Tra le 50 donne più influenti in Italia in ambito tech per la classifica Inspiring Fifty, dopo un percorso di formazione all’estero Silvia Wang è tornata in Italia a portare innovazione. E con Serenis, piattaforma che offre supporto psicologico online, ha messo l’accento sull’importanza della salute mentale: lei stessa ha fatto i conti con i suoi disagi
«Oggi esistono ancora tanti ambienti di lavoro ricchi di dinamiche tossiche, ma con Serenis siamo testimoni anche di quanto sia cresciuto il numero di aziende che si interessano al tema della salute mentale». Silvia Wang, classe 1986, nata a Milano da genitori cinesi, dopo essersi laureata in Marketing Management alla Bocconi ha iniziato – e consolidato – la sua formazione come startupper e imprenditrice all’estero, dove ha lavorato per Zalora (gigantesco sito di fashion e-commerce del sud-est asiatico) e Lamido, startup del Gruppo Lazada che è stata acquistata da Alibaba.
Tornata in Italia ha fondato con Marco Ogliengo (oggi suo marito) ProntoPro, marketplace di servizi numero uno in Italia, e con Daniele Francescon Serenis, una tech company con una mission nobilissima: rendere più accessibile il benessere mentale. Non solo: aiutare la società e le aziende a comprendere la fondamentale importanza del supporto psicologico e rimuovere gli ostacoli economici, tecnologici, sociali e culturali che allontanano le persone dalla terapia. In un solo anno Serenis ha raccolto 6,5 milioni di euro di finanziamenti, e lo scorso novembre ha annunciato un nuovo aumento di capitale di 2,7 milioni di euro. Oggi si avvale di una squadra di oltre 400 professionisti in tutta Italia, a cui le persone possono rivolgersi tramite un’app. Un servizio con dei prezzi contenuti che compensa, tra l’altro, le gravi carenze del Bonus Psicologo, messo a disposizione dei cittadini come aiuto per sostenere le spese della terapia, ma che non riesce a coprire tutte le richieste giunte finora (su 395.604 richieste, le istanze accolte sono state 41.657).
Zalora, Lamido, ProntoPro, Serenis: sei una giovanissima donna imprenditrice con un percorso di successo già molto ricco alle spalle. Quali sono state le principali difficoltà che hai incontrato finora?
Le mie difficoltà sono state più che altro psicologiche. Durante il mio percorso mi sono trovata a cambiare spesso contesto, paese, azienda e team, quindi anche modo di lavorare e di relazionarmi. Quando è iniziata la mia esperienza come imprenditrice, poi, i livelli di stress sono saliti, ed è normale perché hai tante responsabilità, soprattutto se il team cresce e ti ritrovi in poco tempo a gestire 150 persone.
L’Italia, in particolare, è un Paese ancora ricco di stereotipi legati al genere femminile. Ti sei mai scontrata con delle “barriere invisibili” in tal senso?
Purtroppo sì. E non solo in Italia: succede anche all’estero. Abbiamo tutti da migliorare in tema di discriminazioni di genere, perché ancora in troppi ad esempio continuano a pensare che le donne non siano portate per le discipline STEM. Questo pregiudizio crea in ogni donna una doppia barriera da superare, sia interna che esterna: interna perché se la cultura della società continua a ripeterti che non sei portata per qualcosa potresti finire per crederci, ed esterna perché nel percorso è facile incontrare contesti ancora ricchi di scetticismo sulle capacità delle donne in determinati settori.
Faccio un esempio concreto: ho co-fondato ProntoPro insieme all’uomo che, più avanti, sarebbe diventato mio marito, e quando facevamo fundraising e ci sedevamo ad un tavolo con i potenziali investitori mi rendevo conto che loro parlavano solo con lui, come se io non fossi nella stanza. E c’entra poco la maleducazione: la cosa peggiore, in effetti, è che si tratta di comportamenti che vengono attuati in modo spesso inconsapevole, e questo rende la definizione di “barriere invisibili” perfettamente calzante.
Detto questo, i passi avanti sono tanti e visibili, invece: soprattutto nel mondo delle startup, nelle realtà più giovani, è difficile trovare barriere di questo tipo, che invece restano magari in contesti più longevi e lì dove la cultura è andata meno incontro all’innovazione.
Sei nata in Italia, sei stata all’estero, hai fatto diverse esperienze e poi sei tornata in Italia per mettere in piedi diversi business. A che punto è qui, secondo te, la transizione digitale delle aziende?
