Entro quattro anni alcuni mestieri cambieranno o spariranno, e avranno sempre più a che fare con l’Intelligenza Artificiale: con l’aiuto di quattro esperti abbiamo provato a immaginare come vorremmo che fosse il lavoro del futuro

 

Il nuovo Rapporto 2023 sul futuro dell’occupazione, nell’ambito del World Economic Forum, prevede che fino a un quarto delle professioni, il 23%, sia destinato a cambiare entro il 2027, quando il 42% delle mansioni sarà automatizzato. Lo dicono le stime di 803 aziende intervistate, che impiegano oltre 11,3 milioni di dipendenti in 27 distretti industriali e in 45 economie di tutte le regioni del mondo. Si parla così della creazione di 69 milioni di nuovi posti di lavoro e dell’eliminazione di 83 milioni, con il 75% delle imprese pronte ad adottare l’intelligenza artificiale.

La transizione verde, l’adozione della tecnologia e l’aumento dell’accesso digitale sono tra i fattori che porteranno a un ricambio e a un incremento netto dei posti di lavoro, ora messi a rischio dalla recessione economica e dall’inflazione. Intanto, oltre agli specialisti della sostenibilità e agli analisti di business intelligence, le figure in più rapida crescita saranno spinti proprio dalla tecnologia e dalla digitalizzazione, a partire dagli esperti di IA, apprendimento automatico e sicurezza informatica.

L’occupazione di questi ultimi, insieme agli scienziati di data e big data, si svilupperà in media del 30% entro quattro anni. Quindi la formazione dei lavoratori nell’utilizzo dell’IA e dei big data sarà la priorità del 42% delle imprese nel prossimo quinquennio, dopo il pensiero analitico (48%) e il pensiero creativo (43%). Ma sarà il commercio digitale a offrire i maggiori incrementi assoluti di posti di lavoro: si calcolano circa 2 milioni di nuovi ruoli come specialisti dell’e-commerce, della digital transformation, di marketing e strategia digitale.

Al contempo sono sempre le nuove tecnologie a ridimensionare velocemente figure come impiegati e segreterie, sportellisti di banca, cassieri e addetti all’inserimento dati, con un terzo delle mansioni (34%) attualmente automatizzato, l’1% in più rispetto al 2020. Nasce così l’esigenza di riqualificare le persone: sei lavoratori su 10 avranno bisogno di formazione prima del 2027. Saranno fondamentali l’intervento e i finanziamenti dei governi ma anche l’iniziativa delle aziende.

“Per le persone di tutto il mondo, gli ultimi tre anni sono stati pieni di sconvolgimenti e incertezze per le loro vite e i loro mezzi di sostentamento, con il Covid-19, i cambiamenti geopolitici ed economici e il rapido avanzamento dell’IA e di altre tecnologie che ora rischiano di aggiungere ulteriore incertezza”, ha dichiarato la Direttrice generale del World Economic Forum Saadia Zahidi. “La buona notizia è che esiste una chiara strada da percorrere per garantire la resilienza. I governi e le imprese devono investire per sostenere il passaggio ai lavori del futuro attraverso l’istruzione, la riqualificazione e le strutture di sostegno sociale che possono garantire che gli individui siano al centro del futuro del lavoro”, ha aggiunto.

D’altra parte, alcune figure stanno scomparendo mentre molte professioni di domani, oggi, ancora non esistono. È un momento di svolta: per questo abbiamo chiesto a quattro esperti di lavoro del nostro Paese di aiutarci a stilare una sorta di decalogo etico. Dati tutti i dilemmi posti dalle nuove tecnologie, intelligenza artificiale in primis, cosa ci aspettiamo e cosa non vogliamo per i lavori del futuro? Quale sarà il ruolo dell’istruzione e come si può investire in questo settore? Come si possono mettere le esigenze degli individui al centro di questi cambiamenti?

