Un’avventura iniziata per gioco, con tanto coraggio e un pizzico di follia. Domingo Iudice ci racconta la storia di Pescaria
“Apriamo un fish bar“. Con queste semplici parole è iniziata l’avventura di Pescaria, il fast food di pesce che sta rivoluzionando il mondo della ristorazione. I suoi fondatori hanno deciso di intraprendere questa avventura pensando ad un modo inedito e alternativo di gustare i migliori prodotti ittici pugliesi, e da Polignano a Mare hanno pian piano raggiunto tutta Italia.
La storia di Pescaria è un mix di un incontro fortuito, un’idea innovativa e tanto tanto lavoro. Bartolo L’Abbate, imprenditore nel settore ittico di Polignano, voleva avviare un’attività, magari un ristorante di pesce tradizionale. Ma il suo consulente di comunicazione, Domingo Iudice, gli suggerì di puntare a panini a base di pesce, un piatto tipico locale ma più in linea con i trend della vita contemporanea. A loro si unisce in seguito lo chef Lucio Mele per elaborare un menu legato al territorio.
Abbiamo intervistato Domingo Iudice, che ci ha raccontato di Pescaria, della sua storia e dei suoi progetti per il futuro…
Quando e come è nata Pescaria?
Pescaria è nata nel 2015 da un’idea quasi casuale e per un gioco tra me e Bartolo L’Abbate. Io sono direttore creativo e mi occupo del marketing all’interno di un’agenzia che ho co-fondato, Brainpull, mentre Bartolo è co-fondatore di un’azienda di commercio ittico che si era già portata avanti nella semi-lavorazione di prodotti ittici di alta qualità per la ristorazione in Puglia.
La scintilla è stata quasi automatica: dopo aver lavorato insieme a un progetto ideato da Bartolo, che si chiamava Mareviglioso, ci siamo detti “proviamo ad aprire un fish bar”.
Non avevamo un nome e lo abbiamo trovato attraverso uno stato su Facebook che metteva in palio 100 euro per chi suggeriva l’idea più bella.
A trenta giorni dall’apertura abbiamo cercato di acquisire quella competenza che è diventato il terzo elemento fondante di Pescaria, che era l’idea di ricercare uno chef e la fortuna di incontrare Lucio Mela. E così abbiamo aperto a Polignano.
Dopo un’estate decisamente sopra ogni più rosea aspettativa, con un po’ di pazzia e coraggio abbiamo deciso di andare a Milano. E poi il resto è storia…
Quanto è importante per voi essere fedeli alla tradizione? E quanto spazio occupa la ricerca di novità?
In realtà per noi non essere fedeli alla tradizione non è importante. Puntiamo sulla ricerca della qualità, che è molto importante, e dell’autenticità, che è vitale. Pescaria è un format che in maniera pressoché istantanea e immediata comunica qualcosa: l’amore per una terra, l’amore per le sue tradizioni enogastronomiche ma soprattutto la capacità di viverle riscoprendole e adattandole a un contesto enogastronomico globale e pronto per i tempi che verranno.
In Puglia non eravamo avvezzi a quello che oggi è il mercato del fast casual. Riteniamo che fast food e fast casual siano i trend che caratterizzeranno il mercato nei prossimi anni e Pescaria forse è una delle tante prove che la Puglia ha un’idea e prodotti che possono essere reinventati e reinterpretati per competere a un livello globale senza temere la concorrenza dei big player, che nel mondo del fast food raramente sono italiani.
Quali sono i punti di forza e quali i limiti del delivery?
Il delivery ha un limite dato dal tempo che intercorre tra la preparazione del prodotto alla consegna. Questo ribalta totalmente la consumazione e crea delle criticità , soprattutto per chi fa prodotti preparati espresso come Pescaria.
Queste criticità le affrontiamo ricercando soluzioni di packaging, di produzione e di preparazione più adatte: lasciare il packaging leggermente aperto perché arieggi, utilizzare una carta piuttosto che un’altra perché assorba di più l’umidità e mantenga il prodotto più fragrante, evitare di portare a casa delle paste o ridurne la sugosità (passatemi il termine) del panino perché non arrivi ammollato.
Sono tutte piccole premure che però vanno in un’unica direzione: la visione del cliente delivery come un cliente ugualmente esigente che decide di venire a consumare in negozio, ma che talvolta ha anche piacere di consumare in casa una piccola esperienza con il suo ristorante di fiducia. In questo senso, noi equipariamo i consumatori del delivery al consumatore del ristorante: gli ordini sono processati arrivando in cassa e sono gestiti senza alcuna priorità per l’uno o per l’altro, e questo è un principio di democrazia del servizio che da noi è sempre esistito sin dal 2016, quando abbiamo iniziato la nostra partnership esclusiva con Glovo.
