Non c’è da stupirsi se i ricercatori fuggono dall’Italia. Il caso del bando per ricercatori da assumere gratis al Mur “è solo l’ennesimo”, spiega a Dealogando Rosa Fioravanti, segretaria dell’associazione di categoria Adi. Anche lei all’estero per insegnare Etica dell’economia: “In Italia non siamo riconosciuti”

Aveva destato scalpore la notizia del bando pubblicato di recente, lo scorso marzo, dal Mur, il ministero dell’Università presieduto da Anna Maria Bernini, per reclutare a titolo gratuito, per 18 mesi, 15 «esperti ad elevata specializzazione» da inserire nel «nucleo di coordinamento delle attività di analisi, studio e ricerca». Non si scompongono invece più di tanto dall’Adi, associazione dottorandi e dottori di ricerca italiana. “Siamo alle solite” è il commento a Dealogando di Rosa Fioravanti, segretaria dell’associazione. “È solo l’ennesimo caso in cui a figure con una preparazione elevata come i ricercatori vengono proposte condizioni inadeguate”, spiega. La vicenda è l’occasione per fare il punto sulla condizione dei ricercatori italiani, che – continua Fioravanti, 33 anni e docente di Etica dell’economia a Lisbona – “in Italia non vengono minimamente considerati”.

 

I ricercatori “non sono minimamente tenuti in considerazione”

Il bando del Mur è stato poi ritirato in fretta e furia, e la ministra Anna Maria Bernini ha giustificato l’accaduto dicendo che si era trattato di un “errore tecnico”. Ma il punto è che “la ricerca è totalmente ignorata: si vede dal modo raffazzonato in cui vengono scritti questi bandi”, afferma la segretaria di Adi. Ambire alla professione di ricercatore è ormai cosa da ricchi, “da chi può permettersi entrate alternative”. Ricorda Fioravanti come lo scorso autunno l’università di Verona abbia “perfino segnalato ai nuovi dottorandi che avrebbero dovuto ricorrere a ‘finanze proprie’ per mantenersi durante il dottorato”. Così “il retroterra familiare dei dottori di ricerca è diventato marcatamente elitario”.

 

I ricercatori sono considerati al pari di uno studente

Il primo problema, spiega, forse il più macroscopico, è che in Italia i ricercatori sono considerati al pari di studenti, e non come professionisti. Uno status giuridico “che non ci consente per esempio di accedere ai bonus del Decreto Aiuti per noi stanziati, perché l’Inps non ci riconosce come lavoratori”.  Fatto sta che una volta preso il titolo, le possibilità di sbocco sono al lumicino. “Il 90 per cento è espulso dall’università, quindi la carriera accademica resta una possibilità solo per pochi miracolati”, commenta Fioravanti. Gli altri possono puntare sul privato, oppure sulla pubblica amministrazione: “Ma il loro accesso sarà equiparato a quello di un neolaureato”. Non esiste un canale privilegiato, come accade per esempio nel Regno Unito, dove un dottore di ricerca entra in un’azienda pubblica come manager. Da noi il trattamento “è equivalente a quello di un laureato magistrale”.

 

Italia maglia nera per potere d’acquisto dei ricercatori

C’è poi il tema degli importi. Uno borsa di studio per il percorso di dottorato è di 1200 euro mensili, “troppo pochi” secondo Fioravanti, soprattutto per chi deve sobbarcarsi le spese di un affitto. L’Italia è ancora una volta fanalino di coda, come mette in luce la X indagine dell’Adi sulla condizione dei dottori di ricerca. Paragonando gli importi di altri Paesi europei al costo della vita, “la borsa italiana risulta più bassa di circa il 20 per cento rispetto a Francia e Germania, del 30 per cento rispetto alla Spagna, e del 50 per cento rispetto a Olanda e Danimarca” spiega il sito. C’è stata anche un’interrogazione parlamentare “da parte di Elisabetta Piccolotti, deputata di Sinistra ecologia e libertà, che si è fatta portavoce della nostra causa”. La ministra Bernini ha replicato che le borse di studio per ricercatori sì aumenteranno, ma di numero, toccando quota 20mila, senza incremento degli importi.

 

Fare il ricercatore è un lavoro ormai elitario

E continueranno a essere pochissime le chance per il futuro, specie per chi di mestiere vorrebbe fare il ricercatore. Perché per chi ha ottenuto il dottorato l’offerta è quella dell’assegno di ricerca a 1400 euro al mese. Un percorso “a intermittenza, con rinnovi non assicurati”. E per cui “si è continuamente sotto scacco dei dipartimenti universitari”, aggiunge la segretaria Adi. Alcuni passi in avanti erano stati fatti con il precedente governo Draghi. “Finalmente, grazie al Pnrr, stava per essere abolito l’assegno di ricerca, quello che rende estremamente precaria la professione”. Si era a un passo dall’introdurre un contratto esistente in tutta Europa, quello del post doc. Ma con il nuovo esecutivo “è di nuovo tutto saltato”.  E con la proroga degli assegni di ricerca “siamo tornati al punto di prima”.

 

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