 

Decalogo etico per “il lavoro del futuro”

1. IL RAPPORTO CON L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE

“È difficile immaginare oggi quali saranno i lavori del futuro. Perché la sfida e le opportunità offerte dall’intelligenza artificiale potrebbero cambiare radicalmente il modo in cui concepiamo il lavoro oggi, con esiti imprevedibili. Gli studenti che attualmente sono all’università potrebbero ritrovarsi a svolgere lavori che a oggi non esistono ancora. Le intelligenze artificiali semplificano gli aspetti ‘iterativi’ del lavoro intellettuale – tutto ciò che rappresenta ripetizione o contestualizzazione, attività che fino a poco tempo fa richiedevano invece molto tempo e che oggi possono essere automatizzate. Da una parte quindi le IA rischiano di ‘togliere lavoro’, dall’altra parte offrono l’opportunità di ‘liberare tempo’. Questo ci lascia l’opportunità di sentirci in parte ottimisti: laddove l’intelligenza artificiale potrà sostituire alcune parti delle nostre mansioni, dall’altra potrà liberare tempo da dedicare ad aspetti ancora più creativi del nostro lavoro, di cui l’intelligenza artificiale non sa o non può ancora occuparsi”.

“Per fare un esempio concreto: possiamo chiedere all’intelligenza artificiale di scrivere un testo, tuttavia dobbiamo essere in grado di dare all’intelligenza artificiale delle istruzioni creative, chiare, precise, che rendano comunque unico e non stereotipato il risultato che otterremo. Per fare questo, ci vuole competenza interdisciplinare maturata nel mondo reale. E per manifestare competenza nel mondo reale, serve comunque una persona in carne e ossa. Per usare una similitudine, potremmo dire che l’intelligenza artificiale a oggi si comporta come un’automobile con guida automatica. Il punto è che se noi non indichiamo la destinazione, né il percorso da fare, la macchina da sola non è in grado di andare da nessuna parte. Non avrebbe motivo di farlo, e solo la nostra creatività e capacità interdisciplinare al momento è in grado di determinarne la direzione precisa. Potrà aiutarci molto, certo, ma il ‘tocco magico’ che farà la differenza sarà sempre il nostro”. (Patrick Facciolo, Dottore in tecniche psicologiche per i contesti sociali, organizzativi e del lavoro)

 

2. LO SVILUPPO DI COMPETENZE INTERDISCIPLINARI

“Effettivamente quello a cui stiamo assistendo con Chat GPT e soci è un cambiamento epocale. L’intelligenza artificiale c’è già da anni, ma finora era appannaggio dei programmatori e delle big tech. Bisognava avere delle competenze molto elevate per poterla utilizzare. Il paradosso è che ci troviamo in una situazione in cui l’intelligenza artificiale stessa offre la possibilità a chiunque di utilizzare strumenti di intelligenza artificiale, che diventa alla portata di chiunque, dalle fake news alla tesina di liceo fatta con Chat GPT. Questo è un cortocircuito che cambia tutto. Dal punto di vista lavorativo, il primo problema è il rischio di perdita di competenze. Oggi, avendo a disposizione la calcolatrice, nessuno di noi è in grado di fare la divisione – magari di un numero elevato – a mano, come ci hanno insegnato a scuola. Nel momento in cui cominciamo a delegare all’intelligenza artificiale tutti i compiti che riteniamo semplici come fare una tabella di Excel o una presentazione online, non ci addestriamo più a usare quegli strumenti tecnologici e li facciamo utilizzare all’intelligenza artificiale” (Marco Schiaffino, giornalista, esperto di tecnologie, web e cyber sicurezza)

 

3. LA DIFESA DELLE COMPETENZE QUALIFICATE

“Un altro problema è il fatto che a differenza di tutte le altre rivoluzioni industriali, dalla macchina a vapore all’elettricità e alla prima informatizzazione, l’intelligenza artificiale non toglie i posti di lavoro manuali, ripetitivi, noiosi e faticosi per poi redistribuire i lavoratori in mansioni più complesse, evolute e di concetto. Colpisce invece in ‘alto’: se pensiamo a quali lavori possono essere fatti dall’algoritmo, sono quelli che consideriamo di livello piuttosto elevato come prendere decisioni sugli investimenti in una società finanziaria o gestire la logistica in una catena della grande distribuzione organizzata, tutte cose che oggi fanno i manager e i professionisti. Lo stesso coding, ovvero la programmazione informatica, può essere affidato all’algoritmo al posto che ai programmatori”

