Il gender gap è un problema con un importante peso sociale, a livello di diritti, e un costo economico molto alto: per questo una delle missioni del Pnrr è dedicata al contrasto di questo fenomeno e alla messa in campo di iniziative concrete per diffondere una cultura dell’uguaglianza e dell’inclusione, affinché colmino un profondo divario che – tra le altre cose – rallenta la ripresa del Paese. La parità di genere certificata sul lavoro è una di queste

È un tema che – fortunatamente – è riuscito a catturare sempre più attenzione nel corso del tempo, e oggi riusciamo a vedere passi concreti con l’obiettivo di raggiungerla: parliamo della parità di genere, in Italia (come, del resto, anche in altri paesi) ancora lontana per quanto riguarda il contesto lavorativo, quindi sul fronte della parità salariale, delle opportunità di carriera e della tutela della maternità. Affinché lavoratrici e lavoratori abbiano oggi le stesse tutele e possibilità sono diversi i passi da compiere, soprattutto perché quello del gender gap è – in buona parte – anche un problema culturale, le cui conseguenze hanno portato ad una situazione in cui le donne continuano a ricevere stipendi più bassi degli uomini a parità di ruolo (gender pay gap), a vedersi relegate in ruoli di minor responsabilità, ad avere inquadramenti contrattuali meno vantaggiosi e a vedersi la strada sbarrata, o comunque più in salita, nel proprio percorso professionale.

Ed è proprio per questo che una delle missioni del Pnrr – il Piano nazionale di ripresa e resilienza che consta in 210 miliardi di euro di risorse pubbliche per oltre due terzi finanziati dall’Unione europea e per il resto con risorse nazionali al fine di risollevare l’economia post pandemia di Covid-19 – riguarda “Lavoro e inclusione” (missione 5) e vede, al suo interno, un’iniziativa ben precisa: quella di introdurre una certificazione della parità di genere che, come si legge proprio nel Pnrr, «accompagni e incentivi le imprese ad adottare policy adeguate a ridurre il gap di genere in tutte le aree maggiormente critiche». Si tratta di un progetto per cui sono stati stanziati 10 milioni di euro (dei 19,8 miliardi dedicati all’intera missione) e che passa per tre step prima che tale certificazione “entri in vigore” nell’aprile 2022: il primo riguarda l’istituzione di un tavolo di lavoro sulla «Certificazione di genere delle imprese», presso il dipartimento Pari Opportunità», il secondo la creazione di una piattaforma di raccolta di dati disaggregati per genere e di informazioni sulla certificazione, e dell’albo degli enti accreditati.

Tra gli obiettivi più importanti dell’iniziativa c’è quello di intervenire in tutte le aree in cui il gender gap è più evidente e va a interferire con i percorsi individuali: opportunità di crescita in azienda, parità salariale a parità di mansioni, gestione delle differenze di genere e tutela della maternità. Va ricordato che in Italia lavorano il 67.2 per cento degli uomini tra i 15 e i 64 anni contro il 49 per cento delle donne nella stessa fascia di età (dati Istat – 2020), che nelle coppie con figli i lavoratori sono l’83.5 per cento contro il 53.6 delle lavoratrici e che la retribuzione oraria netta è più alta per gli uomini (9.4 euro) che per le donne (9). E che su 101mila nuovi disoccupati a seguito dell’emergenza sanitaria, 99mila sono donne: ciò significa che il 98% delle persone che hanno perso il lavoro per via della crisi pandemica sono donne; un dato, questo, che ha reso ancora più evidenti le problematiche legate al divario di genere e ancora più urgenti misure e iniziative per contrastarlo. Anche se il blocco dei licenziamenti ha contribuito ad arginare la situazione, in questo drammatico periodo le donne in particolare sono state le vittime sacrificali dei datori di lavoro, soprattutto per via della fragilità degli inquadramenti contrattuali.

Certificazione della parità di genere: come funziona e quali sono i vantaggi

Potranno acquisire la certificazione della parità di genere tutte le imprese: grandi, medie, piccole e micro. Un sostegno particolare sarà dato – nel corso della fase sperimentale che durerà fino a metà 2026 – proprio a queste ultime realtà, attraverso servizi di accompagnamento e assistenza.

Ma quali saranno i vantaggi per le imprese che acquisiscono la certificazione della parità di genere? Queste potranno accedere a sgravi e agevolazioni: «La certificazione – ha spiegato la ministra per le Pari Opportunità Elena Bonetti, la quale ha costituito la commissione «Donne per un nuovo rinascimento», composta da 12 donne provenienti dal mondo accademico, aziendale, della cultura e della ricerca e istituita per elaborare proposte per il rilancio del Paese post pandemia – restituirà dati comparabili sul grado di gender equality delle aziende e questo ci permetterà non solo di riconoscere le realtà più virtuose, ma di provvedere eventualmente a specifiche forme di premialità, di natura fiscale ma anche in termini di qualificazione nell’accesso a bandi e fondi. Un meccanismo che è auspicabile inneschi nel tempo anche un cambiamento “ambientale”, per cui a un alto indice di parità possa naturalmente corrispondere una maggiore attrattività dell’azienda».

«Aver introdotto nel Pnrr una certificazione di parità – ha sottolineato sempre la ministra – pone innanzitutto un tema di valore: parità di genere nei processi e nei luoghi lavorativi non è soltanto un tema di garanzia di diritti e, quindi, di giustizia. È anche una scelta conveniente da un punto di vista strategico, perché permette di realizzare un modello di sviluppo davvero integrato e integrale. Più parità di genere vuol dire per un’azienda più valore, più crescita, più ricchezza: a maggior ragione, è fondamentale renderla misurabile. Proprio l’assenza di criteri e parametri di valutazione è tra le cause che fino ad oggi hanno reso poco efficace la promozione di una effettiva parità». Il gender gap è, inoltre, molto costoso per il nostro Paese: le differenze di genere a livello occupazionale, secondo gli ultimi dati Eurostat, costa all’Italia ben 268 miliardi di euro, oltre il 18% del Pil. E, guardando ai risultati della Bank of America Merrill Lynch Global Research, secondo la quale l’uguaglianza di genere in termini di PIL mondiale entro il 2025 vale circa 28 trilioni di dollari, non possiamo che constatare l’urgenza di una situazione ormai insostenibile, sia a livello di diritti che di costi economici.