“È anche la flessibilità a poter colmare il gender gap. Questo è un paese ancora molto rigido, ma abbiamo imboccato il sentiero giusto”. Intervista a Micaela Pallini, presidente e Ceo della storica azienda produttrice di liquori
Micaela Pallini è presidente e Ceo dell’omonima e nota azienda di liquori produttrice dell’iconico Mistrà o del Limoncello, esponente di quinta generazione e prima donna alla guida dell’impresa di famiglia che fu fondata 146 anni fa da Nicola Pallini ad Androdoco, in provincia di Rieti, per poi trasferirsi a Roma, nella sua attuale sede di Via Tiburtina. Presidente anche di Federvini, ha raccontato a Dealogando le difficoltà recenti vissute dal suo comparto, ma anche dalla sua stessa realtà, un’eccellenza del Made in Italy che oggi fa i conti con la crisi post Covid, con il rallentamento delle esportazioni per via della crisi del turismo, ma che è pronta a sfruttare le nuove occasioni di un mutato contesto, dove non si può lasciare da parte l’innovazione e dove le donne imprenditrici si prendono – seppur ancora con qualche fatica – tutto lo spazio che in passato gli veniva sottratto.
La sua è un’azienda di liquori con una tradizione secolare, fondata nel 1875. In che modo Pallini oggi guarda all’innovazione per restare competitiva su un mercato che, come tanti altri, ha risentito sia dei cambiamenti che delle difficoltà degli ultimi anni?
Abbiamo portato avanti una serie di progetti soprattutto lo scorso anno, quando il mondo era fermo. Siamo usciti con un prodotto che si chiama Limonzero, un prodotto senza alcol, perché c’è una forte richiesta che arriva soprattutto dai mercati esteri e abbiamo, di fatto, realizzato il primo limoncello di questo genere. Poi abbiamo sviluppato anche una crema di limoni vegana, sia per il mercato estero che per il duty free, e un altro limoncello a bassa gradazione alcolica. Lavoriamo molto con i duty free e con le realtà del turismo, un comparto particolarmente colpito dalla pandemia. A livello globale, prima del Covid, eravamo leader mondiali per quanto riguarda il limoncello, che è considerato un souvenir dai turisti.
Di recente, poi, abbiamo acquisito un marchio, un amaro di Roma che si chiama Amaro Calamaro. Il segmento degli amari è molto vivace in Italia e stiamo anche collaborando con un’altra azienda di Roma che ci ha dato delle idee di marketing. Pallini, comunque, è un’azienda che esporta più dell’80% della sua produzione, che ha una grande attenzione – appunto – per i mercati esteri e il cui prodotto di punta è proprio il limoncello, realizzato con le scorze dei limoni di Amalfi, il che lo rende una vera eccellenza del Made in Italy.
Pallini è leader in Italia con Mistrà e i suoi sciroppi. Tra tradizione e innovazione, come si resta un’eccellenza del Made in Italy e come si tutela oggi il marchio dalle insidie della contraffazione?
È una lotta impari quella contro l’Italian sounding. Addirittura, si stima che per ogni euro che esportiamo, come Paese, ci siano altrettanti euro di prodotti venduti che si rifanno a prodotti italiani, ma che italiani non sono. Il nostro settore è particolarmente fragile, perché non esiste una denominazione che protegga l’italianità, quindi chiunque può produrre un amaro o un limoncello in Germania, chiamarlo con un nome italiano, e non si può fare niente per contrastare questo fenomeno. L’unica cosa che si può fare è puntare su una comunicazione molto chiara, sulla qualità del prodotto e sull’affermazione e reputazione del marchio.
Tra le conseguenze della pandemia c’è l’esplosione dell’e-commerce e una forte accelerazione riguardo la digitalizzazione.
L’esplosione dell’e-commerce è avvenuta e sicuramente alcuni settori, più di altri, hanno risentito della concorrenza dell’online. Il nostro ha visto una tendenza agli acquisti online raddoppiata, ma ancora minoritaria: parliamo del 2%, questo il valore delle vendite online rispetto a quelle tradizionali. Ad ogni modo, ovviamente ci siamo mossi e abbiamo scelto, per il momento, di non aprire una nostra piattaforma, ma di collaborare con quelle esistenti come Amazon e altri player sul territorio, come Bernabei. In Italia abbiamo anche l’importazione e la distribuzione di prodotti di altri marchi, non prodotti da noi, ma che distribuiamo qui.
