“L’innovazione ha bisogno di strutture e le imprese devono prepararsi ad accoglierla. E sfruttare di più quella che viene dalle startup”
Viaggiare, osservare, tornare e restituire al tuo territorio ciò che hai visto, per farlo crescere e valorizzare i suoi punti di forza e l’energia di chi lo vive ogni giorno. È questa la storia alla base di MindsettER, associazione creata nel 2017 da un gruppo eterogeneo di startupper e imprenditori di ritorno da un percorso formativo in Silicon Valley e che affonda le sue radici nel territorio dell’Emilia-Romagna. La community ha lo scopo di diffondere il mindset di una cultura imprenditoriale dinamica, internazionale ed aperta promuovendo i valori dell’innovazione attiva. Dealogando ha intervistato la presidente, Daniela Dubla, che dopo aver avviato una sua attività imprenditoriale – realizzando una app destinata alle risorse umane aziendali per favorire il workplace engagement chiamata Inner.ME – ha avuto l’opportunità di essere tra le fondatrici di questa vivace realtà.
Come mai hai avuto l’idea di dare vita ad un aggregatore di Startup?
MindsettER è una community di Startup innovative che abbiamo deciso di creare a seguito di un percorso di formazione in Silicon Valley, finanziato dalla Regione Emilia-Romagna, che porta le startup, in diverse fasi del loro ciclo di vita, a fare un bagno nel mindset californiano.
Quando siamo tornati da San Francisco abbiamo capito che fare rete avrebbe costituito un vantaggio per le nostre realtà imprenditoriali ancora in fase embrionale e da lì è nata l’idea di creare un’associazione che diventasse uno spazio in cui condividere opportunità, scambiare esperienze e crescere insieme. Allora eravamo 14 co-founders, e in soli 2 anni la rete è cresciuta sino ad includere circa 50 startup, tutte basate in Emilia-Romagna.
Se vogliamo trovare un lato positivo tra le conseguenze della pandemia, potremmo dire che è stata impressa una forte accelerazione alla rivoluzione digitale delle imprese. A che punto siamo?
Sicuramente la pandemia è stata un catalizzatore di tutti quei processi aziendali, e organizzativi in generale, che necessitavano di essere digitalizzati, e che il sistema Italia tardava nell’attuare.
Ora che abbiamo allineato linguaggi, bisogni e abilità, bisogna passare allo step successivo, ovvero prepararsi ad accogliere l’innovazione all’interno delle aziende per renderle più lean ed efficienti, grazie anche ad un cambiamento nel mindset e nell’approccio al mondo delle startup.
Mindset si traduce letteralmente con “mentalità”. Un Mindsetter, se vogliamo, è dunque colui che fa in modo di impostare una certa mentalità e la vostra mission è fare e diffondere innovazione. Cosa manca all’Italia sotto questo punto di vista?
Partendo con il descrivere la situazione che interessa il mio territorio, devo dire che l’Emilia-Romagna è una regione naturalmente aperta allo scambio di innovazione e competenze, poiché ha nutrito nel corso degli anni un ecosistema innovativo molto variegato. Le imprese consolidate, ad esempio, quando entrano in contatto con l’energia delle startup, sono abbastanza recettive, riuscendo a rispondere al desiderio di quest’ultime di evolvere e innovare i settori in cui operano.
E’ chiaro che a questo atteggiamento di apertura però devono essere affiancati dei processi interni all’impresa che consistano di persone, budget e strutture adeguate e atte ad “accogliere” sinergicamente l’innovazione che arriva dalle startup.
Secondo la tua esperienza, qui c’è la giusta mentalità per guardare al futuro?
A mio avviso è un processo ormai avviato, nel senso che lì dove non arriva la mentalità arriveranno i mutati scenari competitivi a spingere una realtà aziendale ad allinearsi ai cambiamenti portati dall’innovazione. Al contempo saranno necessarie strutture organizzative adeguate e un’idonea formazione per le persone preposte alla gestione dell’innovazione e della relazione con le startup.
Una cosa che però ho notato nel corso della mia esperienza è che le aziende spesso non conoscono l’ecosistema innovativo in cui operano anche le startup, non sanno che tipo di organizzazioni queste rappresentano o che tipo di vantaggi tali innovazioni possono portare anche al loro business. Questo è sicuramente uno dei gap che con l’aiuto dei policy makers sarà interessante colmare, prendendo spunto da ecosistemi stranieri anche europei che hanno già affrontato questa fase evolutiva del loro ciclo di vita.
In questi ultimi giorni si è tornati a parlare moltissimo di società patriarcale, riferendosi all’Italia. Il gender gap, sia a livello di opportunità di carriera che salariale, rappresenta tutt’oggi un grande ostacolo per le donne nel nostro Paese. In quali settori, a tuo avviso, è più profondo?
Il mondo in cui sono io, quello delle startup, è anch’esso molto maschile. Ci sono poche donne che riescono a portare avanti un progetto imprenditoriale: in Italia la media di startup a guida femminile è intorno al 13 – 15% nelle regioni più virtuose, nonostante capacità imprenditoriali e competenze tecniche siano le stesse dei loro colleghi. Probabilmente la maggiore avversione al rischio e il loro approccio cautelativo al prodotto e al business le spinge a non cercare una relazione con gli investors, che però con i loro capitali sono parte integrante del percorso di crescita di una startup dal cuore tecnologico.
Un altro fattore potrebbe essere imputabile anche alla scarsità di bandi e incentivi a sostegno dell’imprenditoria femminile e ad un sistema generale che ancora non supporta eventuali necessità delle donne nel momento in cui queste decidono di fare impresa, relative soprattutto al work-life balance.
Cosa consiglieresti ad un giovane desideroso di avviare una startup?
Al di là di tutta la retorica e l’hype della Hollywood delle startup, avviare un’impresa innovativa è un percorso altamente professionalizzante. Fare startup implica la necessità di dover tirare fuori una serie di caratteristiche e qualità personali che altri lavori, delimitati da un job title, non sempre ti aiutano a far emergere, soprattutto sotto il profilo dell’intraprendenza, della creatività, del problem solving.
Tante skills vengono allenate in questo percorso auto-imprenditoriale. Però fondamentale è anche avere il supporto di un team affiatato, la validazione dell’idea sul mercato target per trovare il famoso product-market fit, e la creazione di una rete di relazioni e partner che permettano di arrivare in fretta al mercato per rendere quindi sostenibile il business in poco tempo.