“Quindi paradossalmente occorre ‘difendere’ le professioni più qualificate ed è la prima volta che succede. Ad esempio in un ristorante sarà costoso e difficile sostituire con l’intelligenza artificiale camerieri e cuochi, perché dovremmo creare dei robot capaci di muoversi in uno spazio senza ferire i clienti; sarà più facile sostituire il direttore e il manager del locale, che fa i turni dei lavoratori, compra il cibo e sceglie il menù: l’algoritmo lo fa benissimo, molto meglio di qualsiasi essere umano, perché può accedere a milioni di informazioni, trovando il cibo migliore al prezzo minore, e può fare il menu sulla base delle preferenze espresse sui social network da parte delle persone che lavorano nella zona e vanno a mangiare lì”. (Marco Schiaffino)

 

4. LE REGOLE E I DIRITTI DEL LAVORO DEL FUTURO

“Tra le tante tematiche che il lavoro del futuro porrà, una posizione preminente è occupata dalle ricadute operative della sempre maggiore condivisione di attività tra lavoratore e IA: quali saranno i rapporti tra quelli che, in prospettiva, potrebbero avere una interazione tale da essere assimilata a quella che esiste tra “colleghi”, e come verranno disciplinati? Quali saranno i limiti di intervento dell’IA? Sarà ipotizzabile un rapporto ‘gerarchico’, e come dovrà essere gestito?

La sfida, per gli operatori del settore e per il legislatore, sarà far sì che l’efficientamento derivante dall’utilizzo e dall’implementazione dell’IA risulti coerente con il rispetto della dignità del lavoratore e la tutela della sua professionalità. Strettamente connessa è la valutazione che l’impatto dell’IA rivestirà anche in tema di privacy: oggi, in aggiunta alla normativa privacy, l’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori disciplina i limiti di controllo a distanza da parte del datore di lavoro, e il rapporto con gli strumenti di lavoro da cui possa derivare anche la possibilità di controllo dell’attività svolta dai lavoratori”.

“Come verrà inquadrata l’IA sotto il profilo privacy? Necessiterà di correttivi? O sarà la normativa a dover essere rivista alla luce delle innovazioni dei prossimi anni? Non dimentichiamo che il Garante della Privacy italiano aveva bloccato per alcune settimane Chat GPT, proprio per profili attinenti al trattamento dei dati personali, alla relativa base giuridica e alle informative rese agli utenti. In relazione ai rapporti tra lavoratore – e più in generale essere umano – e IA sono già tornate al centro del dibattito le tre notissime leggi della robotica di Asimov:

1. Un robot non può recare danno agli esseri umani, né può permettere che, a causa del suo mancato intervento, gli esseri umani ricevano danno
2. Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, tranne nel caso che tali ordini contrastino con la Prima Legge
3. Un robot deve salvaguardare la propria esistenza, purché ciò non contrasti con la Prima e la Seconda Legge.

Ci si è chiesti se queste regole possano essere prese come modello di riferimento per elaborare un sistema che regolamenti le interazioni tra essere umano e IA. Fantascienza del diritto? Non è detto…” (Andrea Ottolini, Avvocato del Lavoro)

 

5. UN LAVORO ATTENTO ALL’AMBIENTE

“Il lavoro non sta sparendo. Nel futuro servirà sempre più lavoro, ma lavoro qualificato, capace di affrontare sfide estremamente complesse poste da una società sempre più complessa. In primo luogo, ovviamente, c’è il tema della crisi climatica e della transizione energetica. C’è un’intera economia da trasformare, interi sistemi produttivi da cambiare. Serve tutto: ingegneri, architetti, tecnici, avvocati, economisti formati rispetto al tema della crisi climatica. E infatti, anzi, oggi le aziende che si occupano di rinnovabili raccontano di lavoratori con un turnover incredibile, perché, essendo lavoratori richiestissimi, a più livelli, si spostano di azienda in azienda” (Elisabetta Ambrosi, giornalista, scrittrice, esperta di lavoro, ambiente, temi di genere)

