Tra i settori più colpiti dalla pandemia c’è quello della ristorazione, che sta affrontando notevoli cambiamenti. Ecco quali saranno le novità e le tendenze…
Made in Italy vuol dire food: l’industria della ristorazione è uno dei fiori all’occhiello del business nostrano ed è anche uno dei comparti più colpiti (o cambiati?) dalla fase pandemica Coronavirus. Come fare il punto della situazione su questa industria cruciale per il nostro paese?
Abbiamo intervistato Dario Laurenzi, fondatore e anima della Laurenzi Consulting, una delle principali realtà del rebranding e della consulenza a strutture di ristorazione in Italia, mente e firma dietro il revamping di amatissimi luoghi della movida enogastronomica fra Roma e Milano.
La fase Coronavirus ha visto una vera e propria rivoluzione del mondo della ristorazione: il delivery è qui per restare?
Faccio parte di quelli che sostengono che la rivoluzione non c’è stata e, in effetti, non ci sarà. Il food delivery era in decollo prima del Covid e, certamente, questa fase lo ha solo accelerato. Quello che doveva accadere in 4 anni è accaduto in pochi mesi. Non solo: il delivery si è approcciato a un target di pubblico nuovo che, per motivi generazionali, non lo conosceva e invece così sì. Il fenomeno che vedo, piuttosto, è quello di una cosiddetta Cloud Kitchen: c’è un luogo fisico, una cucina, che ospita un primo brand ufficiale e poi dei cosiddetti Virtual Brand. Dalla stessa stanza escono così gli hamburger che ho ordinato, una pizza di un altro cliente e il pollo fritto di un terzo ordine. Non sono luoghi fisici diversi, è lo stesso: una cucina che diventa un hub.
Come cambieranno le strutture dei ristoranti, dalle piccole trattorie alle grandi catene?
Ci sarà chi riuscirà ad implementare completamente il delivery, chi in questi mesi ha fatto un po’ di fatica, lo terrà, perché ha capito che è una risorsa oltre che un servizio. Io penso che chiunque potrà fornire due servizi diversi li terrà in parallelo. È chiaro che poi si tratta di capire se la sala e le strutture possono supportare questo tipo di impegno.
C’è poi una sorta di fattore magico da tenere in considerazione ed è lo smart working. Fino ad oggi ad Isola Milano o a Roma Centro avevamo migliaia di persone che alle ore 13 scendevano e affollavano i locali, in un’ora a Milano, in un paio d’ore a Roma. Questo ci sarà ancora ma, io direi, con un calo del 30% nelle zone centrali. Ciò comporterà, ad esempio, che i costi per i business lunch saranno un poco più alti e, per contro, che vedremo tanti esercizi commerciali pronti a fare pranzo in quartieri periferici per i tanti che lavoreranno in smart.
Rinnovata l’attenzione all’alimentazione nei lunghi giorni di quarantena: come sono cambiate le abitudini alimentari?
Questa pandemia ci ha abituato alla qualità del cibo e continueremo a pretenderla anche nei giorni a venire. Il futuro della ristorazione, io credo, sarà più di qualità. E ciò si collega anche a quello che dicevo sullo smart working: mangiare costerà un pelo di più. Il che vuol dire che si avranno anche i finger food e i fast lunch, ma saranno più rari e vedremo intorno a noi più ricercatezza e più qualità. Anche perché quel modello di business già l’anno scorso, credetemi, non era più sostenibile se non con numeri di massa molto alti.
Quanto sarà duro il colpo sul comparto food in termini di calo di fatturato? Il settore del food and beverage ha sufficiente resilienza per farcela?
Il colpo è stato duro. Quello che ci ha colto in primavera ha un po’ abbattuto quei progetti di ristorazione che già ballavano di loro, quelli che erano un po’ tirati, quegli investimenti fatti in maniera troppo audace e pericolosa. Questa seconda fase sta iniziando ad aggredire anche quelli che erano un po’ più solidi e strutturati e che hanno un buon controllo dei rapporti fra costi e fatturati.
Ce la faranno tutti quelli che in qualche maniera saranno bravi a gestire il momento; molti mi stanno dicendo “io chiudo e ci vediamo a marzo, almeno risparmio le utenze”. Ebbene è un discorso sbagliato perché si perde un bene insostituibile: la clientela, la reputazione, l’avviamento. Quel gruppo di persone che si fidano di te e, se chiudi, non sanno se e quando riprenderai.