Secondo alcuni studi e ricerche, sul lavoro le donne sono più propense ad accettare compiti che non si traducono in un avanzamento di carriera e il gender gap tende a consolidarsi proprio per via di una serie di aspettative sociali legate al genere

In ogni posto di lavoro ci sono compiti che nessuno vuole svolgere: può trattarsi di pulire il frigorifero della sala relax, di organizzare una festa in ufficio o di prendere parte a qualche iniziativa. Attività che richiedono tempo e che non prevedono una ricompensa, oltre a non portare a una promozione o a un aumento di stipendio: nella maggior parte dei casi a portare avanti queste attività sono le donne.

A riportarlo è l’analisi delle ricercatrici Lise Vesterlund, Maria Recalde e Linda C. Babcock, quest’ultima autrice anche di “Le donne non chiedono. Perché le donne contrattano meno degli uomini negli affari, nella professione, nella vita privata”. Babcock afferma, insieme alle colleghe, di essersi interessata a questo tema come scienziata perché si era resa conto che dedicava così tanto tempo ad attività che esulavano dai suoi incarichi durante le giornate lavorative, da non riuscire mai a raggiungere gli obiettivi professionali che si era prefissata.

La ricerca è stata pubblicata dall’American Economic Review e dimostra che le donne, oltre a dedicare più tempo a questo tipo di compiti, tendono anche ad offrirsi di propria spontanea volontà. Per esempio, secondo il National Survey of Postsecondary Faculty (NSOPF), il principale ente federale per la raccolta e l’analisi dei dati relativi all’istruzione negli Stati Uniti, le docenti dedicano il 15% di ore in più al fare commissioni e i compiti che svolgono sono diversi rispetto a quelli dei colleghi.

Al fine di comprendere le ragioni che spingono a svolgere attività che non portano ad un avanzamento di carriera, le scienziate hanno studiato le differenze nella risposta alle richieste e alle offerte di svolgere tali compiti e le possibili cause. È risultato che, per esempio, il 7% delle docenti si offre volontario per far parte di una commissione dopo aver ricevuto una richiesta via e-mail, rispetto al 2,6% dei docenti uomini. Con questa consapevolezza le tre ricercatrici hanno deciso di mettere in atto alcuni esperimenti per comprendere in profondità il fenomeno.

In uno di questi esperimenti i partecipanti sono stati divisi in gruppi di tre. Ai membri di ogni gruppo sono stati dati 2 minuti durante i quali potevano cliccare su un pulsante per decidere se volessero o meno presiedere la commissione. Se nessuno nell’arco di due minuti avesse cliccato il pulsante, tutti avrebbero ricevuto un dollaro. Se qualcuno avesse cliccato il pulsante, avrebbe ricevuto 1,25 dollari. Dal risultato si è compreso che non solo è nell’interesse di tutti che qualcuno clicchi sul pulsante, ma anche che le donne si sono offerte volontarie per circa il 34% del tempo, mentre gli uomini per circa il 23%.

Un altro esperimento prevedeva sessioni a cui partecipavano solo uomini o solo donne. Se fosse vero che le differenze di genere negli investimenti sono dovute al fatto che le donne sono più conformiste, più altruiste o più propense al cambiamento, si sarebbe ottenuto un tasso di investimento più elevato nelle sessioni con sole donne rispetto a quelle con soli uomini. I risultati, invece, mostrano che non è vero che le donne sono più propense degli uomini a investire. Infatti, il tasso di successo è stato dell’81% nei gruppi di sole donne e dell’80% in quelli di soli uomini, senza differenze significative. Questo suggerisce che sono le convinzioni che abbiamo a determinare la differenza di genere documentata nel primo esperimento.

 

Quando è una questione di aspettative sociali

Se nell’immaginario collettivo la donna è etichettata come più propensa ad accettare incarichi di questo tipo, nella realtà non è così, ma a causa dell’aspettativa sociale la sua tendenza sarà quella di accettare e offrirsi volontaria per queste attività.

A questo proposito, Maria Giulia Trupia, Borsista post-dottorato nel dipartimento di Behavioral Decision Making dell’Università della California a Los Angeles (UCLA) aggiunge: “A mio avviso molte donne cercano meno incarichi di alto rilievo anche per una questione di tempo. Più degli uomini, le donne sentono di avere poco tempo a disposizione, perché sono ancora loro che si occupano maggiormente della cura dei figli, per esempio. Quando si sente di avere meno tempo a disposizione, si tende ad accettare meno volentieri attività che quel tempo lo portano via, proprio come succede nel caso di un incarico che comporta maggiore responsabilità.”

Uomini e donne che svolgono le stesse mansioni sono spesso pagati in modo diverso, non solo per ragioni culturali, ma anche come conseguenza della diversa gestione del tempo, che quasi mai è una scelta volontaria ma una necessità: quando ci si deve prendere cura di un figlio o di un familiare e non ci sono alternative, ad esempio, se non quella di diminuire le ore di lavoro, come riporta una recente ricerca Istat. 

La conclusione degli esperimenti è che il divario di genere, quando si parla di avanzamento nella propria carriera, si consolida anche nella convinzione che le donne, più degli uomini, siano predisposte ad offrirsi volontarie per svolgere compiti diversi da quelli per cui sono state assunte o per cui è stata proposta loro una collaborazione. La realtà è che non hanno un’effettiva propensione, bensì è l’aspettativa sociale che le spinge ad accettare questi compiti e lo stesso ambiente di lavoro contribuisce ad alimentare questa dinamica.

 

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