«Non bisogna precludersi strade nuove e avere paura di invertire percorsi già tracciati. Ascoltiamo i giovani, agendo concretamente e ripartiamo dal dialogo. Attraverso il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza Under 40 ci proponiamo di fare proprio questo». Con Giusy Sica, fondatrice del think tank Re-Generation (Y)outh, abbiamo parlato di parità di genere ed empowerment femminile (quello vero), ma anche del lato più umano del suo percorso
Cresciuta nell’entroterra salernitano e con la voglia di cambiare il mondo: questa è Giusy Sica, la fondatrice di ReGeneration (Y)outh, il Think tank fondato da giovani donne con l’obiettivo di creare una società innovativa basata sulla parità di genere, lo sviluppo economico, sociale e culturale. Ad oggi questa rete professionale conta collaborazioni nazionali ed europee con realtà pubbliche, enti di ricerca e privati. Il team di ReGeneration (Y)outh è stato selezionato dal Parlamento europeo per rappresentare l’Italia all’European Youth Event 2018, dove ha portato le richieste delle giovani donne under 30 attraverso la Women’s Policies Battle.
Sica – che di recente ha promosso l’iniziativa, ancora in fase di attuazione, PNRR Under 40 con Emanuela Rossini, vicepresidente della Commissione Politiche europee della Camera dei deputati – è anche stata selezionata sempre dal Parlamento europeo tra le 50 più influenti giovani founder europee e nel 2019 Forbes Italia l’ha riconosciuta tra i “100 leader del futuro under 30”. Referente scientifico di attività ed eventi volti ad incoraggiare la partecipazione dei giovani alla politica europea, Sica è anche una TEDx Speaker e il suo impegno ed ambizione nell’aver creato un network indipendente di donne italiane che punta all’empowerment è stato ampiamente riconosciuto fuori e dentro i confini nazionali.
Chi è Giusy Sica e quali sono i suoi modelli di riferimento?
Grazie per la domanda, non mi capita spesso di parlare di me. Si tende a dimenticare che dietro ai progetti ci sono le persone che li realizzano: in questo momento della mia vita sono molto grata per i traguardi raggiunti negli ultimi cinque anni con Regeneration (Y)outh per quanto riguarda la parità di genere e il riconoscimento dei diritti dei giovani, ma ho anche l’esigenza di spostare l’attenzione dall’esterno verso l’interno, cioè verso me stessa.
I miei modelli di riferimento – e la risposta sarà pure scontata – sono sempre state mia madre e mia nonna, con il loro esempio quotidiano: d’altronde è proprio nelle azioni di ogni giorno, anche in quelle apparentemente più semplici, che ci possiamo contraddistinguere.
Mi faccio ispirare anche dalle donne più giovani di me, da cui ho sempre qualcosa da imparare e ovviamente dal team con cui lavoro, che mi ha permesso di arrivare fino a qui, incoraggiandomi. Un mio modello è poi Alexandria Ocasio-Cortez, una donna in cui mi rivedo molto, soprattutto per quanto riguarda un certo background: lei è di origini portoricane ed è cresciuta nel Bronx di New York, io vengo dall’entroterra salernitano e tutte e due abbiamo avuto l’obiettivo di raccontare storie di donne e di tutte quelle persone che vivono ai margini della società, ma che ai margini non devono restare.

Viviamo in una società che sembra tradurre nel modo sbagliato il concetto di “empowerment femminile”: in generale, l’idea che una donna di successo, nell’immaginario collettivo, venga spesso associata a quella di un’eroina che salva tutti (lavoro, casa, famiglia) tranne se stessa, spaventa un po’. Cosa ne pensi?
Penso sempre di più che il concetto di eroina vada stigmatizzato. È importante raccontare anche l’altro lato della medaglia, non solo quando ti accadono cose belle. Nell’ultimo periodo ho cominciato a sentire la pressione derivante dalla responsabilità e dall’aspettativa di dover sempre essere sul pezzo e all’altezza della situazione. Avevo la pretesa, nei confronti di me stessa, di non mancare nessun impegno e soprattutto di dover essere d’ispirazione in ogni circostanza. Sto capendo che è importante anche raccontare e normalizzare emozioni come l’ansia e la paura che si celano dietro l’impegno e il successo.
Empowerment, soprattutto se accostato a “femminile”, penso sia un termine che dice tutto e niente, e che se ne faccia un uso stucchevole, che allontana i veri obiettivi. Il vero empowerment necessita di azioni dirompenti e anche distruttive, capaci cioè di rompere gli schemi e crearne di nuovi, più funzionali e migliorativi.
