Il Governo e le istituzioni hanno cominciato a parlare di ripresa economica, ma non bisogna dimenticare che in Italia il lavoro nero conta ancora su un esercito di 3.7 milioni di persone che generano ricavi per 77,3 miliardi di euro, sottraendo al fisco circa 42,6 miliardi di euro

Quello del lavoro nero è uno dei temi di maggior dibattito nel nostro Paese, che riguarda almeno 3,7 milioni di lavoratori considerati irregolari dallo Stato: ovvero, non in regola dal punto di vista contrattuale, fiscale, o contributivo.

Si tratta di una platea definita dagli economisti come «non osservabile», dal momento che non se ne può trovare traccia presso imprese, istituzioni o nel database della Pubblica amministrazione.

Tuttavia, una fotografia verosimile e aggiornata dell’irregolarità arriva dall’ultimo Rapporto annuale dell’attività di vigilanza dell’Ispettorato nazionale del lavoro relativo al 2019: nello specifico, il rapporto segnala che sono stati intensificati i controlli sul caporalato, maggiormente presente nei comparti dell’edilizia, dell’industria e del manifatturiero, oltre che in agricoltura. In quest’ultimo settore sono state messe in campo – si legge nel Rapporto – «iniziative straordinarie di vigilanza a livello interregionale».

Ma dati più specifici sui “lavoratori invisibili” li fornisce anche l’Ufficio studi della Cgia di Mestre: quali sono i numeri e soprattutto le regioni italiane dove il lavoro in nero – e la relativa evasione fiscale – pesa maggiormente sulle casse dello Stato?

Secondo le ultime stime elaborate dall’Ufficio studi della Cgia di Mestre, l’ “esercito di irregolari” genera 77,3 miliardi di fatturato annui, sottraendo al fisco circa 42,6 miliardi di euro.

Un importo che, secondo i tecnici del ministero dell’Economia e delle Finanze, è pari a oltre il 40% dell’evasione di imposta annua.

lavoro nero

 

Il lavoro nero colpisce soprattutto quei settori in cui è maggiore la presenza del caporalato: manifattura, industria, edilizia e agricoltura.

L’Ispettorato del lavoro ha di recente intensificato i controlli sia sul caporalato, che miete vittime tra i lavoratori più deboli, sfruttati e scarsamente tutelati, sia sui “furbetti del reddito di cittadinanza“, che lavorano in nero mentre percepiscono il sussidio.

 

Le soluzioni per contrastare il lavoro nero

Secondo la Cgia, bisognerebbe abbassare le tasse e i contributi previdenziali, ridurre il carico amministrativo e sensibilizzare l’opinione pubblica, ma in primis il tessuto produttivo del Paese, sulla cultura della legalità.

I dati sul lavoro nero sono fondamentali per renderci conto della gravità della situazione: se si continua a “fare nero”, a rimetterci non saranno solo le casse dello Stato, ma anche le attività commerciali, le imprese e i lavori contrattualizzati. In che modo?

Quando lavoriamo in nero e, di conseguenza, non versiamo tasse e contributi, mettiamo a disposizione le nostre competenze e il nostro tempo senza essere retribuiti nel giusto modo: così “prestiamo il fianco” sia a comportamenti disonesti di datori di lavoro sia nel contribuire al alimentare un sistema viziato.

La questione del lavoro nero è molto più complessa di quanto pensiamo, e forse bisogna fare spazio a una serie di riflessioni: sicuramente l’eccessiva pressione fiscale lascia ampi margini di crescita a questo fenomeno, non consentendo a piccole aziende e professionisti di accumulare ricchezza.

Ma, quando decidiamo di “scendere a compromessi” pur di ottenere uno stipendio, non siamo forse ANCHE noi ad alimentare questo sistema marcio (involontariamente o inconsapevolmente)?