L’indagine di UniPadova analizza il contesto in cui i persistenti divari di genere presenti nelle organizzazioni, l’affidamento dei ruoli apicali e i differenziali retributivi e contributivi rappresentano un aspetto critico centrale per il benessere lavorativo delle persone

Il diversity management è “l’insieme delle politiche adottate da un’azienda per promuovere la diversità all’interno dell’ambiente di lavoro”: è la definizione da cui prende le mosse l’indagine che UniPadova e Fòrema hanno condotto focalizzandosi sul territorio del Veneto. Possiamo intenderlo come un laboratorio regionale del più ampio quadro italiano.

Così sotto la lente d’ingrandimento dell’Università degli Studi di Padova sono finiti argomenti come la selezione “gender neutral” del personale, la tutela della genitorialità, il genere, il linguaggio inclusivo e le molestie nei luoghi di lavoro. L’obiettivo sostanziale era trovare una risposta alla domanda: quali sono le tendenze attuali delle imprese in materia di gestione della diversità?

Nell’ambito dell’analisi, 90 aziende su 630 interpellate, di cui il 41% appartenenti al settore metalmeccanico, hanno condiviso le loro pratiche di diversity management. Hanno risposto a un questionario sui temi della gestione delle risorse umane, del welfare e del work-life balance, della formazione aziendale e della certificazione di parità di genere (UNI PDR 125:2022).

Il contesto è quello in cui i persistenti divari di genere presenti nelle organizzazioni, l’affidamento dei ruoli apicali e i differenziali retributivi e contributivi sono un aspetto critico centrale per il benessere lavorativo dei e delle dipendenti, nonché per la sostenibilità organizzativa.

La ricerca è stata condotta dal Professor Claudio Riva del Dipartimento Filosofia, sociologia, pedagogia e psicologia applicata di UniPadova, coordinatore e responsabile scientifico, e dalla Dottoressa Vittoria Benfatto, borsista di ricerca: li abbiamo intervistati. L’indagine ha inoltre coinvolto l’Ufficio Studi di Fòrema, nella figura di Roberto Baldo, responsabile di progetto e direttore del Centro Studi.

Professor Claudio Riva, sulla scorta dei dati raccolti nello studio UniPadova come viene gestita la diversità nei luoghi di lavoro in Veneto?

La gestione della diversità in Veneto è un tema complesso e sfaccettato, a seconda dei fabbisogni e delle esigenze dei singoli contesti organizzativi, della popolazione aziendale e del più ampio contesto in cui l’azienda è inserita. Attualmente, riprendendo i dati della survey, rispetto al tema del genere, la gestione della diversità appare ancora piuttosto limitata. Molte aziende non applicano procedure di selezione o valutazione gender neutral, o non presentano servizi di welfare a sostegno della genitorialità o, ancora, non dispongono di canali per la segnalazione di molestie e violenze sul posto di lavoro.

Solo una minoranza di imprese utilizza strumenti concreti per favorire la diversità e l’inclusione di genere. E alcuni settori, tra cui anche il metalmeccanico, sembrerebbero mostrare una resistenza a introdurre procedure inclusive. Nonostante alcune aziende riconoscano l’importanza della diversità, e altre si siano rivelate casi esemplari, la sua gestione appare ancora perlopiù un tema da discutere, valutare e implementare. E non un piano di azione concreto.

Dottoressa Vittoria Benfatto, quali sono i divari di genere più evidenti nelle organizzazioni, stando ai dati di UniPadova?

I divari di genere si confermano essere principalmente la segregazione occupazionale orizzontale e verticale. Persiste una predominanza maschile in settori come il metalmeccanico – con una percentuale di donne che oscilla tra il 20% e il 40% – e una maggiore presenza femminile in settori come i servizi e la ristorazione – più dell’80% di donne -.

Inoltre, il divario nelle opportunità di carriera e nei ruoli apicali viene ancora una volta confermato. I dati mostrano come vi siano più promozioni assegnate agli uomini, soprattutto nelle aziende con una bassa percentuale di donne. Nella survey non è stato indagato l’aspetto retributivo, altro tradizionale divario significativo che alimenta e riproduce il gender gap.

Prof. Riva, cosa si può fare per ottenere un “cambiamento” migliorativo nelle organizzazioni?

Per favorire un cambiamento positivo, sarebbe necessario implementare procedure di selezione e valutazione gender neutral e ampliare la formazione sui temi della diversità e dell’inclusione, incentivando politiche di welfare che sostengano la genitorialità e che tengano conto dei reali fabbisogni della popolazione aziendale.

