Se qualcosa di positivo è emerso dalla pandemia è sicuramente stata l’urgenza di innovazione tecnologica delle aziende, prese alla sprovvista da una crisi globale che ha costretto a modalità di lavoro che fino a quel momento erano solo opzionali. Le grandi lacune presenti avevano necessità di essere colmate ed è anche per questo che Retail Hub, start up che nasce proprio nel febbraio 2020, ha ottenuto un grande e meritato successo.
Fondata da Massimo Volpe, esperto di innovazione e retail, e Antonio Ragusa, Retail Hub mette in contatto le aziende con le più innovative start up presenti sul mercato italiano e internazionale e vanta un portafoglio di clienti invidiabile, tra cui Lactalis, Conad, Yamamay, Carrefour e tante altre, oltre a successi come Scalapay, il primo unicorno (ossia start up che superano il valore del miliardo di euro) italiano.
Contattato da Dealogando, il dottor Ragusa ha raccontato cosa significa fare innovazione in un paese come l’Italia, ancora piuttosto in ritardo rispetto ai vicini europei:
Dottor Ragusa, com’è nata l’intuizione che ha portato alla nascita di Retail Hub?
Avevamo intercettato l’esigenza di innovazione da parte dei retailer e dell’industria, e sapevamo che la soluzione poteva trovarsi nel lavoro con le start up. Mancava però un acceleratore sul mercato ed è lì che abbiamo pensato di strutturare una realtà che parlasse la stessa lingua dei retailer e che potesse supportarli nella ricerca e nello scouting di innovazione derivante da start up selezionate in giro per il mondo. E così è stato: siamo partiti, abbiamo iniziato a collaborare con i primi grandi clienti. Con la pandemia, scoppiata poche settimane dopo la nascita di Retail Hub, abbiamo assistito a una vera e propria accelerazione: tutti i retailer avevano bisogno di innovazione per fronteggiare la crisi pandemica.
Una volta che l’emergenza è rientrata, qual è stata la risposta del mercato?
È stata sempre rilevante, perché sono arrivati tantissimi nuovi temi innovativi, come gli NFT, il Metaverso, l’intelligenza artificiale. La domanda è forte ma bisogna ricordarsi che non si può fare innovazione all’interno di un’azienda se non c’è una predisposizione, una cultura dell’innovazione. E allora abbiamo strutturato dei percorsi in cui facciamo interagire start up e aziende, in modo che possano lavorare insieme allo sviluppo di nuovi progetti, tramite la contaminazione di diverse idee, visioni, modelli. Ancora una volta, la pandemia aveva reso evidente il fatto che tantissime corporate non erano in possesso di una cultura dell’innovazione e soprattutto non erano preparate a questa accelerazione.
Qual è l’aspetto più evidente di questa accelerazione?
Senza dubbio il facile esaurimento delle competenze: un dipendente che oggi ha determinate competenze, se non si aggiorna dopo 3-5 anni le vedrà azzerate, soprattutto in questo periodo, quindi in queste situazioni risulta fondamentale sapere cosa c’è intorno.
E veniamo infatti alle start up, italiane e internazionali, con cui lavorate: come funziona il processo di scouting?
Chiarisco prima di tutto che noi lavoriamo con start up già strutturate, perché si fa fatica a far dialogare un retailer con una realtà imprenditoriale che non abbia sviluppato nemmeno un POC (Proof of Concept). Ciò che facciamo è semplificare e accelerare i processi di innovazione portando sul tavolo innovazioni pronte a partire. Le start up più interessanti sono identificate dal nostro team di analisti, che lavorano in sinergia con vari incubatori a livello internazionale che le selezionano. Dopodiché, le inseriamo all’interno di una directory, Innovation Explorer, da noi sviluppata e lanciata, e che contiene un archivio di circa 3000 tra start up e scale up. Ognuna ha la sua scheda azienda, un rating, e ogni impresa può entrare in contatto e interagire tramite un canale preferenziale autonomo, senza bisogno di intermediazione.
A livello di mercato ci sono differenza tra il mercato italiano e quello internazionale?
Sicuramente la più grande differenza riguarda il tema degli investimenti: Francia e Germania sono avanti, così come anche la Spagna, perché sono partiti degli investimenti a livello politico. In Italia scontiamo ancora una certa arretratezza, ma dal punto di vista della capacità di fare start up, anche di successo, noi non siamo da meno.
Questa arretratezza deriva secondo lei da una resistenza al cambiamento?
In passato, in Italia come nel mondo, si prediligeva il posto fisso, mentre si guardava con maggiore diffidenza alla cultura dell’imprenditore. Oggi le nuove generazioni hanno rovesciato tutto, anche perché il mercato offre tantissime opportunità: se si ha un’idea brillante, per sperimentarla e realizzarla potrebbe non volerci così tanto, anche in termini economici. C’è terreno fertile.
Di recente avete annunciato l’apertura, nel 2024, di un grande store dove scoprire e testare le tecnologie di ultima generazione.
Sì, la House of Innovation che avrà sede presso Scalo Milano Outlet and More. Si tratta di uno spazio di coworking e showroom permanente dove sarà possibile toccare con mano le tecnologie innovative proposte dalle start up, tramite demo e prove sul campo. Si tratta del primo hub di questo genere in Italia e in Europa e ne siamo molto orgogliosi. Sarà un modo tutto nuovo per confrontarsi con le start up, per favorire l’innovazione e migliorare i propri servizi come azienda.
Leggi anche >> Matematica vs Intelligenza Artificiale, Innovamat: “La formazione è una sfida culturale”