare le performance da migliorare e i trend di selezione del personale più efficaci, usando modelli che si basano sulla raccolta di informazioni.
Per di più, bisogna mettere in conto l’influenza che tale spazio virtuale potrebbe esercitare sui dipendenti stessi: le identità digitali potrebbero incoraggiare i lavoratori più timidi ad essere più partecipativi, offrire più feedback e vincere la ritrosia che li caratterizza nel mondo analogico. Insomma, lo spazio digitale potrebbe anche consentirci di aggirare limiti (in tal caso umani) che sperimentiamo nella vita di tutti i giorni.
Ma non è tutto oro ciò che luccica, alla luce del fatto che dietro tanti vantaggi si celano altrettante insidie. Riducendole ad interazioni tramite un’identità digitale, le relazioni tra i membri di una popolazione aziendale potrebbero cambiare sensibilmente e sfuggire al controllo negli scenari peggiori. Inoltre, il trasferimento di un’intera gamma di attività all’interno di spazi non-fisici si preannuncia un procedimento complesso, dispendioso e da regolamentare con attenzione, essendo il metaverso un ambiente, come vedremo, inedito e ricco di potenzialità, ma esposto a rischi che rendono necessario un adeguato monitoraggio. Il metaverse, oggi, potrebbe essere assimilato ad una sorta di far west: in un posto del genere, ognuno può farsi le proprie regole.
Il far west del futuro
Del metaverso non conosciamo ancora tutti i possibili usi e relativi rovesci della medaglia. Parliamo di un territorio inesplorato aperto a tante potenzialità (procedure di selezione e formazione più concrete ed efficaci, esperienze professionali ottimizzate e ritagliate sulle esigenze del dipendente, dei capi reparto e dei manager), e al tempo stesso vulnerabilità. Il rischio principale è quello di addentrarsi in un continente vasto e ricco di promesse ma, contemporaneamente, sperimentare la mancanza di punti di riferimento certi e in grado di proteggere da pericoli di diverso tipo.
Nel settore delle Risorse Umane non sono poche le minacce che rischierebbero di prodursi. Uno spazio sganciato dalla dimensione fisica può non rendere sempre chiara la linea che separa l’identità personale e quella professionale, esponendo inoltre i dipendenti a rischi quali abusi o molestie e a violazioni della privacy. Per questi motivi, difatti, la tutela dei dati e del dipendente è diventata già un aspetto controverso nei dibattiti sul metaverso e il suo rapporto con il mondo del lavoro. Basti considerare che i dispositivi coinvolti in questa tecnologia registrano una serie di dati finora mai memorizzati da altri sistemi, come movimenti del corpo che potranno fungere da vera e propria “firma” dell’utente. Un aspetto, questo, che rende necessarie tecnologie di autenticazione che possano mettere al riparo i dipendenti da un utilizzo non autorizzato di parametri del genere.
Non va sottovalutato peraltro il rischio che criminali informatici si spaccino per altri utenti, venendo magari in possesso delle loro credenziali informatiche. Un’eventualità, quest’ultima, particolarmente insidiosa per gli ambienti professionali legati al metaverso, dove potrebbero essere tracciate anche le mappe 3D dei luoghi di attività che i sensori elaborano durante il loro utilizzo.
Anche la salute mentale è coinvolta, in quanto l’uso continuato di sensori VR dentro e fuori i luoghi di lavoro – si pensi allo smartworking – potrebbe provocare un senso scollamento e isolamento dalla realtà, una “tunnel vision experience”, frutto del sovrapporsi di spazio phygital e fisico, che impatterebbe negativamente sul wellbeing lavorativo. Il metaverso, a questo punto, potrebbe trasformarsi nell’ennesimo ostacolo a quel “diritto alla disconnessione” di cui sempre di più si parla nelle riflessioni sul mondo professionale odierno.
