In Italia, stando al Referto sul sistema universitario 2021, la fuga dei cervelli riguarda giovani laureati che, preoccupati per il precariato, decidono di andare a lavorare all’estero. I ricercatori sono i maggiori protagonisti dell’emigrazione

Dei “cervelli in fuga dall’Italia”, ovvero tutti quei giovani che hanno deciso di portare la propria professionalità e competenza all’estero, se ne parla profusamente da diversi anni.

A decidere di andar via sono soprattutto gli attuali trentenni, quelli cresciuti tra Erasmus e globalizzazione, tra la rivoluzione del web e il sogno europeo, e che hanno fatto le valigie per il bisogno di realizzare la loro vita professionale e lasciare un Paese in cui erano – a detta loro – considerati degli “invisibili”.

I numeri della Corte dei Conti

Stando al Referto sul sistema universitario 2021 – approvato dalla Corte dei Conti – in Italia, la quota dei giovani adulti con una laurea è aumentata costantemente durante l’ultimo decennio, ma resta comunque inferiore rispetto agli altri Paesi dell’Ocse.

Un fenomeno riconducibile sia alle persistenti difficoltà di entrata nel mercato del lavoro sia al fatto che il possesso della laurea non offre, come invece avviene in area Ocse, possibilità d’impiego maggiori rispetto a quelle di chi ha un livello di istruzione inferiore: ed ecco spiegata la fuga dei cervelli dall’Italia.

Sempre secondo il report della Corte dei Conti, infatti, in Italia un laureato guadagna il 39% in più di qualcuno senza un titolo di studio, contro una media Ocse del 57%. Inoltre, a causa delle difficoltà nell’ottenere un contratto a tempo indeterminato, è più facile decidere di espatriare.

Se ci aggiungiamo una preoccupante diffusione del lavoro precario, fenomeno che colpisce soprattutto i ricercatori (i maggiori protagonisti dell’emigrazione) non è difficile immaginarsi il perché di una scelta simile.

Le parole del Nobel Parisi sulla fuga di cervelli

Anche il premio Nobel Giorgio Parisi è entrato nel merito della vicenda e, durante un discorso tenutosi all’Istituto di fisica teorica Abdus Salam di Trieste, ha detto:

L’Italia non è accogliente in generale per i giovani e non è accogliente per i ricercatori. Se non ci sono posti per fare ricerca, è chiaro che i giovani vanno all’estero. Dovremmo dunque puntare a far diventare l’Italia accogliente, per esempio, con impieghi a tempo indeterminato in numero congruo, perché non si può innaffiare un campo soltanto una volta al mese.

Dunque, secondo Parisi, per scongiurare la fuga dei cervelli dall’Italia serve soprattutto aumentare i finanziamenti alle Università, senza i quali, il fisico è certo che il “nostro tessuto sociale e culturale si impoverirà sempre di più dalla decisione dei giovani italiani di andare via dal nostro Paese”.

Cosa dice l’Istat sui giovani laureati italiani che vanno a lavorare all’estero

Spesso sentiamo dire una frase che ormai è stata resa celebre anche da alcuni esponenti politici: “questo non è un Paese per giovani”. A confermare quello che vorremmo tanto fosse solo un luogo comune ci sono anche le ultime rilevazioni dell’Istat: sono 33 mila i giovani laureati che lasciano l’Italia per andare a lavorare all’estero e di questi un terzo dichiara di non voler più tornare.

A motivare la “fuga” dall’Italia, sempre secondo l’Istat, sono i dati raccolti negli anni in merito alla valorizzazione dell’istruzione: a 5 anni dalla laurea i giovani espatriati guadagnano il 61% in più rispetto ad un loro connazionale rimasto in Italia e a pari titolo di studio.

La fuga dei cervelli vista con gli occhi di chi decide di espatriare

Nel libro Exit Only (Laterza, 2021), l’autrice Giulia Pastorella racconta l’esperienza di chi, come lei, ha deciso di andar via dall’Italia, smontando anche gli stereotipi e il dibattito semplicistico intorno agli expat, ovvero i giovani laureati italiani che vanno a lavorare all’estero.

Alla base di molte storie raccontate nel libro c’è la miopia tutta italiana di non riconoscere una generazione che ha il bisogno di scavalcare i confini. Giovani menti curiose che credono nello scambio delle competenze e nella necessità di avere nuovi stimoli che, in un Paese profondamente “in là con l’età” – com’è l’Italia – sembra impossibile da soddisfare.

Secondo le storie degli expat, per il 40% dei giovani laureati l’offerta lavorativa nel nostro Paese non è adeguata al grado di istruzione raggiunto e la disparità tra la domanda di lavoro e l’effettiva offerta genera quello che viene chiamato “fenomeno dell’overqualification”, ovvero persone che vengono assunte per posizioni inferiori alle loro competenze.

Le proposte del governo per frenare i cervelli in fuga dall’Italia

Per far fronte a questa emergenza, il governo ha provato a fermare questa emorragia con un provvedimento varato nel decreto Crescita (legge in vigore dal 1 maggio).

A partire dal 2020, infatti, i lavoratori che hanno passato all’estero gli ultimi due anni e sono pronti a tornare per restare in patria almeno un altro biennio, hanno potuto usufruire di uno sgravio fiscale Irpef (imposta sul reddito personale) per almeno 5 anni. Il provvedimento, inoltre, ha incluso anche gli stranieri che scelgono l’Italia per vivere e lavorare.

“Briciole”, le hanno definite chi ha provato ad usufruire dello sgravio fiscale, perché servono dei piani ben strutturati per l’inserimento nel mondo del lavoro dei giovani. E chi sa se il Pnrr, che ha promesso proprio di aiutare le categorie sfavorite, come donne e giovani, possa fare di più. Le conseguenze sarebbero disastrose in termini di crescita: saremmo un Paese ad appannaggio esclusivo di pensionati.

 

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