«Le minoranze che lavorano nel settore STEM, vivono sulla loro pelle il fenomeno del Tokenism, quella pratica di compiere solo uno sforzo superficiale o simbolico per essere inclusivi nei confronti dei membri di gruppi minoritari. Agire così non corrisponde a fare inclusione: in questo caso l’intento è quello di dimostrare che si è fatto qualcosa di giusto, senza azioni ponderate e utili. Anzi…». Francesca Salvati, cofondatrice degli STEM Days 2022 e socia di Crafted Software, ci racconta la necessità di rendere il mondo STEM accessibile alle categorie sottorappresentate, a partire dal creare consapevolezza tra le fasce di età più giovani
Gli STEM DAYS22, che si sono tenuti il 28 e 29 ottobre presso lo Spazio Lenovo a Milano, nascono con l’obiettivo di incoraggiare e sostenere tutte quelle categorie che sono sottorappresentate nel mondo STEM (Science, Technology, Engineering e Mathematics), a partire dalle donne fino alle persone che appartengono alla comunità LGBTQIA+ e alle altre comunità marginalizzate. Si è trattato di una due giorni ricca di talk e workshop in cui ragazze e ragazzi delle superiori e dell’università si sono confrontati con queste discipline su cui ancora oggi gravano convinzioni e stereotipi, cogliendo l’opportunità di diventare più consapevoli dei vantaggi di fare carriera in questi ambiti.
Secondo lo studio “Rethink STE(A)M education” condotto da Fondazione Deloitte e DCM Public Policy Program, i laureati in materie STEM in Italia sono solo il 24,5%, mentre la domanda di esperti ed esperte in questi ambiti non fa che aumentare. Per questo motivo il 44% delle aziende italiane afferma di avere difficoltà a trovare i profili con una specializzazione tecnica. A questa mancanza di talenti, nell’universo STEM si aggiunge il non meno rilevante problema del divario di genere: le donne immatricolate in corsi di laurea in Italia sono la metà degli uomini e le laureate solo il 15% del totale. Una situazione di cui abbiamo parlato con Francesca Salvati, co-fondatrice degli STEM Days 2022 e socia dell’associazione Crafted Software, che tra i suoi scopi ha proprio quello di promuovere la cultura dell’ingegneria del software attraverso incontri, eventi, e workshop.
Qual è la tua esperienza lavorativa personale e come ha contribuito alla creazione degli STEM Days 2022?
Qualche tempo fa ho cominciato a riflettere sulle esperienze lavorative fatte in Italia e ho ripensato alle micro-aggressioni, così come a tutte quelle volte che ero l’unica donna in un meeting e mi chiedevano perché facevo un lavoro da maschi, come se il tech non fosse un lavoro per donne o altre categorie. Per queste ragioni, anche se ora vivo nel Regno Unito, sono motivata a dare il mio contributo all’Italia. Da quel momento ho iniziato a collaborare con Crafted Software e abbiamo iniziato a organizzare incontri per discutere il percorso da intraprendere insieme. Così a dicembre dell’anno scorso abbiamo dato vita al primo evento, basandoci sulla convinzione che la conoscenza possa abbattere lo scetticismo.
In occasione di questa seconda edizione degli STEM Days, i partecipanti hanno potuto ascoltare le storie di chi ha intrapreso e porta tutt’ora avanti un percorso e delle sfide in ambito STEM. Questa semplice azione, che parte dalla condivisione, può aiutare a dissipare dubbi e infondere coraggio. Durante l’evento c’è stato modo di dare voce alle comunità marginalizzate nel mondo STEM, e sono soddisfatta dell’affluenza di giovani studenti e studentesse che hanno manifestato il loro interesse con domande specifiche.
Durante gli STEM Days c’è stato qualche talk che ha trattato il tema della marginalizzazione?
Abbiamo ospitato il panel di She Tech (una community di professioniste del digitale, della tecnologia e del mondo STEM, ndr) per parlare di giovani donne che operano nel tech e in questo contesto ci siamo confrontate con l’esperienza di una persona transgender: ci ha raccontato come prima della transizione fosse trattata diversamente, con più rispetto e credibilità, dato che il suo aspetto era quello di un uomo.
Vogliamo dare voce alle disparità, perché crediamo che la consapevolezza sia il primo passo verso la creazione di nuove strade e la risoluzione dei problemi. Così facendo, chi partecipa ai nostri eventi si trova con un set di strumenti utili per affrontare le difficoltà che – inevitabilmente – incontrerà lungo il suo percorso.
Secondo un sondaggio di Shetech e Idem il 69% delle donne che lavora nell’ambito tecnologico pensa che sia più complicato per loro raggiungere i traguardi di carriera, mentre l’86% crede di essere pagata meno del collega uomo. Come è possibile creare più inclusione?