Secondo lei, l’universo digitale e quello fisico riusciranno a convivere nel futuro? Oggi fra questi due universi sembra esserci una lotta, ma in realtà la loro unione rappresenta una grande possibilità per molte realtà e settori.
Sì, sicuramente c’è una lotta, che al momento parte da una base di disuguaglianza dato che i costi fissi che ha il retail fisico l’online non ce li ha. Ormai, però, nell’e-commerce stanno investendo tutti, dalle più grandi alle più piccole realtà e noi abbiamo fatto la scelta di non creare il traffico, ma di andare lì dove il traffico già c’era.
Inoltre, vini e liquori non possono essere venduti online in altri paesi per questioni doganali e di tassazione, quindi se avessimo potuto aprire un marketplace per sfruttare le vendite all’estero probabilmente lo avremmo fatto, ma nella prospettiva di servire solo il mercato nazionale non ci sembrava potesse valerne la pena e oggi continuiamo a collaborare con piattaforme e realtà già esistenti con iniziative di marketing.
Credo che fisico e digitale dovranno senz’altro imparare a convivere e penso che, ad aziende storiche e con una tradizione forte come la nostra, l’online dia la possibilità soprattutto di raccontarsi, perché chi compra in media si informa di più su ciò che sta comprando. C’è possibilità, in questo senso, di educare i consumatori. Deve essere, però, raggiunto un equilibrio perché il mercato non può pensare di vivere solo di online, dato che soprattutto per un settore non essenziale come il nostro la vendita d’impulso, che si fa all’interno del supermercato e magari di fronte ad una promozione, resta fondamentale.
In Italia sono ancora molti e attuali i problemi legati al divario di genere nel mondo del lavoro, e anche il gender pay gap è ancora presente in tantissime realtà aziendali. Da donna imprenditrice, come vede e vive questa situazione?
Io sono anche presidente della nostra associazione, Federvini, e posso dire che nel nostro settore c’è stato un grande ricambio generazionale in questi ultimi anni e molte donne si ritrovano oggi a ricoprire ruoli importanti, dato anche che il comparto vede diverse aziende a gestione familiare e c’è stata occasione, per molte, di mettersi in gioco.
Sicuramente questo è un Paese non facile per le donne e uno dei problemi più cronici resta quello della conciliazione casa-lavoro. In Italia abbiamo un tessuto imprenditoriale costituito per lo più da aziende medio-piccole, che fanno difficoltà ad assumere più persone per ricoprire lo stesso ruolo e questo porta al protrarsi di annosi problemi che sembrano non potersi risolvere mai. Tuttavia, io trovo che ultimamente siano stati fatti molti passi avanti e forse riusciremo a vedere ben presto un presidente donna.
Penso che l’introduzione del congedo parentale per i padri sia stato molto importante, perché si tratta anche di un processo di educazione interno alle famiglie, alle società, che deve far capire che determinati compiti non sono solo appannaggio delle donne e che deve esserci condivisione. Ieri erano più le donne a lasciare all’uomo spazio per la carriera, mentre oggi stiamo lentamente cambiando mentalità.
Bisogna comunque fare anche i conti con il fatto che l’Italia è diventato un paese con una bassissima natalità e questo è innanzitutto un problema economico, aggravato dall’altro fenomeno dei cervelli in fuga, con sempre più talenti che acquisiscono grandi competenze all’estero che poi non tornano a spendere qui, dove paghiamo poco i nostri dipendenti perché la tassazione sul lavoro è altissima, le aziende sono piccole e non possono offrire grandi prospettive di carriera.
Da quest’anno una certificazione di parità di genere verrà attribuita alle aziende per attestare le misure concrete adottate dai datori di lavoro per ridurre i divari su opportunità di crescita, parità salariale a parità di mansioni, gestione delle differenze di genere e tutela della maternità: le imprese che la avranno, otterranno uno sconto sui contributi da versare. Che ne pensa?
Si tratta di misure che, senza dubbio, ti invitano a fare delle scelte che possono poi risultare positive. Per colmare il divario di genere bisogna però anche creare degli strumenti di lavoro agili: questo è un paese ancora molto rigido sotto questo punto di vista, sia dal lato del datore che del dipendente, e questo non è d’aiuto nemmeno nell’ottica del superamento del gender gap. Oggi però che stiamo rendendo il lavoro più flessibile e meno legato ad un monte ore giornaliero e più a degli obiettivi, abbiamo imboccato il sentiero giusto. Se il datore di domani non sentirà più la necessità di controllare il suo dipendente, anche questo rappresenterà un’occasione per le donne di riuscire a conciliare vita familiare e carriera.
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