Gli affari di questa società hanno visto una grande impennata ultimamente, complici anche le limitazioni negli spostamenti che hanno fatto tornare le persone nei negozi di prossimità. Ma il vero successo di Portobello sta nel suo modello di business, che si basa sul baratto e che è tra i più innovativi in Europa. Abbiamo chiesto a Roberto Panfili, co-founder e COO dell’azienda, di spiegarci come funziona e quali sono i suoi orizzonti futuri a livello imprenditoriale
Soprattutto nel corso dell’ultimo anno, quello più duro e difficile a causa della diffusione del Covid-19 e dello scoppio di una pandemia globale, diverse città italiane hanno visto l’apertura di diversi punti vendita a insegna Portobello. La società fondata nel 2016 ha fin dal principio abbinato un’attività editoriale – di rivendita di spazi pubblicitari di proprietà o di terzi o di pubblicazione di media e riviste – alla distribuzione retail e l’apertura di locali che sono dei veri e propri empori dove si può trovare di tutto, dai piccoli elettrodomestici ai prodotti per la cura della casa e per l’igiene personale fino ad abbigliamento e accessori.
Gli affari di questa società hanno visto una grande impennata ultimamente, complici anche le limitazioni negli spostamenti che hanno fatto tornare le persone nei negozi di prossimità. Ma il vero successo di Portobello sta nel suo modello di business, che si basa sul baratto e che è tra i più innovativi in Europa. Dopo la quotazione in Borsa, un traguardo davvero importante per l’azienda, le azioni hanno visto una repentina crescita e anche oggi le performance a Piazza Affari di Portobello sono più che soddisfacenti. Abbiamo chiesto a Roberto Panfili, co-founder insieme a Simone Prete di Portobello e suo direttore generale, di raccontarci come tutto è partito, come funziona questo modello su cui è basato un business decisamente di successo e quali sono gli orizzonti futuri dell’azienda.
In un anno difficile come il 2020, Portobello ha visto una grande crescita ed è ormai una realtà consolidata. Ci racconti come è nata questa idea e, soprattutto, su cosa si basa e come funziona il modello di business che ha portato la sua azienda rapidamente al successo.
Abbiamo un modello di business molto innovativo, che rappresenta l’elemento che ci differenzia dalle altre catene retail. Si tratta di un modello peraltro unico in Italia e in Europa e che ci ha permesso di quotarci in Borsa: ad oggi siamo l’azienda più giovane quotata a Piazza Affari e lo siamo dal 2018, anno in cui Portobello era nata da soli 18 mesi.

Le nostre fondamenta, in realtà, poggiano su due business unit: il primo è quello della creazione del media (spazi pubblicitari e prodotti editoriali, ndr) e arriviamo ad ottenere guadagni al termine di un’attività circolare. Mi spiego meglio: creiamo il nostro media, lo andiamo a rivendere sul territorio e invece di farci pagare in soldi, ci facciamo pagare in merce. Questa pratica viene comunemente chiamata Barter o, più semplicemente, baratto. I vantaggi per la controparte sono incredibili, dato che si può utilizzare come moneta di scambio uno slow moving di magazzino (quindi merce stoccata a rischio obsolescenza che, se rimane ferma, costituisce un costo molto alto per l’azienda, ndr), aumentare così i ricavi e le efficienze di bilancio, eliminare i fondi di svalutazione e salvare la cassa, visto che viene utilizzata merce già pagata. Sono tutti questi vantaggi per la controparte, appunto, la chiave del nostro successo e ciò che ci ha permesso – e che ci permette tuttora – di chiudere contratti su contratti.
L’altro grande elemento che ci rende competitivi sono i prezzi molto bassi a cui riusciamo a vendere la merce, proprio grazie al meccanismo del Barter: sono i più bassi d’Italia, molto più bassi anche di quelli di Amazon.
L’Italia è il paese più attento ai prezzi, quindi uscire sul mercato con dei negozi di prossimità con dei prodotti di marca, di genere primario e di più categorie merceologiche con prezzi super competitivi ha rappresentato una vera e propria rivoluzione. Per quanto riguarda la crisi attuale, possiamo definirci anticiclici e, con il nostro modello che è tra i più innovativi a livello europeo, siamo stati anche in grado di risolvere alcune inefficienze del sistema e aiutare le aziende in difficoltà, che si sono ritrovate con enormi giacenze nei loro magazzini.
Di recente Portobello si è avvicinato all’automotive. Che tipo di percorso avete intrapreso per quanto riguarda questo settore e quali sono gli obiettivi?
Abbiamo applicato lo stesso modello di business anche ai servizi e all’automotive. L’unica differenza sta nel fatto che, ovviamente, non vendiamo le autovetture nei nostri negozi ma ad altri concessionari, mentre alcuni servizi – come soggiorni in albergo o viaggi – li stiamo per lanciare su un portale che utilizza la tecnologia blockchain per il suo funzionamento.
Un’eredità positiva della pandemia è che oggi, finalmente, il tema dell’innovazione e della digitalizzazione delle imprese sono finalmente una priorità. Da imprenditore, secondo lei quali sono i passi più urgenti da compiere in questa direzione?
Io spero sempre che accelerare sulla digitalizzazione si tradurrà anche in eliminazione della burocrazia. L’Italia è stretta e lunga, ha bisogni che cambiano da territorio a territorio e che devono essere interpretati nel modo giusto: spesso si parla troppo facilmente di digitalizzazione e anche di sostenibilità, due temi che oggi vanno molto “di moda”, senza rendersi davvero conto che al Sud mancano ancora delle infrastrutture fondamentali per accogliere un certo tipo di innovazione e alcune trasformazioni necessarie per andare incontro al futuro.
