Aziende solide, con i conti a posto e i giovani che crescono. Nemmeno la pandemia ha fermato l’ecosistema del terzo settore che, anzi, si mostra in grado di reagire e inventare strade nuove. Ecco i risultati dello studio specializzato Iris, che ha interrogato quasi 120 aziende ai tempi della pandemia
Sono oltre 6mila le imprese sociali in Italia che danno lavoro a più di 460mila persone; il numero sale a oltre 22mila con quasi 650mila occupati, se alle imprese sociali “di diritto” si aggiungono le cooperative sociali. Un ecosistema in espansione – che ha visto una crescita del 10% dal 2011 e un aumento del personale di circa il 20% – e alquanto solido, se davvero il 40% delle imprese sociali ha più di 10 impiegati. Si tratta fra l’altro di aziende giovani, che versano in un ottimo stato di salute e caratterizzate da un grande impegno da parte dei suoi operatori e radicate nei territori di appartenenza. A segnalarlo è il rapporto Iris – Istituti di Ricerca sull’Impresa Sociale, federazione di gruppi di studio e osservatori specializzati nel fenomeno del no profit. La pubblicazione è stata presentata lo scorso 13 aprile con una diretta Facebook.
Impresa sociale: di cosa si occupa il terzo settore
Si tratta di un cospicuo segmento del mondo del lavoro italiano, che svolge prestazioni sovente fuori mercato in favore di categorie fragili e svantaggiate, occupandosi della terza età, dei servizi sociali, dell’inserimento lavorativo o anche di temi come istruzione e ricerca, cultura, sport, tempo libero, sanità. Preso nel complesso e nella sua definizione più larga il mondo dell’impresa sociale vale oltre 50 miliardi di euro di fatturato e, secondo Iris, la sua diffusione ha consentito a molti cittadini di avere un rapporto nuovo con la pubblica amministrazione e i servizi, visto che questi enti spesso svolgono una funzione sostitutiva o suppletiva degli stessi. È questa l’applicazione più tangibile del principio di sussidiarietà costituzionale. Accanto a questo dato socioeconomico, le imprese sociali hanno dimostrato una interessante resilienza prima e dopo la fase Coronavirus, tipica del regime stesso dell’impresa sociale e della sua peculiare adattabilità e delle semplificazioni del proprio assetto fiscale.
L’indagine condotta da Iris su 118 aziende e 53 responsabili di settore ha dimostrato che “dopo l’incertezza e la confusione iniziale”, l’ecosistema delle imprese sociali ha mostrato “un’ampia capacità di reazione”. Le linee di intervento hanno coinvolto “l’attivazione di nuovi servizi e lo sviluppo di nuovi prodotti”, la migrazione online “di attività educative, di socializzazione e terapeutiche”, il “forte sostegno all’apprendimento online”, la consegna di beni di prima necessità a domicilio, la “predisposizione e gestione di strutture di accoglienza per bambini” e le raccolte fondi “a sostegno di iniziative e strutture” sia pubbliche che private. Secondo Giovanni Fosti, presidente di Fondazione Cariplo, l’ecosistema del no profit ha dimostrato “la solidità organizzativa delle imprese sociali, i loro valori di riferimento, la capacità connettiva con il territorio e l’investimento in competenze”.
Intervenuto alla presentazione del rapporto, il ministro del Lavoro Andrea Orlando ha dichiarato: “Mi sembra giusto continuare a sottolineare l’importanza di questo settore che è cresciuto nel tempo sia in termini di numerosità di imprese, di servizi erogati e di personale assunto; e non è da poco riflettere sulla sua buona capacità di generare occupazione, spesso in controtendenza con altri settori economici. E anche in tempo di crisi le imprese sociali hanno saputo adattare velocemente la propria offerta di servizi, una capacità di rapida rimodulazione che sarà quanto mai essenziale anche durante la ripartenza”.
Leggi anche: Come sono andati i primi cento giorni di Brexit