Rispetto al 2022, nel 2023 i pernottamenti turistici in Italia tra gennaio e settembre sono cresciuti, ma non hanno mai raggiunto i livelli pre-Covid. In aggiunta, i dati dell’estate 2023 non sono stati certo entusiasmanti: Eurostat ha infatti rivelato che l’anno scorso il nostro Paese è stato uno dei peggiori in Europa per quanto riguarda l’andamento del turismo durante la stagione estiva, con un calo di pernottamenti del 4,1% rispetto al 2022. Che sta succedendo? Ne abbiamo parlato con Giovanna Manzi, personaggio dell’anno del turismo nel 2021, che ci ha spiegato cosa nel turismo del nostro paese funziona e cosa no.

È forse finito l’incantesimo del Belpaese, che con il suo sole, il suo mare e il suo cibo pensava di essere in grado di cascare sempre in piedi? La risposta è “non ancora”, ma il rischio c’è. Anche perché (anche se gli italiani davanti a questa innegabile verità di solito fanno orecchie da mercante) sole, mare e cibo ci sono anche altrove, specie nei paesi che come noi si affacciano sul Mediterraneo. E che stanno approfittando di questa nostra difficoltà per soffiarci turisti sotto il naso.

Un esempio per tutti è la vicina Croazia, a un tiro di schioppo dalle meravigliose (ma costosissime) spiagge del Salento. Possiamo stupirci del fatto che, piuttosto che andare a spendere centinaia di euro per una sdraio incastrata in un lido della Puglia, i villeggianti preferiscano altre località non ancora assaltate dal turismo di massa? E non solo gli stranieri: il vero problema, come ci ha spiegato Giovanna Manzi, board member di HNH Hospitality e personaggio dell’anno del turismo nel 2021, sono gli stessi italiani che trovano più conveniente andare all’estero piuttosto che scoprire il proprio paese.

Dottoressa Manzi, di recente ha rilasciato delle dichiarazioni che lei stessa ha definito “controintuitive” sul settore del turismo in Italia: può riassumermele?

Ho riportato un pensiero di una mente brillante, quella di Antonio Pezzano, esperto di turismo, autore presso Officina Turistica e fondatore del team Destination Management Insighters e del progetto notediturismo.it: in sostanza, l’idea che il turismo debba essere “la prima industria del paese”, come si sente dire spesso, non è vincente. Al contrario, il turismo è un’industria che funziona solo se funziona tutto il resto.

Quello del turismo è un settore a basso valore aggiunto per addetto (il rapporto tra il valore aggiunto e il numero di addetti di un’impresa, ndr). In sostanza, gli operatori del turismo sono tantissimi, dato che è un settore che fa molto affidamento sui lavoratori stagionali, e quindi il valore dell’intero settore deve essere diviso per tanti lavoratori. Significa che il turismo ha una bassa produttività in confronto ad altre industrie italiane, che invece hanno un valore per addetto molto elevato. Quindi, vogliamo mettere un’industria a basso valore aggiunto come capofila dell’intera industria italiana? Così non facciamo un favore a nessuno, meno che mai al turismo.

Quanti sono d’accordo con lei e questa visione?

Pochissimi, ma è naturale. Noi italiani siamo da sempre convinti che il turismo sia qualcosa di “scontato”, perché siamo un paese bellissimo, perché abbiamo i siti Unesco, e per tutti i motivi che conosciamo. Insomma, i turisti da noi verranno comunque. Queste cose sono vere, eppure nelle economie avanzate, come in Germania, il turismo registra ogni anno una crescita, anche dopo il Covid, il contrario di quanto avviene da noi. Perché? Perché la Germania investe moltissimo nel turismo domestico, cosa che noi non facciamo. I tedeschi vanno in vacanza in Germania, non all’estero, e spendono soldi in Germania. C’è anche da dire che i tedeschi sono molto più ricchi di noi, perché il vero problema italiano sono i salari bassi, parliamoci chiaro. Le mete turistiche italiane sono spesso inavvicinabili per gli stessi italiani, mentre in altri paesi c’è uno “zoccolo duro” di turismo domestico che poi è quello che ci ha salvati durante la pandemia, quando noi italiani non potevamo uscire dai nostri confini e siamo andati in vacanza in Italia: tantissime attività e posti di lavoro si sono salvati grazie al turismo domestico. Eppure, finita la pandemia, siamo tornati a concentrarci solo sull’attrarre i turisti stranieri.

