Chi gestisce una piattaforma di lavoro nell’ambito della Gig economy afferma che questi tipi di impieghi generano vantaggi economici e flessibilità di orari, ma la mancata regolamentazione in ambito lavorativo non consente di garantire ai lavoratori la sicurezza sociale, l’accesso a forme di sussidio per mancanza di occupazione e l’assicurazione per malattia o infortuni sul posto di lavoro.
La Gig economy sta trasformando radicalmente l’economia. Infatti, non solo rende possibili quegli scenari lavorativi fino ad ora impensabili, ma ha avuto un impatto sulla società così profondo da condizionare i modi di lavorare e consumare di un individuo.
Sicuramente queste innovazioni tecnologiche hanno avuto terreno fertile dopo l’epidemia mondiale da Covid-19, ovvero quando, a causa del distanziamento sociale, è dovuto cambiare il modo di lavorare e di gestire il proprio tempo. Ma commetteremmo un errore se pensassimo che questo fenomeno è un figlio generato esclusivamente dalla pandemia.
Se si parla di Gig economy il riferimento al mondo del Food è presto fatto. Infatti, anche prima del Coronavirus, tantissime startup hanno messo a disposizione servizi di cibo a domicilio, che hanno convinto oltre il 57% degli italiani a scaricare delle app sul loro smartphone per farsi arrivare il cibo direttamente a casa propria.
Ma se fino a qualche tempo fa solo alcune categorie di lavoratori potevano trovare occupazione sulle piattaforme digitali, adesso la platea si è ampliata, includendo profili professionali come: camerieri, fattorini, muratori, grafici e docenti universitari.
Una ricerca condotta dal McKinsey Global Institute ha evidenziato come oltre 160 milioni di persone – sia in Europa che negli Stati Uniti – svolgono abitualmente quelli che canonicamente definiamo “lavoretti”. Queste persone, sempre secondo l’indagine, rappresentano circa il 30% del totale della popolazione in età attiva.
Che cos’è la Gig economy
Ma quindi come possiamo definire la Gig economy? Sicuramente non sbagliamo se le attribuiamo la definizione di ‘rapporto di lavoro di natura occasionale’.
Lo dice il nome stesso, perché ‘gig’ è una parola che viene usata nel mondo musicale e sta a significare proprio la particolare forma di impiego che possono avere gli artisti, genericamente retribuiti con un forfait per ogni singola prestazione.
Come nasce la Gig economy
L’ascesa delle piattaforme digitali ha segnato una svolta epocale. Un passo avanti in quella che alcuni sociologi chiamano “la nuova era delle macchine”, facilitando anche i processi di domanda e offerta di beni e servizi. Infatti, negli ultimi anni le piattaforme digitali non solo sono cresciute numericamente, ma hanno anche attirato moltissimi investitori, a beneficio del loro fatturato.
Un esempio su tutti è quello che vede coinvolta l’imprenditrice digitale, Chiara Ferragni, che nel 2017 ha diversificato i propri investimenti ed è entrata con una quota dell’1,21% nel capitale della Foorban, startup specializzata nella ristorazione a domicilio.
Ma attenzione: nella Gig economy, non ci rientrano soltanto le aziende come unici soggetti figuranti, ma sono coinvolti anche tutti quei lavoratori che offrono un servizio espresso, come autisti e lavori di cura, ma anche ingegneri, commercialisti e altre professioni che vogliono fornire prestazioni lavorative di natura occasionale.
Rischi e opportunità della Gig economy
Più che il lavoro subordinato, quindi, è il lavoro autonomo che sembra candidarsi a potenziale destinatario dei vantaggi messi a disposizione dalle nuove tecnologie. Ma l’esplosione delle piattaforme digitali ha comportato anche molto proteste da parte dei lavoratori, specialmente nel settore del Food delivery. Conflitti che hanno stimolato, nei governi europei, un dibattito sui rischi che la loro affermazione comporta sui mercati economici.
Secondo le norme che regolano il diritto al lavoro, infatti, un’azienda – che sia essa fisica o virtuale – deve sempre rispettare diversi parametri: garantire ai lavoratori la sicurezza sociale, l’accesso a forme di sussidio per mancanza di occupazione e l’assicurazione per malattia o infortuni sul posto di lavoro.
Cosa dice la Legge
Per i Paesi europei, come Italia e Francia, i driver di Deliveroo o gli autisti di Uber sono qualificati come lavoratori autonomi, ma è indispensabile garantire loro – ed è per questo che ciclicamente infiammano le proteste – un adeguato salario, come regolato dall’articolo 36 della Costituzione.
Invece, siamo ancora lontani dall’avere una giusta regolamentazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Senza dimenticare che, queste forme di impiego, è vero che consentono alla persona di lavorare in modo autonomo al di fuori delle strutture tradizionali, ma, in egual modo, gli orari non sono specificati e il salario è minimo.
Il futuro della Gig economy
Si è tentato in diverse occasioni di regolamentare il lavoro di queste piattaforme attraverso sindacati, cooperative e comitati aziendali, ma la strada è ancora lunga e in salita. Chi gestisce una piattaforma – e ne è quindi proprietario – afferma che questi tipi di impieghi generano vantaggi economici per i gruppi di persone socialmente emarginati, tra cui disoccupati, rifugiati o chi si trova geograficamente isolato.
Tuttavia, lavorare nella Gig economy come principale fonte di reddito, non garantisce ancora ai lavoratori un salario dignitoso, ferie e congedi retribuiti, il versamento dei contributi pensionistici, la regolamentazione dell’orario di lavoro e l’accesso ad assicurazioni o regimi sanitari. È inevitabile, quindi, regolamentare la legge in materia di lavoro anche per la Gig economy.
Questo potrebbe agevolare la nascita di nuove startup che potrebbero davvero fare la differenza. Si pensa già ad aziende interamente digitalizzate e specializzate in lavori che possono essere svolti sì a distanza, ma con tutte le agevolazioni del caso.
Senza questa regolamentazione, non solo continuerà a crescere il malcontento dei lavoratori, ma ci potrebbero essere dei conflitti tra le diverse legislazioni nazionali sul lavoro. E ancora, se ogni azienda della Gig economy seguisse le stesse regole, diminuirebbe di gran lunga il divario tra i lavoratori abituati a ricevere salari elevati e quelli abituati a condizioni meno vantaggiose.