L’innovazione digitale, quindi, deve essere sfruttata per far andare il Paese più veloce e snellire tutta quella serie di procedure burocratiche che non permettono alla nostra economia di prendere il volo. Qualsiasi attività si scelga di intraprendere, dalla ristorazione al turismo, si riscontrano una serie di difficoltà molto serie e che stanno lentamente distruggendo alcuni settori, come l’artigianato. Addirittura, spesso la burocrazia impedisce al alcuni imprenditori di sfruttare a pieno le opportunità dei fondi europei o di avere delle licenze in tempi normali.
A Roma, ad esempio, per poter aprire un negozio fisico e mettere un’insegna ogni quartiere ha un regolamento diverso e, in generale, per avviare un’attività ci vogliono magari 6/7 mesi. Chi può permettersi di restare fermo per tutto questo tempo pagando un affitto? Si tratta di una situazione che espone poi i più piccoli all’aggressione dei grandi marchi internazionali, che hanno una potenza economica capace di contrastare queste lungaggini. È necessario dover garantire degli strumenti agli imprenditori che vogliono restare nel nostro Paese e valorizzare le eccellenze di cui è ricco.
Altrettanto importanti per imprenditori e aziende – soprattutto oggi che stiamo tutti raccogliendo le macerie di questa guerra che, purtroppo, non è ancora finita – sono le iniziative per il sociale e l’attenzione all’ecosostenibilità. Quali sono le iniziative di Portobello in tal senso?
Come Portobello siamo scesi in campo con diverse iniziative di solidarietà: abbiamo donato 5mila buoni pasto a dei bisognosi attraverso organizzazioni come i Cavalieri di Malta, la Comunità di Sant’Egidio e la Chiesta Spagnola e lo abbiamo fatto tramite Barter con Burger King. Abbiamo anche donato diverse migliaia di mascherine in piena pandemia, prodotte peraltro da un’azienda italiana.
Per quanto riguarda la sostenibilità, come accennavo in precedenza si potrebbe definirlo un argomento un po’ inflazionato e, in generale, penso sia più importante parlare di valori e beneficienza. È ovvio che tutti noi dobbiamo impegnarci per rendere l’Italia un paese più green ma sono spaventato, ad esempio, dal connubio sostenibilità-finanza: mi sembra che il tema venga più che altro sfruttato per ottenere finanziamenti agevolati, quando si dovrebbe semplicemente pensare al reale impatto delle nostre azioni quotidiane sull’ambiente.
In generale, dopo tutte le trasformazioni di questo periodo, sembra essere tornata – ben più alta rispetto a prima – l’attenzione nei confronti delle persone. Dei lavoratori e delle loro esigenze, nella prospettiva di una maggiore flessibilità. Come vede, in questa chiave, il futuro del mondo del lavoro e del business?
Ci deve essere flessibilità, è fondamentale, ma non bisogna a mio vedere abusare di questo concetto. Anche un colosso come Google ha fatto di recente una marcia indietro per quanto riguarda la concessione dello smart working ai suoi dipendenti: il lavoro agile tiene i gruppi di lavoro lontani e in molti casi produce disattenzione e anche tante attività, come il brainstorming, non hanno la stessa resa se svolte a distanza e non in presenza.
Inoltre, visto che si parla tanto di sostenibilità economica, se tutto il mondo passasse integralmente allo smart working solo in Italia chiuderebbero migliaia di bar e ristoranti, perché comunque il commercio è basato anche sulla fruizione di certi servizi su strada, subordinati proprio ad un movimento di persone che ogni giorno si recano in ufficio. È anche bello, a mio avviso, uscire di casa, fermarsi a comprare un prodotto o per prendere un caffè al bar, ricevere un sorriso e confrontarsi con le persone de visu.
Nell’ormai lontano 1998 lei ha creduto nella visione di un grande innovatore, Steve Jobs, e anche se la Apple viveva un momento di crisi ed incertezza, lei ha voluto fare una scommessa e insieme a suo fratello ha aperto il primo Apple Center privato in Italia. Quali consigli darebbe a un giovane con una buona idea che vuole avviare, con le incertezze di oggi, un business e avere successo?
Ho fatto la stessa scommessa del ’98 anche con Portobello, visto che oggi l’azienda ha una market cap (valore di mercato totale delle azioni di una società, ndr) da 100 milioni di euro ma solo quattro anni fa ci hanno preso per folli e, quando volevamo quotarci in Borsa, ci ridevano dietro.
Questo per dire, soprattutto ai giovani: nulla è impossibile. Non è vero che servono grandi capitali per fare l’imprenditore, servono solo perseveranza e tanta voglia di lavorare. Con queste due caratteristiche si può arrivare ovunque si voglia, e lo dico con grande convinzione perché è la verità. Chi si nasconde dietro alle scuse vuol dire che è pigro, anche perché oggi ci sono tantissimi modi per raccogliere capitale (come, ad esempio, il crowdfunding).
In conclusione, per quanto riguarda il suo di futuro, a livello imprenditoriale quali sono i prossimi orizzonti?
Un primo traguardo lo abbiamo raggiunto proprio con la market cap, che testimonia il valore raggiunto dall’azienda. Quello che però interessa gli investitori oggi non è quello che abbiamo fatto, ma quello che faremo: entro 18 mesi raggiungeremo il traguardo di 100 negozi e vedremo crescere utili e fatturato. A quel punto saremo pronti per un’ulteriore crescita.
Leggi anche >> Pocket manager: come nasce la società di consulenza che aiuta le piccole imprese