Quanto sono “lontani” il mondo della scuola e quello del lavoro nel nostro Paese? Quali sono le maggiori criticità dell’education in Italia? Lo abbiamo chiesto a Cino Lorenzo Vitta di Bolton Hope Foundation, che promuove l’evento “Futuro Prossimo”

La dispersione scolastica, le soluzioni per rendere la didattica più efficace, la novità dell’educazione allo sviluppo sostenibile, il difficile approccio al mondo del lavoro. Sono temi che gravitano attorno al mondo delle nuove generazioni, tese ad affacciarsi al mercato occupazionale contemporaneo con esigenze e dinamiche diverse rispetto al passato.

“Ogni anno sono più di due milioni e mezzo i giovani che frequentano la scuola secondaria di II grado. Sono ragazzi che, al termine del loro ciclo di studi, dovranno – quando possono – scegliere se proseguire in un percorso di istruzione terziaria o entrare nel mondo del lavoro”, spiega Cino Lorenzo Vitta, Head of Operations di Bolton Hope Foundation, nella nostra intervista, “È anche attraverso la capacità di insegnare il pensiero critico, insegnare ad affrontare l’incertezza, insegnare a gestire gli aspetti socio-emotivi che si contribuisce a costruire un rapporto solido tra scuola e futuro”.

La Fondazione, specializzata sui temi dell’education, dal 2020 si occupa principalmente di lotta alla dispersione scolastica, promozione dell’educazione allo sviluppo sostenibile e istruzione di qualità. Inoltre ha promosso l’evento “Futuro Prossimo. La scuola che vorrei per il mondo che verrà”, tenutosi dal 24 al 26 maggio 2024 a Milano.

Organizzata da Codice Edizioni e Associazione Be You, la prima edizione di Futuro Prossimo ha avuto luogo presso il MEET Digital Culture Center. Tre giorni di lectio, tavole rotonde, workshop per insegnanti, incontri con gli studenti, laboratori didattici, conferenze e spettacoli. Così il mondo della scuola, il mondo dei giovani e quello del lavoro si sono incontrati e confrontati. Un’occasione di dialogo per condividere esigenze, orizzonti e prospettive.

A che punto è la lotta alla dispersione scolastica?

Dipende da come la si guarda. Da un punto di vista “tecnico” gli indicatori scelti per monitorare il fenomeno sono in miglioramento nel nostro Paese. Negli ultimi 10 anni, i ragazzi tra i 18 e i 24 anni usciti precocemente dal sistema d’istruzione – i cosiddetti “dispersi” – sono scesi dal 17% all’11,5%…. verrebbe da dire un buon traguardo.

Uno dei grandi temi che rimane vivo nella scuola è quello dell’equità

Le medie, infatti, non riflettono la distanza che corre tra regioni in cui il dato è prossimo al 20% e regioni – ad esempio quelle del Centro Italia – in cui il dato si attesta all’8%. E i divari sono altrettanto ampi se si guarda alle differenze tra ragazze e ragazzi e ancora più marcati confrontando il dato tra giovani nati fuori dall’UE e giovani nati in Italia.

Ancora troppo spesso poi ci si dimentica della cosiddetta “dispersione implicita”, ossia di quella quota di ragazzi che, pur avendo completato il percorso scolastico, non raggiungono i traguardi minimi previsti dopo 13 anni di scuola… È un fenomeno grave che in Italia interessa circa il 9% della popolazione scolastica – 3,7% al Nord, 16,5% al Sud -.

Se si mettono assieme i due dati, pur semplificando enormemente, ci si rende conto che in Italia 2 ragazzi su 10 – in alcune regioni 4 su 10 – rischiano di crescere senza essere realmente in grado di elaborare le informazioni che ricevono e che affronteranno la vita adulta con competenze di base probabilmente non sufficienti per muoversi consapevolmente nella società.

Quali sono oggi i criteri da mettere in atto per avere un’istruzione di qualità?

È una risposta difficile. Ci sono molte strade che la scuola prova a percorrere e ancora sicuramente non c’è una risposta univoca. Quello che sicuramente si può e spesso si prova a fare è rendere la didattica più coinvolgente, lavorare per conquistare l’attenzione dei ragazzi. I principi della scuola attiva, su cui oggi concordano molti pedagogisti, ci insegnano che “la conoscenza non si trasmette”, si costruisce insieme.