Adottare queste misure potrebbe promuovere un ambiente lavorativo più equo e inclusivo, riducendo le disuguaglianze e migliorando il benessere dei lavoratori e delle lavoratrici.

Dott.ssa Benfatto, a che punto è la “cultura” delle procedure di selezione gender neutra in Veneto?

Analizzando quanto emerso in Veneto, la maggior parte delle aziende – il 70% del campione – attualmente non fa uso di procedure di selezione gender neutral. E, anzi, non ha ancora preso in considerazione la possibilità di implementarle – il 75% -. La diffusione limitata di queste procedure denota una resistenza che poggia su radici anche di carattere culturale. Quello che emerge, però, parallelamente a una diffusa non conoscenza dei benefici e delle funzionalità di tali procedure, soprattutto in aziende con una percentuale di donne inferiore al 20%, è la crescente percezione che queste pratiche possano in realtà essere utili per le aziende. Infatti, parte della popolazione aziendale che ha risposto al questionario usa queste procedure e le trova utili – il 63%.

Quello delle procedure gender neutral però è un tema che coinvolge non solo il processo di selezione, ma anche la valutazione delle prestazioni, l’onboarding e altri momenti chiave nella vita organizzativa delle risorse. Volendo dunque evidenziare una tendenza generale rispetto a queste procedure, è innegabile una resistenza culturale alla loro adozione. Per ogni fase, la maggior parte delle aziende non utilizza procedure gender neutral o inclusive e, spesso, non le ritiene nemmeno utili. Le aziende che si distinguono in questo campo ci sono, ma restano ancora casi isolati, dato che non esiste un modello o una ricetta univoca. Il motore propulsivo per una gestione inclusiva delle risorse umane dovrebbe essere una cultura della diversità e delle pari opportunità. Passa per una gestione gender neutral dei processi, rendendo ancora una volta evidente il bisogno di sensibilizzare e formare le aziende sul tema.

Professore, esiste una formazione specifica sui temi del genere, della diversità e dell’inclusione?

Non esiste un percorso specifico riconosciuto e generalizzato. Quello del genere è un tema complesso che comprende al suo interno diversi aspetti che meritano di essere approfonditi e analizzati singolarmente. L’obiettivo è comprendere in modo approfondito il fenomeno e identificare strumenti adeguati per contrastare il gender gap. Negli ultimi due anni, l’80% delle aziende che hanno risposto al questionario non ha svolto formazione specifica su questi temi. Principalmente perché il tema non è stato considerato rilevante o per mancanza di risorse. Tuttavia, alcune aziende, soprattutto nel settore dei servizi, hanno dimostrato e dimostrano tuttora un interesse crescente per la formazione su questi temi. E segnalano una possibile area di miglioramento nella sensibilizzazione aziendale.

Inoltre, molte aziende hanno colto l’occasione di formarsi su questi temi grazie ai progetti finanziati dal bando PARI, Progetti e Azioni di Rete Innovativi per la parità e l’equilibrio di genere. A partire da ottobre 2023, hanno offerto alle aziende della regione una serie di attività formative sui temi del genere. Empowerment femminile, gender pay gap, diversity management e modelli organizzativi, imprenditoria femminile. Sarebbe dunque quanto più interessante ripetere l’indagine a conclusione dei progetti. Questo per indagare se, nel corso di quest’ultimo anno, in materia di formazione aziendale sono avvenuti dei cambiamenti in ottica migliorativa.

Dottoressa, anche sulla base dell’analisi UniPadova, come si può agevolare l’azione di un linguaggio inclusivo?

L’uso di un linguaggio inclusivo è adottato solo dal 28% delle aziende; il restante 64% non lo utilizza (dati UniPadova). Questo può riflettere una resistenza culturale al cambiamento, nonostante il linguaggio inclusivo sia essenziale per contrastare stereotipi e bias. Per promuoverne l’adozione, sarebbe utile sensibilizzare le aziende sull’impatto positivo del linguaggio inclusivo nell’ambiente di lavoro.

Accanto alla formazione, un altro driver fondamentale è che sia l’azienda la prima a spingere l’uso di un linguaggio inclusivo. A partire dalle comunicazioni interne ed esterne, in modo da normalizzare sempre di più una nuova forma di linguaggio e renderlo d’uso comune in azienda. I cambiamenti del linguaggio richiedono tempo e, alla base, un più profondo cambiamento culturale.