 

6. LA CENTRALITA’ DELLA FORMAZIONE IN GENERALE

Il problema resta la formazione, che è il vero punto debole del sistema Italia. Perché se tu non formi esperti della transizione ecologica già dalle scuole e dalle università poi ti troverai non solo di fronte alle materie prime che mancano, ma anche di fronte a lavoratori che mancano. La transizione ecologica ed energetica sarebbe un’opportunità incredibile per azzerare la disoccupazione e rilanciare il Paese, proteggerlo e metterlo al riparo da rischi crescenti. Eppure su questo siamo indietrissimo” (Elisabetta Ambrosi)

 

7. L’IMPORTANZA DI UNA FORMAZIONE AL PASSO CON L’INNOVAZIONE

“La transizione verso il lavoro del futuro sarà – come sempre accade, ma probabilmente ancor di più nei prossimi anni – più rapida del ricambio generazionale degli addetti ai lavori. In altre parole: ci sarà chi avrà modo di formarsi prima dell’ingresso nel mondo del lavoro, ma nel medio periodo la transizione avverrà on the job. Occorrerà allora da un lato – per le aziende – predisporre adeguati piani di formazione, per garantire ai lavoratori di poter operare secondo le nuove metodologie di svolgimento delle attività introdotte in azienda, assicurando loro un percorso formativo idoneo che consenta l’apprendimento dei nuovi strumenti o modalità di lavoro, per utilizzare al meglio l’organico in forza all’azienda, anche in un’ottica di efficientamento e contenimento dei costi; dall’altro gli stessi lavoratori – specularmente al loro diritto ad essere formati – dovranno essere pronti a recepire tali nuove modalità, per non correre il rischio di farsi sorpassare dall’innovazione, con conseguenze negative sulle prospettive di occupazione o di carriera.

La normativa attuale (in particolare l’art. 2103 c.c.) già prevede un obbligo formativo da parte del datore di lavoro in caso di mutamento di mansioni del lavoratore: si tratta di un obbligo che dovrà essere declinato anche rispetto alle specifiche innovazioni future. Non solo: in caso di utilizzo di IA, la formazione dovrà anche riguardare ulteriori aspetti, quali i rapporti tra lavoratore e IA, anche – ma non solo – in un’ottica di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, materia oggi disciplinata dal d.lgs. 81/2008”. (Andrea Ottolini)

 

8. UN LAVORO DEL FUTURO UMANISTICO

“È fondamentale che gli studenti imparino comunque a fare ciò che l’intelligenza artificiale sa fare, specie per quanto riguarda la produzione di testi. Questo per poterne mantenere il controllo, senza diventarne dipendenti. E per saperla correggere quando sbaglia. Se vogliamo ‘guidare’ l’intelligenza artificiale, sarà importante padroneggiare per quanto possibile diverse materie di cui la stessa intelligenza artificiale sa occuparsi, senza impigrirci. In questo senso, sarà fondamentale sviluppare competenze interdisciplinari, che insegnino agli studenti come mettere in connessione le varie materie che studiano. Su questo, da sola, trovo che l’intelligenza artificiale sia ancora piuttosto debole.

