“Come donne non solo incontriamo ostacoli a raggiungere posizioni di leadership, ma tendiamo anche ad autoescluderci, pensando di non essere abbastanza meritevoli”. Con Valeria Casani, co-fondatrice di Girls Restart, ci siamo addentrate nelle complessità del mondo del lavoro, approfondendo le opportunità che derivano dalla creazione di una community nata per contribuire allo sviluppo di una società più equa
Valeria Casani è co-fondatrice di Girls Restart, una delle community più attive nella valorizzazione e nel potenziamento del contributo femminile nel mondo del lavoro e con un’esperienza lavorativa più che decennale in aziende multinazionali top brand leader in diversi settori, dal mondo dei beni di largo consumo ai servizi. Valeria è anche un’ex ballerina professionista, appassionata di innovazione, digitale e sensibile al tema della sostenibilità ambientale. Le “4p” che la guidano nel suo percorso sono: passione, persone, perseveranza e progettualità.
Quando nasce Girls Restart e quali sono gli obiettivi che rincorre?
Girls Restart nasce in una notte del primo mese di lockdown da Barbara Cominelli (C level e tra le Top 50 inspiring women in Tech in Ue, n.d.r) che scrive in una chat in comune di voler fare qualcosa per le donne che erano a casa in veste di professioniste, mamme e tuttofare. Il nostro obiettivo è stato fin da subito quello di sostenerle dal punto di vista lavorativo. Una chat di cinque persone si è trasformata nel giro di poche ore in una chat di circa 250. Siamo partite velocemente e in modo agile. Dopo soli tre giorni eravamo sui social con un manifesto e un video di apertura.
Siamo una community aperta e gratuita, che è l’elemento che ci contraddistingue. Abbiamo iniziato con le Restart Interview, in cui le donne raccontavano come si sono reinventate e hanno sfruttato il periodo della pandemia a loro vantaggio, e nel giro di qualche mese siamo partite con il primo programma di mentorship. Lo abbiamo chiamato Consiglio Sospeso: l’idea era quella di restituire quel consiglio che ognuna di noi ha ricevuto e che ora può essere determinante per qualcun altro. Ad oggi, sono state raggiunte più di 200 mentorship.
In seguito abbiamo lanciato un altro programma ambizioso, Sogno fuori dal cassetto. Attraverso questa iniziativa ci proponiamo di affiancare le imprenditrici nello sviluppo del loro business, dalla digitalizzazione alla strategia social, per esempio. Si può dire che indossiamo le vesti di una piccola società di consulenza per un gruppo di imprenditrici, iniettando loro il know-how per la crescita della propria attività.
Secondo il rapporto ISTAT di quest’anno, in Italia lavorano meno di 5 donne su 10. In Europa siamo il Paese che ha subito il maggiore calo dell’occupazione, dopo la Grecia e la Bulgaria, con 376 mila donne (-3,8% rispetto al 2019) che si sono ritrovate a casa. Meno donne lavorano, meno sono libere di autodeterminarsi. Perché siamo ancora a questo punto e come ne usciamo?
Secondo quanto emerge dal Gender Gap Report 2022, al ritmo attuale ci vorranno 132 anni per raggiungere la piena parità tra i generi sul lavoro. Purtroppo, la pandemia ha rallentato questo processo. In Italia, per riportare il gender gap in linea con l’Europa ci vorrà tempo e sarà necessaria la collaborazione di tutte le parti, dalle istituzioni al legislatore, che deve aiutare le aziende a mettere in atto strumenti di welfare efficaci.
Anche le scuole giocano un ruolo fondamentale in questa partita, soprattutto per quando riguarda l’universo STEM, a cui ancora troppe poche donne si avvicinano. Ma anche associazioni come la nostra hanno un ruolo chiave, al fine di dare vita a programmi concreti che portino a un miglioramento della società, come ad esempio supportare l’inserimento delle donne in posizioni apicali e di leadership. Inoltre, studi di settore dimostrano che più i team di lavoro sono eterogeni in termini di gender, più sono profittevoli e più promuovono il cambiamento, contribuendo a creare ambienti di lavoro sani.
