Se nel panorama nazionale le aziende sembrano avere il freno a mano tirato quando si parla di nuove modalità di gestione delle persone, ci sono realtà all’avanguardia. Ha fatto notizia il cosiddetto “remote working estremo” dello Studio Cappello ma, al di là degli slogan, alla base c’è un’attenta analisi della qualità del lavoro
Molte imprese italiane sono abbastanza indietro dal punto di vista della concezione dello smart e del remote working, lo sappiamo. Ma esistono anche realtà che non hanno paura di sperimentare nuove modalità di lavoro, spesso ispirandosi a grandi punti di riferimento imprenditoriali. Studio Cappello, ad esempio, è la digital marketing agency padovana di WMR Group premiata con il riconoscimento internazionale “Great Place to Work” anche per il work-life balance che concede ai suoi 75 dipendenti: “Ogni azienda deve trovare le sue migliori condizioni lavorative, ma più in generale occorre decidere prima di tutto di mettere al centro l’uomo in quanto tale”, ci spiega il CEO Andrea Cappello, nell’ambito di questa intervista.
L’agenzia recentemente ha fatto notizia perché permette ai collaboratori di lavorare dove vogliono, con chi vogliono e quando vogliono per due settimane l’anno. I lavoratori così hanno scelto di andare in gruppo a Tenerife. Oltre al remote working, i lavoratori hanno benefit come la flessibilità nella gestione della giornata, rispettando impegni presi e progetti, e l’orario ridotto fino a 36 ore ma con stipendi a 40. Il fatturato 2022 ha raggiunto quota 6 milioni di euro (+15%) e nel corso dell’anno sono stati gestiti 18 milioni in adv e ads.
I nostri approfondimenti mostrano che l’Italia è ancora indietro sul piano del remote working: alle aziende mancano innovazione e consapevolezza. Voi a quali imprenditori, imprese e Paesi vi ispirate per applicare condizioni di lavoro all’avanguardia?
“In Italia il nostro ispiratore è sempre stato Adriano Olivetti, come lavoratore e come persona innanzitutto. Sul remote working nessuno ha da insegnare perché non solo va realizzato su misura nella singola realtà, ma anche perché è stato frutto di innovazione in questi anni. In concreto: abbiamo fatto di esperienza virtù durante il lockdown testando il lavoro da casa o in remoto. Abbiamo vagliato le criticità che si presentavano e le esigenze sia dei singoli che dell’intera organizzazione. Ad esempio ci sono persone che preferiscono o hanno necessità lavorare il più possibile a distanza, altre che invece preferiscono l’ufficio.
Abbiamo ritenuto il confronto periodico con i colleghi dal vivo, in momenti anche conviviali, come una necessità di crescita personale e professionale, nonché elemento di empatia e amore necessario all’organizzazione. Abbiamo organizzato dei gruppi di lavoro interni dove valutare l’esperienza fatta, per instradare politiche e regole più confacenti alla nostra struttura, coinvolgendo tutti i reparti e le esigenze dei singoli. Da qui hanno preso vita un nuovo regolamento aziendale e l’adozione di tecnologie avanzate per il lavoro a distanza nel rispetto di tutti gli elementi essenziali – privacy, sicurezza, ergonomia, velocità delle tecnologie, lavori di gruppo in remote working… -. Tale regolamento presenta elementi come questi:
- Flessibilità in entrata e in uscita
- Smart working mediamente 2 giorni settimana
- 2 settimane full smart everywhere
- Orario di lavoro ridotto a 36 ore a pari retribuzione
- Venerdì pomeriggio libero dopo i 3 anni in azienda
- Congedo paternità prolungato
Abbiamo anche rimodellato gli uffici del nostro headquarter per renderli più efficienti per tali modalità di lavoro. Abbiamo più più spazi dedicati al confronto e al lavoro di gruppo, alla formazione, alle convention”.
La vostra teoria è: “L’importante è avere una connessione internet stabile e perseguire i propri progetti con scrupolo e responsabilità. Se davanti ad una spiaggia, tanto meglio”. Come controllate il raggiungimento degli obiettivi?
“Gli obiettivi di lavoro sono misurabili su diversi Key Performance Indicator (indicatori chiave di prestazione, ndr) nei vari progetti e monitorati da responsabili per vagliarne efficacia ed efficienza. L’analisi oggettiva di tali KPI si basa su dati concreti, quella soggettiva relativa alle soft skills viene fatta dai responsabili di reparto e dal People & Culture Manager. Tali attività ci permettono di vagliare anche il buon fare delle persone più talentuose e disegnare programmi di carriera professionale e retributiva a breve e medio termine”.
Con questa modalità, avete notato cambiamenti nel rendimento dei dipendenti? Ci sono stati miglioramenti nella produttività?
“Abbiamo persone più felici e le persone più felici lavorano meglio e con più entusiasmo. Percepito e percepibile. Dando per scontato poi che per noi non è giustificata una maggiore produttività se non c’è felicità, siamo doppiamente contenti del risultato ottenuto”.
Tutte le vostre risorse possono usufruire del remote working o alcune mansioni vanno per forza svolte in sede?
“Solo rare eccezioni: chi deve gestire la reception non può lavorare in remoto, ad esempio. E in relazione al proprio ruolo e status si può usufruire più o meno di lavoro a distanza. È difficile che chi deve ricevere formazione, come stagisti o apprendisti nei primi mesi, apprenda lavorando da casa. E l’apprendimento non è solo saper fare le cose, ma vivere in un’organizzazione con cui condividere principi, regole e valori. Acquisendo nel contempo piena consapevolezza di quello che comporta essere un persona responsabile”.
Il vostro remote working in spiaggia a Tenerife per 2 settimane di fila è stato definito come una “modalità estrema”. Vista la vostra capacità innovativa, come immaginate le professioni del futuro? Quali figure spariranno, quali nasceranno e come lavoreranno?
“Non c’è niente di estremo. Vi sono lavori e persone che per maturità e attitudine possono funzionare 24/7 da remoto, altri lavori che non possono essere fatti che in ufficio. Ci sono poi persone che necessitano di stare in tali ambienti per difficoltà oggettive personali o esigenze soggettive – come incapacità a darsi regole, avere disciplina, rispettare le scadenze… -. La vera rivoluzione sarà pensare a un mondo dove si pone attenzione alla persone. Non vanno considerate come meri strumenti di lavoro, o come si usa tristemente dire nel mondo finanziario e nel più becero imprenditorialismo capitalista, un parco buoi.
Il ruolo di un’azienda deve andare oltre l’aspetto lavorativo e impattare sulla società. Per lasciare il segno sul territorio ed espandersi, serve investire sulla cultura dell’azienda quale elemento di benessere sociale e non individuale. Il benessere delle persone che la costituiscono, qualsiasi essa sia – produzione, servizi, educazione o altro – dovrebbe costituire il punto zero su cui far evolvere il mondo. Da qui anche la necessità di avere un’etica solida e diffusa con benefici per la società tutta fatta di persone e ambiente. E anche la rivoluzione dell’IA dovrebbe tendere a tale fine perché, se lasciata come un cane sciolto nel mercato, può invece portare a effetti contrari al benessere diffuso. Un rischio questo molto concreto purtroppo”.
Cosa prevede il vostro gruppo in termini di tempo e budget dedicati alla formazione?
“Una fetta cospicua a due cifre percentuali sul fatturato”.