Inoltre sarà importante che a scuola vengano promosse competenze di “debunking”, di “smascheramento” di informazioni errate e di fake news, con cui le persone dovranno confrontarsi sempre di più in futuro. Per farlo, credo risulteranno sempre più importanti le materie umanistiche. La cultura umanistica e la capacità di mettere in relazione fatti, concetti, riflessioni sono gli elementi su cui l’uomo sarà a lungo più capace e più creativo rispetto alla macchina. Che è e sarà senz’altro invece più performante sul calcolo matematico e sulle discipline scientifiche. Questa combinazione, a mio avviso, potrebbe offrire risultati virtuosi in futuro. È fondamentale che le persone possano restare comunque capaci di controllare le IA senza farsi dominare dalla loro potenza” (Patrick Facciolo, Dottore in tecniche psicologiche e giornalista)

“I mestieri cosiddetti umanistici non sono morti, anzi, anche di quelli avremo sempre più bisogno. Non solo ci servono educatori, storici dell’arte, insegnanti, sempre più formati sul clima, ma ci servono anche scrittori, filosofi, storici, poeti che ragionino su questo momento storico difficilissimo e riescano ad offrire una via di uscita etica da questa situazione. Perché il cambiamento climatico è frutto delle nostre scelte, dei nostri comportamenti e allora la questione non è solo decarbonizzare la nostra economia ma anche le nostre menti. Provare ad immaginare un’alternativa di vita possibile fuori da un sistema capitalistico fossile che non solo non sia castrante come qualcuno dice, ma anzi ci renda persino più felici. Dunque ci serve tantissimo chi indichi la strada, e lo faccia utilizzando la storia, la filosofia, la storia dell’arte, la letteratura, il nostro patrimonio identitario. Insomma ingegneri e tecnici della transizione da un lato, filosofi e veri intellettuali dall’altro. Questo richiede il presente e il futuro e sinceramente mi sento di dire che dovrebbero essere due facce della stessa medaglia. E sono mestieri per nulla disumanizzanti, anzi gratificanti, oltre al fatto che nessuna intelligenza artificiale potrà sostituirli” (Elisabetta Ambrosi)

 

9. UN LAVORO CAPACE DI COMUNICARE

Serviranno sempre più, anche, giornalisti e comunicatori competenti. Sono sempre serviti ma oggi ancora di più, in questa fase complessa e anche drammatica in cui si tratta di spiegare alle persone perché è urgente la transizione, come farla, perché i negazionisti climatici hanno torto e ci porterebbero alla rovina, perché un cambiamento radicale ci consentirebbe da un lato di salvarci e dall’altro di fare una vita migliore. Un messaggio difficile da comunicare e diffondere, e che richiede onestà intellettuale, cultura e competenza. Anche queste sono cose che nessuna intelligenza artificiale potrà mai sostituire” (Elisabetta Ambrosi)

 

10. LE PERSONE AL CENTRO DEL MONDO DEL LAVORO DEL FUTURO

“È la parte più difficile. Perché già oggi nella vita relazionale di tutti noi ‘il ruolo’ lavorativo che ricopriamo risulta spesso dominante rispetto ad altre caratteristiche che ci rendono unici. Basti pensare a una delle prime domande che facciamo quando conosciamo una persona per la prima volta: ‘di cosa ti occupi?’ è spesso una delle cose che chiediamo o che ci viene chiesta. Ci viene quasi spontaneo identificare un percorso lavorativo/professionale con le caratteristiche delle persone stesse. Attribuiamo agli altri un’identità più precisa sulla base di “cosa fanno” nella vita. E facciamo sempre più fatica a disgiungere questi due aspetti, che tuttavia possono essere del tutto transitori, o comunque non rappresentarci in ogni momento della nostra esistenza”.

“Credo in questo senso che quanto sta accadendo dopo la pandemia, il fenomeno delle grandi dimissioni, rappresenti il tentativo legittimo delle persone di sfuggire a questa dinamica. È il tentativo di riappropriarsi della propria capacità di fare aderire di più il lavoro al proprio benessere e alle proprie passioni reali, sottraendosi a degli imperativi sociali che fino a qualche anno fa venivano dati per scontati. Per quanto questo fenomeno delle grandi dimissioni sia molto complesso, è un primo passo che rimette al centro (per la prima volta da molti anni) il potere decisionale del lavoratore e la sua forza contrattuale, che sta costringendo le aziende a un ripensamento importante delle proprie modalità di relazione con i propri dipendenti e collaboratori”. (Patrick Facciolo)