Di recente è nata CEO Factory, in cui oltre 100 CEO provenienti dalle più importanti aziende si impegnano nello sviluppo della prossima generazione di donne manager attraverso un programma di mentorship. Quante adesioni avete raccolto e in cosa consiste?
Siamo arrivate a circa 800 adesioni, un risultato davvero incredibile! Ceo Factory nasce dall’aspirazione di voler avvicinare le donne con ambizioni lavorative ai loro sogni, nonostante le notevoli difficoltà che incontrano. Con Ceo Factory affianchiamo degli amministratori delegati a donne senior manager, con l’obiettivo di mettere a fattor comune le conoscenze e il network, affinché questo sia un patrimonio utile e d’ispirazione per le donne che vi partecipano.
Indicativamente, negli incontri prevediamo un assessment sulla donna e sulla sua persona, per capirne le competenze e condividere un piano di azioni concreto, in modo tale che il mentore la agevoli nel raggiungere l’obiettivo. Si tratta di un percorso molto utile anche perché come donne, purtroppo, ci troviamo di fronte una serie di bias che ci ostacolano e che dobbiamo distruggere; ricevere quel “boost” di coraggio e stimoli per andare avanti, sotto questo punto di vista, è fondamentale. Non solo la società spesso non ci aiuta a scalare i vertici delle aziende, ma c’è anche una buona dose di autoesclusione da parte nostra: quante donne pensano di non meritare il proprio successo? In quante, se non si sentono pronte al 100%, rinunciano a ad avanzare una richiesta alla propria azienda? La mentorship è un ottimo strumento in questo senso, per iniettare fiducia. Questo è, in sostanza, quello che facciamo a Girls Restart.
Come Restarter parlate di interdipendenza tra generazioni, percorsi e background diversi. Una caratteristica che non è sempre presente nei contesti lavorativi italiani, che nella maggior parte dei casi tengono le loro radici ancora attaccate ad una struttura gerarchica.
In Girls Restart siamo interdipendenti perché facciamo tutte parte della community, dalle C level fino alle giovanissime: ognuna mette la propria competenza a disposizione. Le persone più senior offrono le loro skill e anche il loro network per creare nuovi progetti. Le risorse più giovani, invece, danno il loro contributo implementando e ampliando il registro di comunicazione, non solo a livello aziendale, ma riescono a rivolgersi alla massa, grazie all’ausilio del digitale e dei social network. Grazie ai nostri background diversi riusciamo a dare vita a contenuti di qualità e variegati.
Quest’anno EY ha condotto un’indagine con l’obiettivo di indagare la presenza e il ruolo delle donne all’interno delle aziende italiane. Dalla ricerca è emerso che solo il 44% dei dirigenti intervistati conosce la certificazione di parità di genere prevista dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, alla cui introduzione è favorevole il 66% delle dirigenti e il 53% dei dirigenti. Qual è il tuo punto di vista?
È vero, oggi alcuni strumenti ci sono, ma non tutte le aziende ne sono consapevoli. L’Italia non è un paese fatto di grandi imprese ma ha un substrato di piccole e medie imprese, che in questo momento stanno facendo fatica: partire dal singolo e dalle associazioni come la nostra rappresenta una delle soluzioni per fare dei passi avanti verso ambienti di lavoro più eguali ed inclusivi.
Non è un percorso facile, soprattutto oggi che molte pmi si stanno ancora riprendendo dallo shock della pandemia. Oggi però, grazie ad un’informazione corretta e trasparente e al lavoro delle istituzioni, di associazioni e di realtà come Girls Restart, possiamo iniziare a intravedere la meta. È fondamentale che le aziende partano dai loro piani esecutivi, mettendo in agenda la risoluzione del gender gap.