Tra i 17 obiettivi dell’Agenda ONU 2030 ci sono l’uguaglianza di genere, la crescita economica e l’innovazione: molti in comune con Regeneration Youth.
Sì esatto, anche se ci piace pensare di essere arrivate prima anche del programma Next Generation Eu, (lo strumento per il rilancio dell’economia Ue dopo il Covid, ndr) con i nostri propositi. Peraltro, se lo si osserva da vicino ci si accorge che quel documento è stato scritto senza un vero coinvolgimento delle parti sociali ed economiche che si vogliono supportare. Parità di genere e sostenibilità è importante vadano di pari passo, non ci può essere l’una senza l’altra.
Infatti, è proprio per dare voce alle giovani generazioni che avete promosso l’iniziativa PNRR Under 40.
Certamente. In generale nel Pnrr non c’è una linea unitaria per le giovani imprese o cooperative, che grazie al PNRR Under 40 possono, invece, essere finalmente ascoltate. L’iniziativa, che nasce da un progetto e da un’idea del nostro think tank condivisa dall’Onorevole Emanuela Rossini, Vicepresidente della Commissione della Camera dei Deputati per le Politiche dell’Unione Europea, si propone di aggregare quante più realtà giovanili possibili per discutere i temi del PNRR.
A partire dall’estate scorsa si sono svolti diversi tavoli di consultazione a cui hanno preso parte realtà under40 provenienti da tutto il territorio italiano. I temi trattati durante le consultazioni vanno dalla sostenibilità ambientale alla ricerca, dal lavoro all’istruzione e l’inclusione sociale.
Alcune delle realtà che hanno preso parte alle consultazioni sono Glocal Impact Network, Associazione Italiana Giovani per l’Unesco, Cleanap, WRAD, Vaia, Movimenta, Faroo e l’Italian Climate Network. Al momento siamo in fase di attuazione di questo progetto e finora abbiamo avviato consultazioni con circa 40 realtà diverse per quanto riguarda la transizione ecologica e il turismo. In seguito, sottoporremo al Presidente del Consiglio un incontro pubblico con l’obiettivo di discutere quanto raccolto.
Ogni progetto incontra qualche difficoltà, l’importante è saperle trasformare in opportunità di crescita. Quali sono stati gli ostacoli lungo il percorso di Regeneration Youth?
I nostri ostacoli sono stati – e sono – quelli che si incontrano più facilmente in un paese come l’Italia: anche quando sembri avere tutte le carte in regola e proponi progetti che possono funzionare e le tue idee sono valide, subentrano una burocrazia macchinosa e una certa diffidenza nei confronti di ciò che è giovane, è donna o è innovativo.
Ho anche riscontrato che, tra donne, è più facile fare rete e supportarsi tra coetanee rispetto a quando c’è un gap generazionale: ci sono donne in posizione di leadership, più grandi di età, che è come se avessero dimenticato chi sono e sposano principi patriarcali, che quasi si rifiutano di aiutare colleghe più giovani.
A livello di difficoltà personali, poi, è facile cadere nella sindrome dell’impostore: troppo spesso pensiamo di non meritarci ciò che di buono ci accade, soprattutto noi donne. Penso che la nostra generazione (millennials) abbia diverse responsabilità, e che una di queste sia incoraggiare gli adulti di domani.
Cosa ti senti di consigliare a chi si affaccia sul mondo del lavoro e a chi cerca di realizzarsi professionalmente?
Di non soffermarsi sulla costruzione di un’unica identità o sull’appartenenza ad un’unica categoria: ad esempio, io mi sono laureata in Archeologia e ora mi occupo di progetti che trattano prevalentemente la disparità di genere. Il mio percorso di studi ha rappresentato la base per arrivare fino a qui e mi ha insegnato cosa significano lo studio, la ricerca e l’approfondimento. È importante uscire dai propri margini.
Strappare lungo i bordi come ci insegna Zero Calcare?
Quello che intendo è che non bisogna precludersi strade nuove e non avere paura di invertire percorsi già tracciati: dobbiamo pensarci come individui fluidi, che sanno far dialogare anime diverse tra loro. Preferire la multidisciplinarietà, sensibile alla complessità del mondo in cui viviamo, piuttosto che ancorarci a una sola disciplina, che conserva, distingue e privilegia.
Non fare come si è sempre fatto solo perché così fan tutti, ma farlo a modo proprio, perché tanto le competenze si acquisiscono col tempo. Dobbiamo ascoltarci e rimanere aperti ai cambiamenti, in modo da muoverci con flessibilità nella direzione del mondo e contribuire così a cambiarlo.