I giovani spesso ignorano cosa sia l’orientamento, anche se ne avrebbero estremo bisogno. Una ricerca Inapp mette in luce come la maggioranza non abbia le idee chiare sulle proprie competenze e su cosa fare da grande. Dal Pnrr nel frattempo arrivano 200 milioni di fondi per riformare i percorsi di orientamento.
Giovani alla ricerca di se stessi e del proprio, sempre più incerto, futuro. Moltissimi non hanno idea di cosa sia l’orientamento, sconosciuto per un ragazzo su otto, pur essendo la chiave di volta per arginare il problema del loro spaesamento. Li ritrae così una indagine condotta dall’Istituto Inapp sui servizi di orientamento, di cui emergono al momento le prime anticipazioni (“mentre i risultati completi saranno disponibili a fine anno” fa sapere a Dealogando la responsabile della ricerca Anna Grimaldi). I dati raccolti finora “sono però già molto significativi”. Anche rispetto al sempre maggiore fabbisogno di orientamento riscontrato, a cui il Pnrr cerca di rispondere mettendo a disposizione un fondo da 200 milioni.
Giovani che non sanno cosa faranno da grandi
Dei 3642 ragazzi tra i 15 e i 29 anni a cui è stato somministrato il questionario (“non solo tramite le scuole, ma anche al di fuori per andare a indagare anche sugli inattivi” prosegue Grimaldi), “la stragrande maggioranza, oltre il 60 per cento, dichiara di non immaginare il proprio futuro”. Non sanno cosa vorranno fare da grandi, né cosa li aspetterà. E il dato che preoccupa, segnala la studiosa, “è che l’incertezza non riguarda solo i minorenni, ma anche le fasce più alte, come quella che va dai 25 ai 29 anni”. La maggioranza, il 57,3 per cento dei giovani tra i 15 e i 29 anni, non ha alcuna idea “del lavoro che svolgerà nel futuro o delle competenze professionali che vorrà sviluppare” spiega il comunicato Inapp sullo studio.
Incerti anche dopo i 25 anni
A brancolare nel buio e con un grande bisogno di orientamento soprattutto i giovani maschi, senza idee chiare nel 60 per cento dei casi, contro il 55 delle femmine. Una percentuale elevata, ma che resta prevedibile per le fasce di età più basse, quelle che sono ancora a scuola. Più sconfortante che sia interessata la fascia dei 18-24enni. Per loro l’incertezza è al cinquanta per cento, e risulta poi in discesa per chi ha oltre 25 anni, ma comunque attestandosi al 41,2 per cento. Si tratta di “classi di età che potrebbero e dovrebbero essere già inserite nel mercato del lavoro” sottolinea il comunicato. “Sono giovani adulti da cui ci si aspetterebbe altro” commenta Grimaldi, che spiega come tale condizione “non riguardi solo la vita professionale, ma anche quella privata”.
Orientamento, questo sconosciuto
È evidente quindi “come occorra lavorare sull’orientamento, in particolare sulla sua offerta, in un contesto che è profondamente cambiato”. Per esempio sul versante della cultura del lavoro: “I giovani continuano a dare all’occupazione una grande importanza, considerandola il primo passo per la realizzazione personale”. Ma a loro non basta più “il posto fisso con una buona retribuzione” prosegue Grimaldi. Il lavoro “deve invece fare parte del proprio progetto di vita, come ha dimostrato il fenomeno delle grandi dimissioni a cui abbiamo assistito nel post pandemia”
I giovani non conoscono se stessi
Il problema centrale è che “le nuove generazioni non sanno quali siano i propri interessi e non conoscono se stesse”. Come chi li ha precedenti “vanno dietro ai propri sogni”. Ma i sogni “vanno poi inseriti in una progettualità che va loro insegnata”. I giovani devono essere in grado di conoscersi “qui e ora” rimarca Grimaldi. E sviluppare competenze che non siano solo tecniche, ma che li rendano capaci “di affrontare le situazioni, non spaventarsi di fronte alle difficoltà, essere creativi”.
Agire da subito con percorsi di orientamento
E per agire in tal senso, occorre farlo presto, con percorsi di orientamento attivi “fin dalle scuole medie”. Non bastano gli open day e i servizi informativi che offrono scuole e università. Serve orientamento vero, che se ben fatto mette al riparo i giovani da inattività e dispersione scolastica. “Lo hanno dimostrato” ricorda Grimaldi, “alcune sperimentazioni da noi svolte con progetti finalizzati alla conoscenza di sé”. In quei casi “non si sono mai verificati casi di abbandono scolastico”. E portando i ragazzi a conoscersi meglio attraverso l’orientamento si contrasta anche il fenomeno dei Neet, i giovani che non studiano né lavorano. Una piaga per il nostro Paese, che oltre al dramma sociale (in tutto se ne contano tre milioni) costituisce anche “una perdita economica che non possiamo proprio permetterci” conclude la studiosa.
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