Il tema dell’equità e dell’inclusività è già da tempo al centro delle policy aziendali dei grandi gruppi americani, ma anche l’Europa sta muovendo i suoi primi passi verso questa direzione. Tra le aziende italiane più inclusive è interessante il caso di Prada
La cultura aziendale – intesa come principi umani e sociali da rispettare in un posto di lavoro – in questo momento storico, caratterizzato ancora dal distanziamento fisico, diventa il perno attorno a cui ruota il successo dell’azienda stessa.
Ecco perché è indispensabile lavorare sul livello della comunicazione interna puntando sul concetto di comunità, il quale pone le basi per sviluppare modelli di equità e inclusività, valori che incidono particolarmente sia sugli obiettivi da raggiungere sia sul fatturato annuo.
Diversity Leaders, il report realizzato dal Financial Times sulle realtà aziendali europee più inclusive, ha valutato la percezione che i dipendenti hanno dell’equità in azienda, così come gli sforzi fatti per promuovere vari aspetti della diversità relative a età, genere, etnia, disabilità e orientamento sessuale.
L’equità in ottica aziendale
Il tema dell’equità e dell’inclusività è già da tempo al centro delle policy aziendali dei grandi gruppi americani, ma anche l’Europa – come ci mostra il report del Financial Times – sta muovendo i suoi primi passi verso questa direzione.
Molte aziende, specializzate nel settore beauty o dell’alta moda, hanno reso questi principi la base per costruire un nuovo modello di business. È il caso di realtà come Hermés, Armani, Hugo Boss, ma anche Sephora.
Infatti, nonostante in ritardo rispetto ad altri settori, negli ultimi due anni anche il mondo del fashion ha messo in cima alle sue priorità il tema dell’inclusione, annunciando la nomina di responsabili con il compito di vigilare sulla diversità all’interno delle aziende.
Le aziende più inclusive
Il report del Financial Times è stato strutturato come una classifica delle aziende più inclusive nel panorama europeo; il primo nome che spicca è sicuramente quello dell’azienda francese di alta moda Hermés, che ha conquistato la quinta posizione, facendo un balzo rispetto a un anno fa quando si era classificato 575esimo su 700.
Subito sotto, al sesto posto, si posiziona Giorgio Armani, la prima delle 35 aziende italiane a comparire nel ranking. Nella top 100 entra anche Prada, al numero 57, e Hugo Boss alla posizione 97.
Il caso Prada
A proposito del gruppo Prada, di recente Miuccia Prada e Patrizio Bertelli hanno annunciato diverse novità riguardanti la loro azienda, una tra tutte la nomina dello scorso ottobre di Malika Savell a chief diversity, equity & inclusion officer per Prada North America. Una figura appena nata nel panorama aziendale.
Quest’azione ha puntato a rafforzare l’impegno in materia di diversità, equità e inclusione all’interno dell’azienda e nell’industria della moda in generale, che la maison sta portando avanti da alcuni anni. Malika Savell dopo la nomina a responsabile di settore, ha dichiarato:
Riconosciamo che esistono tante barriere che ostacolano l’accesso a questo settore e, proprio per questo, vogliamo sviluppare nuovi programmi di formazione per sostenere il percorso degli aspiranti professionisti nella moda, investendo in una prossima generazione di talenti diversi.
Le aziende italiane in classifica
A parte il caso di Prada – che rappresenta al momento quasi un unicum – continuando con la classifica in rappresentanza dell’Italia nelle prime 100 posizioni troviamo, al 71esimo posto, la beauty company Kiko Milano, mentre al numero 111 compare Benetton Group e al 711 il Gruppo Calzedonia.
Equità e inclusione: i progressi dei grandi gruppi del lusso
Il Financial Times ha ideato un sondaggio dove i dipendenti possono valutare i progressi in materia di inclusività. Secondo il report realizzato in base alle risposte di questo sondaggio è emerso che tra le 850 aziende più inclusive non compare il colosso del lusso Lvmh, anche se figurano alcuni marchi del gruppo, come Sephora in 49esima posizione e Louis Vuitton in 161esima.
Kering, invece, si classifica solamente al 715esimo posto, in quanto l’analisi sottolinea che il gruppo francese ha lavorato con impegno sul gender gap, aumentando il numero di donne nel suo cda, ma che ha performance meno brillanti sul fronte “age” e “ethnicity” (età ed etnia ndr).