Le persone che diventano nomadi digitali sono sempre di più: è una scelta all’insegna della libertà, della flessibilità, delle opportunità di crescita personali e professionali. “Ma il quadro normativo spesso non è chiaro”, spiega Gianluca Tirri.

Sono oltre 35 milioni nel mondo, divisi a metà tra dipendenti e freelance, e continuano ad aumentare. I nomadi digitali, coloro che decidono di vivere e lavorare in giro per il mondo, si diffondono sempre più e rappresentano anche l’espressione di un forte desiderio: il 93% dei professionisti italiani, ad esempio, darebbe una chance a un’esperienza lavorativa da remoto per un’azienda estera. Di certo la voglia di una maggiore libertà e flessibilità nella scelta del luogo di lavoro gioca un ruolo di primo piano.

Gianluca Tirri è il Managing Director di Quickfisco, startup italiana che segue partite IVA, nomadi digitali e remote worker anche dal punto di vista amministrativo, contabile e fiscale, aiutando queste persone a orientarsi in un dedalo di norme, leggi, tasse, agevolazioni e assicurazioni.

Quali sono le caratteristiche del nomadismo digitale che attraggono di più le persone e in particolare i lavoratori?

C’è da considerare un tema di libertà e di prospettive di crescita quando si parla di nomadismo digitale: negli ultimi anni, complice anche la pandemia che ha sdoganato un modo di intendere il lavoro sempre più incentrato sul concetto del work-life balance, si tendono a esplorare nuove modalità di svolgere il proprio impiego, scoprendo che non è indispensabile “timbrare il cartellino dalle 9 alle 18” né trovarsi in ufficio tutti i giorni, compatibilmente con le proprie mansioni.

Questo ha fatto sì che molti professionisti – in particolare chi opera in ambito digitale – scoprissero la possibilità di svolgere il proprio lavoro in altre parti del mondo, lontani dal luogo di residenza abituale. Essere nomadi digitali significa diventare “cittadini del mondo”, ampliando i propri orizzonti e arricchendo il proprio bagaglio di competenze e di esperienze.

Quali sono le difficoltà che si incontrano affacciandosi a questo stile di vita?

Sicuramente emotive, dovute al distacco dal proprio Paese e dalla propria quotidianità e routine, nonché burocratiche – legate, quindi, alle regole da seguire e agli adempimenti normativi non sempre definiti e in costante mutamento – e tecnico-logistiche. Per quanto concerne le difficoltà burocratiche, prendendo come esempio un cittadino italiano che decide di intraprendere la strada del “nomadismo digitale”, quest’ultimo dovrà avere ben chiare le regole del Paese di destinazione, ad esempio la durata del visto, nonché la normativa fiscale del Paese di origine, in questo caso l’Italia, in quanto dovrà definire se lasciare la residenza fiscale lì o trasferirla altrove.

La scelta della residenza fiscale determina in quale Paese bisognerà pagare tasse e contributi. La complessità della questione è testimoniata anche dal fatto che, secondo Flatio Digital Nomad, il 66% continua a pagare le tasse nel proprio Paese d’origine. Nei casi in cui vi siano incertezze sulla localizzazione della residenza fiscale del lavoratore si ricorre all’applicazione delle Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate tra gli Stati coinvolti. Per quanto riguarda gli aspetti tecnico-logistici, poiché un nomade digitale, per sua natura, si sposta di continuo, dovrà mettere in conto di cambiare casa, amici, garanzie sanitarie e via dicendo.

Perché la prima sensazione dei professionisti è il disorientamento?

Proprio perché il quadro normativo sui nomadi digitali è ancora molto aleatorio, sia in Italia che all’estero, soprattutto da un punto di vista fiscale. In generale il fenomeno riconducibile al nomadismo digitale ha portato diversi Stati a interrogarsi su come accogliere e regolamentare questa nuova tendenza. Alcuni Stati europei hanno fatto da apri-pista, come ad esempio Grecia, Spagna e Portogallo, creando dei meccanismi di incentivazione per favorire l’ingresso nel paese ai nomadi digitali.

In questo solco anche l’Italia ha varato nel 2022 una norma che agevola l’ingresso di cittadini di Paesi terzi che decidano di lavorare nel territorio nazionale, per un determinato periodo, svolgendo la propria attività da remoto. Ad ogni modo, in assenza di norme chiare, comprensibili e definite, è evidente la necessità di rivolgersi a un consulente, onde evitare di incorrere in spiacevoli sorprese e di ignorare gli adempimenti fiscali che si è tenuti a rispettare.