Solo vent’anni fa la maggior parte delle aziende non aveva nemmeno un sito, e sono tanti ancora oggi a ritenere che il digitale sia solo un “accessorio” e a non investire in digitalizzazione e tecnologia. Anche questo è un problema culturale, anche se la consapevolezza sta aumentando e probabilmente l’accelerazione sarà rapidissima: nei prossimi due o tre anni si farà tutto quello che non si è fatto negli ultimi dieci.
Come è nata l’idea di creare Serenis?
La cosa bella di Serenis è che è nata da una esperienza personale: io stessa, infatti, ho seguito un percorso di supporto psicologico e ho potuto toccarne con mano gli immensi benefici. Tutte le persone del team di Serenis sono dei pazienti, persone che credono fortemente nella terapia psicologica e che sentono propria la mission di rendere il benessere mentale alla portata di ognuno.
Serenis è nata per rispondere ad un bisogno in un periodo – quello del Covid – in cui fortunatamente è iniziata una straordinaria sensibilizzazione sul tema della salute mentale, e noi volevamo creare una prodotto digitale che rispondesse alle esigenze dei pazienti: rendere più semplice e snello l’accesso alla terapia. E soprattutto abbattere pregiudizi, barriere e allontanare lo stigma secondo cui si va in terapia solo in presenza di gravi disturbi mentali.
Uno dei nostri maggiori purpose, infatti, è educativo: anche quando lavoriamo con le aziende, non portiamo al loro interno solo un servizio, ma un cambiamento di approccio nei confronti del tema della salute mentale, di come viene visto e sentito anche a livello sociale.
Finalmente, infatti, un tema importante come quello della cura della salute mentale è entrato nei luoghi di lavoro. Quante delle persone che si rivolgono a Serenis lo fanno per motivi legati al lavoro?
Un numero altissimo: una richiesta su cinque di quelle che ci giungono è legata al lavoro. D’altronde se le persone passano la maggior parte del proprio tempo in ufficio, è normale che sia proprio in quel contesto che nascono dei disagi e disturbi. Sul lavoro che facciamo, peraltro, tendiamo a proiettare molto altro, come la nostra identità, i progetti e le aspettative per il futuro.
Oggi esistono ancora tanti ambienti di lavoro ricchi di dinamiche tossiche, ma con Serenis siamo testimoni anche di quanto sia cresciuto il numero di aziende che si interessano al tema della salute mentale e che hanno voglia di intraprendere dei percorsi per migliorare il benessere dei propri dipendenti.
Questa attenzione sarà solo una meteora o è destinata a permeare definitivamente all’interno delle organizzazioni e del mindset aziendale e manageriale?
Io credo che questa attenzione sia destinata a restare, soprattutto perché le persone oggi sanno attribuirgli un grande valore e per i lavoratori il benessere mentale ha ormai acquisito una grande importanza. E se qualcosa è importante per un dipendente, deve esserlo anche per l’azienda, oppure questa è destinata a perdere i suoi talenti migliori.
Cosa pensi dei più recenti trend legati al mondo del lavoro: Great Resignation, Quiet Quitting? Cosa è cambiato, secondo te, nella mentalità delle persone negli ultimi anni?
Secondo me c’è una maggiore capacità introspettiva: il Covid ci ha mostrato tante cose, e una di queste è che è possibile lavorare in un modo diverso e raggiungere un miglior equilibrio tra vita privata e lavoro. Credo che ciascuno si sia fermato a riflettere sulle cose più importanti, e che abbia fatto una serie di valutazioni su come migliorare il proprio stile di vita.
Lo chiedo ad una imprenditrice: come mai tanti imprenditori e manager sono ancora così scettici sulla flessibilità lavorativa?
Secondo me non è tanto paura, ma complessità: tanti contesti hanno bisogno di più tempo per adattarsi a forti cambiamenti, come l’avvento dello smart working. Il lavoro agile, ad esempio, ha richiesto – e continua a richiedere – non solo un cambio di mentalità, ma anche di processi. E non si può parlare sempre solo dei pro: soprattutto durante la fase di inserimento di un nuovo dipendente, l’onboarding, è importante la presenza. Le relazioni non si possono costruire su Zoom – almeno, non solo.
In Serenis dal giorno zero abbiamo avuto la policy full remote, ma noi siamo pochi e mi rendo conto che questa modalità non è adatta a tutti i contesti, e sempre.
Per saperne di più su Serenis: https://www.serenis.it/