L’equo compenso verrà garantito ai soli professionisti con un ordine professionale di riferimento. La legge approvata al Senato lascia fuori almeno 800mila autonomi. Tra loro copywriter, designer e “altre professioni che verranno”. La denuncia arriva dall’associazione dei professionisti Acta, che chiede l’estensione della misura a tutti i lavoratori non dipendenti. 

Da inizio anno i professionisti dotati di un ordine di riferimento possono contare grazie a una legge sul cosiddetto equo compenso. Una retribuzione giusta che andrebbe estesa a tutti, com’è previsto anche dalla Costituzione, all’articolo 36. Invece con la proposta di legge approvata definitivamente al Senato il 12 aprile scorsorestano fuori gli 800mila professionisti senza un ordine di appartenenza. A denunciarlo è Acta, l’associazione dei freelance.

 

Acta non più presente al tavolo per la legge sull’equo compenso

Fino al precedente governo Acta aveva partecipato ai lavori per la stesura del testo della norma: “Avevamo un tavolo di lavoro al Cnel insieme alle associazioni di categoria” sottolinea con Dealogando Silvia Santilli, avvocato e esponente dell’organizzazione. L’obiettivo era quello di estendere la norma all’intera platea dei lavoratori autonomi. Ma una volta cambiata la legislatura “non siamo più stati convocati”. Né ascoltati: “Non c’è stato verso” dice l’avvocato, “di dare seguito alle nostre richieste”. Con il risultato di lasciare fuori dal perimetro della norma un esercito di professionisti, quelli non ordinistici. E approvare così una legge che “non ascolta i bisogni reali di centinaia di migliaia di lavoratori freelance e non prende atto dei cambiamenti intervenuti nel nuovo lavoro autonomo” si legge sul sito di Acta.

 

L’equo compenso viene dal passato

La legge sull’equo compenso non è in realtà frutto delle sole politiche del nuovo governo.  “Dietro la firma dell’attuale esecutivo Meloni ci sono vari disegni di legge definiti in passato, con il contributo di tutte le forze politiche” commenta Santilli. E le criticità del testo finale secondo Acta sono diverse. Riguardano in primis le singole categorie di lavoratori autonomi coinvolte. Che sono appunto solo alcune, e cioè quelle raggruppate sotto un ordine professionale come avvocati, notai, giornalisti. Si aggiungono poi i lavoratori contemplati dalla legge sulle professioni non riconosciute (la 4 del 2013), “come ad esempio gli amministratori di condominio o gli osteopati” prosegue Santilli.

 

Le categorie fuori dall’equo compenso

Restano fuori tutti gli altri, “web designer, copywriter e altre fattispecie di lavoratori autonomi”. Tutte categorie “che per i compensi dovranno rifarsi al libero mercato”. Ma anche per chi potrà giovare del cosiddetto equo compenso, i professionisti dotati di un ordine, ci saranno dei paletti: la legge infatti non si applica sempre, ma solo nel caso di imprese con più di 50 dipendenti e di contratti con le pubbliche amministrazioni.

 

I tariffari per quantificare l’equo compenso

Cosa vuol dire poi equo compenso? È un’espressione “che va riempita di contenuto, gli ordini professionali dovranno emanare i propri tariffari” dice l’esponente di Acta. Nel frattempo però i più colpiti saranno i lavoratori autonomi più fragili. I professionisti senza un ordine sono spesso più dinamici ma anche i più esposti alle pressioni del mercato e alla richiesta di flessibilità estrema, molte volte costretti ad accettare compensi iniqui”, si legge sul sito di Acta.

 

I professionisti senza equo compenso sono anche i più poveri

Che rimarca anche come i non ordinistici abbiano subito negli ultimi anni la maggiore contrazione del reddito, passando secondo i dati della gestione separata Inps – la cassa previdenziale di loro riferimento – dai 17mila euro del 2015 ai 15mila del 2021, in calo del 12,7 per cento: “Una diminuzione in termini nominali che nasconde una caduta ancora più ampia in termini reali” scrivono da Acta. Dall’altro lato chi è iscritto a un ordine guadagna nettamente di più. Come riferisce Acta, “il reddito medio nel 2021 è stato di 35.989 euro, con una crescita del 5,8 per cento rispetto al 2015, quando il reddito era di 33.955 euro”.

 

Una legge a favore del corporativismo

La conclusione “è che con la legge sull’equo compenso si ragiona in termini di corporativismo, invece di andare nella direzione di una tutela universale”, afferma Santilli. L’equo compenso “deve essere riconosciuto a chiunque eserciti una professione autonoma”. Anche perché “il futuro sarà sempre più caratterizzato da nuove professioni”, che per definizione restano fuori dal tracciato degli ordini professionali. E per quanto riguarda gli importi delle loro retribuzioni, la proposta di Acta è che “il riferimento sia il Contratto collettivo nazionale, con una maggiorazione del 25 per cento a copertura del rischio di impresa di cui un autonomo si fa carico”. E poi si dovrà lavorare anche in termini di applicazione pratica della legge. “Difficilmente ci si potrà scagliare contro un grande committente, andando in giudizio per vedersi applicato l’equo compenso”, evidenzia Santilli. Le controversie, è l’appello di Acta, andrebbero quantomeno “esaminate dal giudice del Lavoro, quindi con una procedura più rapida, semplice e meno costosa, per rendere davvero efficace la normativa”.

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