Come cambiano le cose per i lavoratori dipendenti?

La possibilità di svolgere il proprio lavoro all’estero per i dipendenti è un’opportunità che presenta maggiore complessità rispetto a un lavoratore autonomo, soprattutto per la necessità di dover disciplinare tra l’azienda e il lavoratore un vero e proprio trasferimento all’estero per un periodo prolungato, che determina la scelta della residenza fiscale da parte del lavoratore e la valutazione degli aspetti contributivi e della copertura assicurativa, in quanto il premio INAIL che l’azienda versa potrebbe essere rimodulato a seconda del Paese di destinazione del dipendente, oltre al fatto che potrebbe essere necessario integrare altre coperture assicurative.

La scelta della residenza fiscale per chi vuole lavorare da remoto all’estero è dirimente per i lavoratori dipendenti poiché gli obblighi fiscali dipendono da essa: consente di stabilire quale Stato andrà a tassare i redditi del lavoratore. Diverso è il discorso per un lavoratore autonomo, che avrebbe meno grattacapi in quanto il principale tema da affrontare è legato alla scelta del lavoratore di trasferire o meno la propria residenza fiscale.

In generale, dal punto di vista normativo cosa manca? Cosa servirebbe?

Innanzitutto chiarezza, un quadro normativo di facile comprensione anche per chi non è un addetto al mestiere, ma è interessato a saperne di più. Stiamo vivendo una rivoluzione culturale da cui non si tornerà indietro: ha portato a galla alcune lacune del nostro sistema e al contempo evidenziato altre priorità, non ultimo l’equilibrio vita-lavoro e la possibilità di ampliare le proprie esperienze lavorative superando i confini geografici. Ora è il momento di far sì che sempre più persone siano incentivate a muoversi in questa direzione, trasformando l’Italia in un Paese sempre più attrattivo e competitivo per i nomadi digitali di tutto il mondo.

Quickfisco aiuta i professionisti italiani ma anche sempre più professionisti stranieri che scelgono l’Italia come base per lavorare con aziende internazionali: come si trovano in Italia?

L’Italia è un Paese che ha tanto da offrire, è innegabile che tanti professionisti ambiscono a lavorare qui per lo stile di vita, la nostra cultura, la cucina, il clima. Bisogna sfruttare il potenziale dell’Italia, unendo a quelle che sono le caratteristiche distintive del nostro Paese un quadro normativo di facile comprensione, oltre a incentivi “equilibrati” che fungano da stimolo per tutti quei professionisti che valutano di venire a lavorare in Italia per un certo periodo di tempo. In questo momento sono già presenti alcune opportunità a livello fiscale valide per tutti i freelance che decidono di trasferire la propria residenza in Italia, rendendo il nostro Paese attrattivo a livello di agevolazioni fiscali.

Infatti i freelance che decidono di operare con una Partita IVA possono accedere al regime forfettario, che consente di pagare un’imposta sostitutiva ridotta al 5% per i primi 5 anni e al 15% per le successive annualità. Per accedere al regime forfettario è necessario rispettare alcuni requisiti, primo fra tutti non superare 85.000€ di compensi annui. Con Quickfisco aiutiamo molti lavoratori stranieri a iniziare il loro percorso, occupandoci di tutti gli adempimenti necessari a livello fiscale in modo da semplificare e velocizzare il loro inserimento nel nostro Paese.

Nel complesso, quali sono gli aspetti positivi del Nomadismo Digitale?

Posso riassumere la risposta in tre parole: flessibilità, carriera ed esperienze. Sebbene intervengano diverse variabili e difficoltà nella decisione di intraprendere questa strada, diventare un nomade digitale significa coniugare il proprio lavoro con uno stile di vita radicalmente diverso da quello tradizionale, che per anni abbiamo considerato l’unico. Uno stile di vita che permette di vivere avventure che potrebbero cambiare il corso della propria esistenza, conoscere persone nuove, avvicinarsi a culture lontane dalla nostra per poi magari un giorno tornare in Italia, godendo delle agevolazioni riservate ai cervelli di rientro, seppur ridimensionate dall’ultima riforma fiscale.