A dicembre l’Italia ha approvato un protocollo che stabilisce regole e linee guida per lo smart working nel settore privato: a differenza di quanto accaduto nel periodo dell’emergenza sanitaria, “avviene su base volontaria ed è subordinata alla sottoscrizione di un accordo individuale”

Una recente legge portoghese ha cambiato il modo di intendere e inquadrare lo smart working, facendo anche registrare un record: è stata, infatti, la prima norma in Europa (e tra le prime nel mondo) che ha fornito non solo maggiori tutele ai lavoratori che operano a distanza, ma che ha anche attirato all’interno dei propri confini aziende dall’alto valore tecnologico e “nomadi digitali”. Il motivo di tutta questa attenzione è semplice: la legge impedisce al datore di contattare il dipendente dopo l’orario di lavoro riconoscendo di fatto al lavoratore il diritto alla disconnessione.

Del resto, la pandemia e il lavoro trasferito all’interno delle mura domestiche hanno aumentato per molte persone l’intensità, la reperibilità e anche le ore di lavoro effettive. Perché se si sta più tempo chiusi in casa può aumentare il tempo che si passa davanti al computer e se poi arriva una mail del proprio capo proprio mentre si sta spegnendo il pc, diventa difficile non rispondere. Così facendo si alimenta un’abitudine molto pericolosa, soprattutto per la nostra salute mentale e per gli equilibri aziendali.

Diritto alla disconnessione: la definizione

Per diritto alla disconnessione si intende la possibilità di lavorare da casa (o in generale non presente in ufficio) e fermarsi al termine dell’orario di lavoro stabilito. Si tratta naturalmente di un tema che va oltre lo smart working, ma che per ovvi motivi – alcuni dei quali elencati precedentemente – è decisamente attuale da due anni a questa parte.

Quali rischi per chi non si disconnette?

Regolamentare il più possibile lo smart working e il conseguente diritto alla disconnessione è una necessità. Studi recenti dimostrano come la costante presenza online e la voglia di dover continuamente dimostrare di essere “sul pezzo” abbia inciso negativamente sulla salute mentale dei dipendenti, complice anche uno smart working “improvvisato” (come quello della prima fase pandemica). La totale mancanza di un diritto alla disconnessione, inteso come la possibilità di staccare la spina e riposare senza doveri, timori o senso di responsabilità e reperibilità, ha portato tante persone a soffrire di stress da lavoro correlato. Si tratta di una condizione già di suo non ottimale ma che in questo caso si è aggiunta all’ansia e alla paura del periodo storico caratterizzato dalla pandemia. 

Diritto alla disconnessione in Europa

Parlare di diritto alla disconnessione è diventato ancora più rilevante negli ultimi mesi, dal momento che molti lavoratori arrivano addirittura a chiedersi se nel tempo libero sia un loro diritto staccare del tutto, essere in qualche modo irreperibili. La risposta è: assolutamente sì, per legge.

In Europa ci sono solo cinque Paesi con una normativa specifica che riconosce il diritto alla disconnessione: Italia, Francia, Belgio, Spagna e Portogallo. In Germania, invece, ci sono diversi accordi aziendali che lo prevedono. Ma quello che fa ben sperare è che a maggio dello scorso anno lo stesso Parlamento europeo ha avviato un progetto legislativo per la regolamentazione del diritto alla disconnessione.

Diritto alla disconnessione e smart working in Italia: passi in avanti

Per quanto riguarda l’Italia, su queste tematiche, un importante passo in avanti è stato compiuto prima con la regolamentazione dello smart working nella Pubblica amministrazione, poi  a dicembre con l’approvazione di un protocollo che stabilisce regole e linee guida per lo smart working nel settore privato dove – si legge nel documento – l’adesione al lavoro agile, a differenza di quanto accaduto nel periodo dell’emergenza sanitaria, “avviene su base volontaria ed è subordinata alla sottoscrizione di un accordo individuale”.

In questo accordo dovranno essere esplicitati in maniera chiara alcuni punti tra cui la durata, l’alternanza dei periodi di lavoro domestico e in azienda, le forme di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro, i luoghi di lavoro (che saranno scelti di comune accordo tra dipendente e datore) e ovviamente i tempi di riposo del lavoratore e le misure necessarie ad assicurare la disconnessione e quindi la salute del lavoratore. 

Inoltre, il datore di lavoro è chiamato a fornire la strumentazione tecnologica necessaria allo svolgimento delle mansioni del dipendente, ma sarà possibile concordare l’utilizzo di strumenti di proprietà del lavoratore previo un accordo di indennizzo a tutela del dipendente. Una norma naturale che si attendeva da tempo e che – si spera – servirà a riequilibrare un sistema di lavoro che rischiava di trasformarsi in una trappola per molti.