Un’importante iniziativa, che abbiamo avviato a Palermo quest’anno in 3 grandi istituti comprensivi della città frequentati da più di 3.400 studenti, prevede un forte investimento proprio su questo aspetto. Attraverso l’azione di educatori che lavorano al fianco dei docenti, stiamo provando a portare nuove competenze in classe, rafforzando la didattica laboratoriale e provando a elaborare risposte diversificate in funzione dei bisogni specifici dei singoli istituti, plessi e gruppi classe. Sempre con un’attenzione forte alla didattica e al coinvolgimento dei ragazzi.

Come si può concretizzare invece un’educazione allo sviluppo sostenibile?

Io credo che su questo punto si stiano facendo passi in avanti. Il tema è sempre più di attualità e negli ultimi anni a livello sia internazionale sia nazionale se ne parla moltissimo. Da un punto di vista istituzionale si sono viste evoluzioni nel nostro Paese, come l’introduzione dell’educazione allo sviluppo sostenibile tra i temi trattati all’interno dell’educazione civica, o la nascita, in alcune regioni come il Trentino, di nuove figure di referenti ambientali per la scuola.

Bisogna però fare attenzione a che queste evoluzioni non rimangano misure “di facciata”. Non basta introdurre l’educazione ambientale nei curricula scolastici o dedicare qualche ora nel corso dell’anno a parlare di sviluppo sostenibile perché questa sia efficace. Bisogna prima di tutto formare i docenti a insegnarla – da una ricerca UNESCO del 2021 emergeva che appena il 20% degli insegnanti si riteneva in grado di insegnare in maniera chiara come rispondere alla sfida dei cambiamenti climatici -, poi provare a rendere tangibile l’attenzione a questi temi modificando anche strutturalmente gli ambienti di apprendimento, infine permettere ai ragazzi di fare esperienze dirette su questi temi, aiutarli a ragionare sulla complessità ma anche a pensare a soluzioni, che esistono e sono possibili. I cambiamenti climatici e l’ansia che stanno generando nelle giovani generazioni – la cosiddetta “climate change anxiety” – si combattono anche attraverso una buona educazione.

Quali sono stati gli obiettivi di “Futuro Prossimo”?

Futuro Prossimo è un evento nato per riflettere sul futuro della scuola. Spesso in un mondo che va di fretta non ci si ferma abbastanza a riflettere sul fatto che è una delle leve più potenti che abbiamo per migliorare la società sotto molti punti di vista… Per noi il Festival ha rappresentato un modo per provare a stimolare il dibattito e l’attenzione sul ruolo chiave che la scuola e il più ampio mondo dell’education hanno o dovrebbero tornare ad avere nella nostra società.

Cosa è necessario fare per avvicinare la scuola e il mondo del lavoro?

Molti osservatori evidenziano i rapporti positivi che esistono nei sistemi di istruzione in cui la formazione professionale è fortemente collegata al mercato del lavoro. Come in tutti gli aspetti legati al mondo della scuola e in generale alle politiche pubbliche, credo sia necessario studiare a fondo questi rapporti e le strategie d’intervento, senza preconcetti. Promuovere buona e solida ricerca e usare le risultanze per prendere le decisioni migliori è sempre la soluzione migliore.

Come potremmo descrivere il rapporto attuale tra scuola e lavoro?

È un rapporto importante che va sicuramente studiato e approfondito. Perché dall’efficacia del sistema scolastico dipendono in buona parte la competitività e le prospettive di sviluppo di un Paese. Ma penso che si debba fare attenzione a non guardare alla scuola solo come a un grande fornitore di competenze per il mercato del lavoro. Come a volte accade.

Il mondo evolve velocemente. Molti osservatori evidenziano come oggi si faccia fatica a prevedere le competenze migliori per i lavori che esisteranno tra 10-15 anni. Per questo credo rimanga importante concentrarsi sul contributo che la scuola può dare allo sviluppo personale e valoriale di ogni individuo. È anche attraverso la capacità di insegnare il pensiero critico, insegnare ad affrontare l’incertezza, insegnare a gestire gli aspetti socio-emotivi che si contribuisce a costruire un rapporto solido tra scuola e futuro.

Scuola e lavoro: quali sono le prospettive per i prossimi anni?

Io credo tutto sommato positive, ma dipende da noi. Andiamo incontro ad anni in cui la scuola, come in generale tutto il sistema del welfare pubblico, andrà incontro a grandi sfide. Dal calo demografico all’andata in pensione di una quota rilevante degli insegnanti italiani… Ma, se collettivamente riusciremo a riconoscere l’importanza della scuola, a investire in ricerca e a riportare l’educazione al centro delle politiche future con un’ottica di lungo periodo, credo che potremo continuare a guardare al futuro con ottimismo.