Partendo dal presupposto che anche le persone che non sono toccate in prima persona dal problema soffrono della mancanza di diversità, chi parla di uguaglianza sa che questa va in due direzioni: sfondare il soffitto di cristallo in questo ambito significa superare i pregiudizi più radicati, accettando il fatto che un uomo possa essere più vulnerabile e non debba indossare quella maschera di forza che la nostra società gli impone da secoli.
La varietà dei punti di vista in azienda può essere un catalizzatore per l’innovazione. Avere persone con diversi background dà l’opportunità di creare prodotti diversi: per esempio, esistono app per monitorare il ciclo mestruale e molte di queste sono prodotte da uomini. Quando si parla di user experience è importante ci sia diversità nel team, e in questo caso specifico è necessaria la presenza di donne o persone con un utero, che meglio rappresentano l’utilizzatore finale.
“Nel mondo contemporaneo la necessità di colmare il vuoto dei dati di genere diventa ancora più urgente”, scrive Caroline Criado Perez, autrice di Invisibili. Sei d’accordo?
Mi viene da pensare alle donne nere, non incluse in quasi tutti i tipi di ricerca perché vengono identificate o come donne o come persone nere. Questo ci fa capire che non basta assumere più donne per portare cambiamento e inclusione. Il cambiamento deve essere più profondo, e questo non è un problema solo del tech, ma della società a 360 gradi. Il cambiamento, quello vero, è importante parta dall’educazione e dalle scuole, che devono riuscire a trasmettere un concetto fondamentale, ovvero che tutte le persone hanno pari diritti.
D’altronde non si può offrire un lavoro – o una posizione di leadership – a una persona appartenente a una minoranza solo perché tale.
Esatto. Per esempio le “quote rosa” creano risentimento e rischiano di trasformare l’uomo da potenziale alleato a nemico. Mettere una donna in una posizione di leadership dall’oggi al domani non significa fare inclusione e non è nemmeno sinonimo di femminismo. Ti viene offerto un lavoro perché sei donna e magari non hai avuto la preparazione adeguata per quel ruolo, perché la realtà in cui lavori per molto tempo non ha adottato politiche interne realmente inclusive.
Il voler rimediare, come azienda, alla disparità di genere e alla non pluralità delle risorse tutto in una volta e con azioni drastiche, non farà che danneggiare l’azienda stessa, a partire dalle persone che ci lavorano. Prendiamo l’esempio di Margaret Thatcher, è stata sì la prima ministra donna nel Regno Unito, negli anni Ottanta, ma di fatto agiva come un uomo e rappresentava i principi del patriarcato. È realmente stata utile la sua elezione per migliorare la condizione delle altre donne? Non credo. Deve esserci un cambiamento tale per cui diamo la possibilità a persone che lo meritano di ricoprire certi ruoli.
In un sondaggio condotto da Women in Tech il 52% delle donne intervistate ha dichiarato di aver subito discriminazioni o pregiudizi di genere sul posto di lavoro, mentre l’81% ritiene che l’industria digitale trarrebbe beneficio dalla presenza di una forza lavoro paritaria tra i sessi. Perché per le minoranze del tech è così difficile far riconoscere il proprio valore?
La difficoltà proviene dall’influenza della società: se su Google cerco delle immagini di developer, troverò per lo più uomini che ricoprono quella carica. Questo contribuisce al sentimento di inadeguatezza di molte donne e minoranze. In generale, la società pretende più dagli uomini che dalle donne. Per esempio Sheryl Sandberg, ex direttrice operativa di Facebook, ha scritto il libro Lean In: Women, Work and the Will to Lead, che tradotto in italiano significa “Facciamoci avanti: le donne, il lavoro e la voglia di riuscire”. Proprio in quel libro lei spiegava che, di fronte ad un’opportunità di lavoro, l’uomo tende ad inviare il curriculum anche se non ha tutti i requisiti, mentre la donna lo manda solo se contiene tutte le esperienze. Questa paura di non farcela avviene soprattutto nel tech, dato che ci è stato inculcato che quello è “un ambiente che non ci appartiene”.
Quali obiettivi senti di aver raggiunto attraverso gli STEM Days e quali vorresti raggiungere? Cosa poteva essere fatto meglio?
Vorremmo provare a trovare più forum e più punti di incontro presso le scuole e le università. L’obiettivo è che le persone interessate vengano a sapere di questi eventi e partecipino, in modo da raggiungere pubblici diversi. Come abbiamo fatto con gli speaker che hanno partecipato all’evento, provenienti da diversi background e che hanno condiviso le loro esperienze con noi.
Inoltre, riteniamo fondamentale partire dalle giovani generazioni. La speranza è quella di influenzare positivamente i giovani e gli insegnanti e renderli consapevoli del problema. Io, per esempio, ho avuto insegnanti illuminati, ma che continuavano a dirigermi verso materie umanistiche, sempre per la credenza che noi donne siamo più portate per materie diverse dalle STEM. Si tratta di preconcetti che dobbiamo decostruire. Mi piacerebbe coinvolgere gli insegnanti perché sono loro che hanno la responsabilità di incoraggiare e indirizzare le menti dei giovani.