«Sull’AI dobbiamo guardare più alle possibilità che può darci questo strumento che alle paure». Con Cristiano Carriero, storyteller e fondatore di LA Content Academy, accademia che fornisce corsi alle aziende su come valorizzare il proprio messaggio, abbiamo parlato dell’importanza di andare incontro all’innovazione e di favorire il dialogo tra generazioni
Di recente il Garante della privacy in Italia ha bloccato l’accesso all’applicazione di AI ChatGPT, presentando una serie di richieste a OpenAI, la società che sviluppa il ChatBOT. L’Italia è l’unico paese in Europa a impedirne l’accesso, insieme a Russia, Cina, Cuba, Siria, Iran e Corea del Nord. L’Unione europea, invece, è dallo scorso anno che adotta l’indicatore relativo alle digital skill nel monitoraggio dei sistemi di istruzione, e ha già presentato il suo piano d’azione per l’istruzione digitale 2021-2027 con l’obiettivo di garantire un’istruzione digitale di alta qualità, inclusiva e accessibile in tutta Europa.
Se oggi è necessario tenere il passo con l’innovazione, ha senso continuare a prendere le distanze dall’intelligenza artificiale? Che impatto ha e avrà sul lavoro? Ne abbiamo parlato con Cristiano Carriero, fondatore de LA Content Academy, nata con la volontà di formare professionisti nel campo dei contenuti e di fornire corsi sulle tecniche alla base del content marketing, del social media marketing e dello storytelling.
Come pensi che un’azienda possa distinguersi nel mondo digitale?

È difficile farlo perché c’è un grande numero di ricette facili per raggiungere il successo. Lo capisco dalla noia che talvolta provo nello scorrere il feed di alcuni social e mi rendo conto che si tende a parlare degli stessi argomenti di moda, copiandoseli a vicenda. Mi viene in mente il classico post di LinkedIn che parte da un insuccesso che dopo si trasforma in un successo. Questo mi fa pensare a uno schema preconfezionato. Per distinguersi bisogna imparare a superare questi schemi predefiniti.
Nella comunicazione aziendale viviamo un’evoluzione in cui dobbiamo sempre confrontarci con le novità e superarle, oltre che affrontarle.
Qual è secondo te il ruolo dell’intelligenza artificiale nel mondo del lavoro? E come è meglio relazionarsi a essa?
Penso che l’AI non andrà a sostituire le persone, se impareremo a conviverci e a capire cosa una persona può dare in più. Assistiamo a un suo miglioramento giorno dopo giorno, perché siamo noi a fornirle sempre più dati. Più le diamo contenuti “in pasto” più diventerà intelligente. Ripeto: la capacità insita nell’uomo di costruire relazioni ed emozionare, difficilmente l’AI potrà riprodurle. Il punto è che molte aziende da anni parlano di questo argomento perché sono vittime di un’eccessiva burocratizzazione del linguaggio e di quel desiderio che ti porta a non rischiare mai, a non provare mai nuovi format o nuove tipologie di comunicazione.
Quali nuove professioni stanno nascendo nel mondo della comunicazione grazie all’AI?
C’è già un mestiere che si sta facendo largo più di altri, ed è quello dell’AI prompt manager. Si tratta della persona che andrà a lavorare sui testi e sulle immagini che crea l’intelligenza artificiale. Andiamo dall’AI prompt copywriter all’AI prompt designer, che dovrà avere delle conoscenze sul diritto d’autore: si tratta di mestieri che saranno sempre più ricercati, e questo non possiamo ignorarlo. L’intelligenza artificiale farà nascere altre tipologie di testate giornalistiche e di piani editoriali per i social, per esempio. Con essi nasceranno anche nuove esigenze. Da questo punto di vista sono fiducioso. Ci sarà tanto da fare, anche per quanto riguarda il metaverso. Sono tutte professioni che rientrano nel settore della comunicazione. Il SMM (social media manager) come lo intendiamo oggi rischia di non essere più necessario, se non riesci a portare un valore aggiunto. Sono sicuro che in questo momento sono più le possibilità delle paure.
Come pensi sia possibile, in questo nuovo contesto, mantenere alta la qualità dei contenuti?
La qualità è fondamentale e le aziende, per raccontare in modo efficace i loro valori e purpose, devono lavorare bene con lo storytelling, costruendo contenuti che raccontino appunto una “storia” e non si fermino solo all’aspetto informativo.
Anche il contenuto informativo, se rilavorato in tal senso, può diventare interessante e coinvolgente. Credo che nei prossimi anni vedremo, per esempio, canzoni generate dall’intelligenza artificiale e rilavorate dai musicisti: alla fine non è nulla di così nuovo, dato che in passato i musicisti sentivano una ballata per strada e la reinterpretavano.
Quanto è importante creare un dialogo tra generazioni nel mondo del lavoro?
Un tema molto importante per le aziende, oggi e nel futuro, è l’incomprensione generazionale, che c’è sempre stata ed è fortissima.
A LA Content lavorano sia Baby Boomer che Millennial che persone della Gen Z e Alpha: partecipando alle riunioni mi rendo conto che a volte non si capiscono perché parlano cinque lingue diverse, usano social diversi, strumenti diversi e si va dall’incompatibilità di chi utilizza la mail come strumento principale a chi utilizza Trello o Slack, per citarne alcuni.
A inizio anno è nata su TikTok una nuova tendenza: il “Deinfluencing”. È una vera e propria denuncia contro il consumismo eccessivo, quello a cui spingono gli influencer che ogni giorno sponsorizzano prodotti di ogni genere, ed è il simbolo di una certa stanchezza e di una crescente sfiducia da parte del pubblico nei loro confronti. Significa che le giovani generazioni sono in cerca di contenuti più autentici?
Anche se Chiara Ferragni viene considerata portatrice del linguaggio delle nuove generazioni, c’è una buona parte di queste che crede invece sia una “boomer”. Se chiedi a qualcuno della Gen Z o Alpha, ti dirà che è una brava imprenditrice, ma che non la considera una persona che può convincerli ad acquistare perché usa un altro tipo di linguaggio rispetto a quello che usa oggi anche il de-influencer.
Infatti, per chi fa il mio mestiere impostare una campagna di influencer marketing su Instagram e TikTok richiede un lavoro completamente diverso ed è difficile spiegarlo ai clienti.
Per la nostra società se hai quarant’anni sei considerato ancora molto giovane, con poca esperienza. È così anche per te?
Ho quarantatré anni e parlo con persone che hanno più o meno la mia stessa età, ma per il semplice fatto di appartenere a un ambiente lavorativo differente, quello della comunicazione, e di non indossare giacca e cravatta tutti i giorni, è come se gli altri ti considerassero meno autorevole.