Un’ulteriore questione da approfondire riguarda il tema della discriminazione. Che potrebbe entrare in gioco, per esempio, quando un candidato, tramite un avatar, decide di “indossare” un colore della pelle differente, sia anche in un contesto di blind recruitment. Oppure, cosa accadrebbe se un o una dipendente facesse coming out attraverso il proprio avatar? Le innovazioni digitali di ultima generazione si stanno dimostrando sensibili ai temi dell’inclusività e della libertà di espressione, come dimostra il progetto di avatar non-binari dell’azienda di make-up NYX Professional in collaborazione con People of Crypto, laboratorio che punta a tutelare la diversità nel metaverso. C’è da chiedersi, però, come si comporterà il mondo professionale nel momento in cui un nuovo strumento quale il metaverso chiederà alle aziende, in modo inedito rispetto al passato, di confrontarsi con queste istanze.
In sintesi: qualora dovesse trasformarsi in strumento di uso comune per le aziende (e non solo), ci dovremo confrontare con un ambiente che rende necessaria la normazione di numerosi aspetti, dalla privacy alla tutela del dipendente contro condotte pericolose, all’inclusività e al benessere lavorativo.
Il difficile compito degli “sceriffi”
La normazione del metaverso è un argomento difficile perché parliamo di una realtà in costruzione e in parte ancora vaga: allo stato attuale, non tutte le condotte, le possibilità e gli utilizzi possono essere previsti tanto dagli ideatori, quanto dagli utenti (aziende incluse), quanto dal legislatore.
Un intervento legislativo a priori, tuttavia, può permettere, anche ricorrendo ad un’azione regolatoria momentaneamente generale, di individuare quei beni individuali e collettivi da proteggere una volta che il metaverse si diffonderà maggiormente. C’è molto su cui ragionare, e il legislatore rischia di arrivare in ritardo e di dover a quel punto intervenire a fatti avvenuti, ma c’è comunque da dire che l’UE si è già attivata, attraverso l’adozione del Digital Services Act, per fornire un quadro normativo in vista di una potenziale diffusione di tecnologie come il metaverso.
Difficile appare altresì il rapporto tra diritto nazionale, internazionale e tema della sovranità. Il metaverso è uno spazio digitale che può risiedere su sistemi hardware, software e di telecomunicazioni di proprietà privata, fisicamente situati anche nel territorio di diversi paesi. C’è da chiedersi quali norme verrebbero applicate in queste circostanze, e in che misura il diritto internazionale si porrebbe come disciplina di riferimento.
In tema di attacchi cibernetici, poi, interpretando in senso ampio la Regola 92 del Tallinn Manual 2.0, ad oggi uno dei testi che tenta una disciplina di questi fenomeni, per far sì che un’aggressione, perpetrata nel metaverso ai danni di beni o persone, venga considerata un’autentica fattispecie, sarebbe necessario definire questa tecnologia e ciò che contiene come qualcosa di “reale”.
Lato aziende, i CEO e i manager hanno un ruolo cruciale nel consentire l’integrazione del metaverso nelle pratiche lavorative. Figure come queste hanno innanzitutto la responsabilità di chiedersi quali siano le effettive potenzialità di tale tecnologia, e come essa possa aiutare la crescita e l’innovazione dell’azienda. Questo, come ha specificato l’ex LEGO Ventures Rob Lowe, senza piegare gli obiettivi inseguiti dall’impresa all’utilizzo del metaverso.
Il secondo punto da tenere in considerazione consiste nel dare al metaverse un “taglio pratico”, identificando e sperimentando casi d’uso concreti in accordo con la mission dell’organizzazione e con le road map necessarie. In questo frangente, diventa essenziale che le figure del mondo HR dimostrino flessibilità e apertura, rendendosi disponibili a sperimentare e apprendere le modalità attraverso cui i nuovi tool possano vedersi integrati nella vita aziendale. Anche allenando specifiche skill, è importante che la funzione HR sia in grado di mettersi in discussione e si dimostri adattiva nei confronti delle nuove tecnologie.
E infine, un intervento-chiave potrebbe essere la scelta di leader e team ad hoc che sorveglino i processi in cui il metaverso entra in gioco, per evitare che quest’ultimo diventi una realtà avulsa che sfugga al controllo dell’impresa. Come l’autrice di Frankenstein ricorda, un’invenzione dopotutto non nasce dal nulla, ma dal caos.
Leggi anche >> Tanto smart working per nulla. L’Osservatorio del Politecnico di Milano: «Mancano innovazione e consapevolezza»