In secondo luogo, noi lavoriamo costantemente su noi stessi affinché il servizio migliori sempre di più. Cerchiamo sempre di andare sotto il 2% di lamentele da parte del cliente, accorciare i tempi di consegna e poi sviluppare prodotti appositamente per il delivery così da essere proattivi e innovativi con il caso della cook room solo fritti, che rappresenta “uno spin-off” in cui facciamo prodotti che non vengono venduti a Pescaria e tutto il fritto di Pescaria che, essendo lavorato nella cook room di Glovo arriva a casa dei clienti in pochissimo tempo.
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Quanto sono utili i social per la vostra attività? E su quale piattaforma vi concentrate di più?
I social, e in generale le piattaforme digital, rappresentano il nostro unico canale di comunicazione. Siamo un brand che basa la propria forza sulle conversazioni e sul coinvolgimento e questo significa che la scelta dei social non avviene in maniera casuale: analizziamo le piazze, la dimensione e soprattutto la frequenza con cui le conversazioni vi si manifestano.
Dapprima Facebook, poi è arrivano Instagram, poi YouTube e da poco siamo presenti su TikTok. Poi siamo presenti in tutte quelle piazze dove i clienti generano un passaparola e, nel 65% dei casi, questo genera conversione. Sappiamo che chi raggiungiamo digitalmente e poi viene in negozio tende a consigliarci con maggiore enfasi.
Nel 2020 come avete riorganizzato le vostre attività in seguito all’emergenza sanitaria?
L’emergenza sanitaria fa pochissimo dal punto di vista delle operation nei ristoranti. Certo, c’è stato un contingentamento delle distanze, l’emergenza ci ha portati a cambiare la logistica nel ristorante ma da un punto di vista delle operatività quotidiane ogni ristorante ha procedure di autocontrollo che schermano il pericolo dei patogeni.
Quindi io penso che un ristoratore oggi, al di là delle chiusure, in realtà debba riadattarsi da un altro punto di vista, ovvero la capacità di avere un sistema costi snello, misurabile e soprattutto modificabile nel tempo. Questo significa elevare la qualità della contabilità e della gestione aziendale e digitalizzarla.
C’è stato un lavoro enorme da parte della nostra azienda. Può essere fatto ancora tanto ancora, ma notare di essere comunque in attivo (al di là di una logica compressione del fatturato) rappresenta un risultato davvero importante, che ci dà molta sicurezza. Significa, di fatto, avere la certezza di potersi adattare con maggior velocità ad un contesto mutato, mantenendosi profittevoli e aumentando le probabilità di sopravvivenza. Credo che questo sia il messaggio più importante e da qui deriva la mia personale idea su quale sia l’attitudine giusta: è inutile aspettare che tutto torni come prima.
Credo che nella vita di ogni buon imprenditore ci sia la paura positiva e costante che qualcosa di peggio possa verificarsi. Ma questo aumenta le probabilità di percepire l’ignoto, elaborare delle strategie di crisi e metterle in campo quando il cigno nero decide di atterrare sul nostro mercato. Questo è il consiglio che mi sento di dare, e ovviamente lo faccio con la positività e la speranza di chi affronta l’ignota situazione che stiamo vivendo, ma che sono convinto tenderà a migliorare nel corso del 2021.
Raccontaci del vostro successo nella Capitale.
Nel 2020 siamo approdati a Roma e Bologna. Avevamo un piano di aperture che doveva partire il 25 marzo, ma che è stato ovviamente sospeso a causa del lockdown.
Abbiamo riprogrammato il tutto, cercando di monitorare quotidianamente il livello di contagi e quello che il legislatore predisponeva. Siamo stati molto impauriti da quest’estate un po’ “scapestrata” nella quale abbiamo avuto la possibilità di tornare ad accorciare le distanze, però con tanta fiducia e con un po’ di coraggio abbiamo aperto due punti vendita in una settimana.
Prima abbiamo aperto a Bologna e poi abbiamo aperto a Roma. In entrambi i casi abbiamo avuto riscontri eccellenti, nonostante le contingenze e con tutta la fatica che può comportare il rispetto delle norme Covid.
Noi continuiamo a programmare. Nel frattempo abbiamo annunciato anche un’apertura a Napoli. Riteniamo che sia il momento di continuare a seminare e credere in un prodotto che più che mai risponde all’esigenza di mangiare pesce in modo alternativo, senza la complessità di una ristorazione classica ma senza compromessi di qualità.
Quali sono i progetti per il futuro?
Per il futuro Pescaria continuerà a mantenere una gestione diretta di dieci ristoranti sparsi sul territorio nazionale da nord a sud, dimostrando una capacità di gestione centralizzata e digitalizzata, ma anche incrementabile.