Lo chef Rene Redzepi ha deciso di chiudere il Noma, uno dei migliori ristoranti al mondo, perché non riesce a garantire stipendi equi ai suoi circa 100 dipendenti, mantenere alti gli standard e al contempo proporre prezzi accettabili per i clienti. La scelta fa riflettere sull’effettiva sostenibilità dell’alta cucina, in un settore sempre più competitivo, influenzato dalle guide gastronomiche

Lo chef René Redzepi nell’annunciare la chiusura della versione tradizionale di quello che è considerato uno dei migliori ristoranti al mondo, il Noma di Copenaghen, ha detto di voler ripensare il ristorante, dimostrando che «si può invecchiare e restare creativi». «La cucina stellata deve reinventare la sua intera industria, così è semplicemente tutto troppo difficile – ha dichiarato al New York Times. «Finanziariamente ed emotivamente non funziona: come imprenditore e come essere umano sento il bisogno di cambiare». La versione 3.0 del ristorante sarà un “laboratorio” che a partire dalla fine del 2024 sperimenterà nuovi prodotti e piatti, che verranno poi commercializzati attraverso un e-commerce e “pop-up” store, attivi in varie città. Redzepi, che ha 45 anni, è danese e ha origini albanese, ha precisato che non licenzierà il suo staff, ma ha giustificato la chiusura del tradizionale ristorante – il cui menù degustazione si aggira intorno ai 500 euro a persona, e la lista d’attesa è molto lunga – dicendo che l’alta cucina non sarebbe più «economicamente ed emotivamente sostenibile». Secondo Redzepi, visto l’«estenuante lavoro di molte ore» che richiede, non sarebbe possibile retribuire in modo equo i circa 100 dipendenti del Noma, proporre prezzi a un livello accettabile per i clienti e mantenere alti gli standard.

Perché il Noma è il Noma

Aperto nel 2004, il Noma negli ultimi anni ha avuto una grande influenza sulla ristorazione stellata. La sua cucina, più volte indicata come la migliore in assoluto dalle guide di settore, era già stata ripensata nel 2018, anno in cui – in occasione del cambio di sede – era stato rivoluzionato il menù e rinnovato lo stile. L’idea di ristorazione di Redzepi è diventata un punto di riferimento perché sfrutta ingredienti tipici della cultura scandinava, raccolti in loco e rielaborati grazie a lunghe lavorazioni che ne vanno a esaltare i sapori. Il Noma, inoltre, è famoso per il suo approccio sperimentale nei confronti delle materie prime: vengono utilizzati ingredienti non convenzionali, inusuali per l’alta cucina e nei piatti sono presenti piante non comuni. Redzepi, inoltre, ha aperto la strada ai processi di fermentazione, diventati nel tempo una vera e propria tendenza anche al di fuori della cucina stellata. Per le molte novità che hanno saputo introdurre, e per aver reso celebre uno stile culinario definito New Nordic (molto imitato anche ad altre latitudini), nel 2021 il Noma aveva vinto per la quinta volta il titolo di Miglior ristorante al mondo, secondo l’organizzazione World’s 50 Best Restaurants. Nel settembre dello stesso anno aveva ottenuto dalla guida Michelin la terza stella – un riconoscimento che molti hanno considerato tardivo.

Da dove nasce l’insostenibilità del Noma

Il Noma in passato era stato molto criticato per l’utilizzo di un alto numero di tirocinanti non retribuiti. Gli oltre 20 stagisti che ruotano nel ristorante sono via via attratti dalla possibilità di apprendere i metodi e segreti del Noma, nonché dalla possibilità di inserire in curriculum una esperienza lavorativa in quello che per molti è il miglior ristorante al mondo. Eppure, alcuni di loro avevano definito “tossico” l’ambiente di lavoro , e avevano denunciato il fatto che venivano impiegati per un singolo compito – spesso da eseguire in rigoroso silenzio – per tutta la durata dell’internship. Uno stagista, ad esempio, ha raccontato di aver composto per tre mesi solo finti insetti di ricavati da una purea di frutta a cui viene tolta l’acqua: un lavoro di manifattura complesso, in cui ha imparato poco per il suo futuro professionale, nonostante la rilevanza di inserire nel curriculum un tirocinio al Noma. Lo stesso Redzepi è noto nel settore dell’alta cucina per avere un carattere difficile, modi bruschi e comportamenti ai limiti del bullismo nei confronti dei suoi sottoposti. Nel corso degli anni ha detto di aver lavorato per migliorare la sua leadership, ma oggi gestire un ristorante di questo livello, oltre che essere insostenibile a livello economico, è diventato per lui troppo stressante.

Il “sistema-Michelin”

Il cambio di direzione annunciato da Redzepi per certi versi va contro il sistema prodotto e alimentato negli anni dalla guida Michelin, di cui lo stesso Noma si è nutrito, insieme a una moltitudine di guide e organizzazioni gastronomiche sempre più influenti. Per i ristoranti avere una, due o persino tre stelle è visto come un traguardo importantissimo, in un settore molto competitivo e in cui il prestigio fa la differenza. Guadagnare una stella Michelin infatti ha un importante ritorno in termini di marketing, con grandi ricadute economiche. Nel 2017, a testimonianza dell’importanza data alle stelle, la tavola calda Bouche à Oreille di Parigi, con un menù a poco più di dieci euro, finì per sbaglio tra i nuovi ristoranti stellati, confusa con un omonimo ristorante nelle vicinanze: per settimane, nonostante l’errore fosse poi stato risolto, venne invasa dai clienti. Ma se aggiudicarsi una o più stelle, e in rari casi anche tre, accresce quasi matematicamente il fatturato del ristorante, aumentano di conseguenza anche gli investimenti da sostenere per mantenere alti gli standard.

Per alcuni chef tutto questo rappresenta una responsabilità eccessiva: il francese Sebastien Bras ad esempio chiese alla guida che gli fossero tolte le tre stelle, che gli generavano troppa ansia, mentre il suo connazionale Marc Veyrat  raccontò di aver passato mesi in depressione dopo essere retrocesso a due stelle. Il “sistema-Michelin” fu messo in discussione soprattutto a seguito dell’uscita del libro L’ispettore si siede a tavola di Pascal Remy, in cui il critico raccontava la sua esperienza di sedici anni di lavoro, come per l’appunto ispettore della guida Michelin, e denunciava visite molto meno frequenti di quanto dichiarato, un organico molto ridotto e un certo favoritismo nei confronti dei grandi chef più noti al pubblico. Resta da vedere se il Noma 3.0 immaginato da Redzepi contribuirà a mettere in discussione l’intero sistema dell’alta cucina, o se il mondo della ristorazione stellata continuerà a essere visto dagli addetti ai lavori come la Champions League degli chef, e il prestigio generato dai riconoscimenti la sua coppa.

 

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