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In che senso il problema sono i salari bassi? L’offerta turistica ormai è un “lusso” per chi può permetterselo?

Quello del progressivo sparire della classe media è un tema, sicuramente, e lo è anche per il settore turistico. Certo, esiste un intero settore, quello del business travel, il viaggio di lavoro, in cui la fascia di prezzi è molto più abbordabile, ma per le destinazioni più prettamente turistiche il rischio di un assottigliarsi delle offerte tradizionali c’è.

È vero però che stanno nascendo molte iniziative private che guardano proprio a una fascia “budget”, e che stanno guardando alla vacanza in un modo diverso, slegato dalle fasce sociali. Questo perché oggi il consumo non è definito dalla tua classe sociale di appartenenza. La generazione Millennial, per esempio, economicamente non se la passa certo benissimo, ma per le vacanze i soldi è ancora disposta a spenderli. Certo, non può aspirare all’esperienza nell’hotel superlusso, ma magari cerca un’esperienza diversa. Che non significa “povera”, semplicemente si concentra su altro. Queste realtà offrono esperienze più “minimal” e rappresentano un’alternativa all’ascesa fuori controllo dei prezzi in alcune località.

Prendo come esempio la Puglia: l’anno scorso i prezzi in Salento hanno raggiunto cifre esorbitanti, ma gli ingressi sono calati. Perché l’aumento dei prezzi senza un correlato aumento della qualità dell’offerta non premia. E alla fine sono certa che quest’estate i prezzi in Salento saranno più bassi rispetto all’anno scorso.

Ultimamente sembra che si stia rompendo l’equilibrio tra turismo di massa e benessere dei cittadini: si pensa troppo al turista in visita e poco a chi nelle città ci vive e ci lavora. Volevo chiederle, il comparto è consapevole del problema?

Una piccola premessa: il comparto turistico è composto da due grandi blocchi, quello alberghiero, più tradizionale, e quello delle attività extra alberghiere, ossia B&B, appartamenti in affitto, ecc…, ossia tutte quelle attività che hanno inciso di più sulla gentrificazione delle città. Poi bisogna dire che la “colpa” è di queste attività fino a un certo punto, perché quegli appartamenti nei centri storici sarebbero rimasti comunque sfitti e avrebbero avuto un prezzo troppo elevato per una giovane coppia o per studenti. C’è anche un altro aspetto: le nostre città sono antichissime, hanno dei centri storici costruiti in modi non consoni ai ritmi della vita di oggi e dietro l’abbandono di questi centri da parte degli abitanti e la presa d’assalto dei turisti c’è anche questo.

Detto questo, c’è sicuramente un problema, ossia che i due comparti spesso si danno la colpa a vicenda di questa situazione, che però come ho spiegato, non dipende solo dal turismo. Ma in generale, manca una consapevolezza che la fruizione turistica è cambiata: non basta più “l’experience” buona solo per fare le foto su Instagram, perché poi chiudi il telefono e l’experience deve essere reale, devi poterla vivere. È una visione che, ripeto, manca, ma per fortuna ci si sta cominciando a rendere conto che il turismo è collegato anche ad altre industry. E torniamo a quanto detto all’inizio: il turismo funziona solo se funziona tutto il resto.

Diceva che i comparti si “danno la colpa” a vicenda. Ma non si dovrebbe fare sistema?

Questo ha molto a che vedere con un problema tutto italico, lo abbiamo proprio nel DNA, ossia che alla resa dei conti prevalgono sempre logiche individualiste: l’Italia non fa sistema, per motivi geografici, storici, sociali. Tutti ne parlano, tutti descriviamo queste pratiche come “virtuose”, ma a conti fatti poi ognuno pensa per sé. Se ne parla da anni, sempre con gli stessi termini, e allora io dico: evidentemente quanto provato finora non funziona, perché accanirsi? Perché non tentare qualcosa di nuovo? È evidente che c’è un problema. Prendiamolo da un’altra punto di vista.

E la politica? Come affronta il problema?

Guardi, io faccio questo lavoro da trent’anni. Ho visto decine di governi e i tentativi di progettazione a lungo termine ci sono sempre stati. Ma il male italiano è che i governi, di qualsiasi colore siano, hanno un orizzonte temporale breve: se va bene copre gli anni che mancano alle elezioni e quindi lavorano in tutte le industry, non solo sul turismo, con una visione di corto raggio. Non si è mai applicato un piano strategico per il turismo, e ne sono stati scritti tanti, ma non c’è mai stato il tempo. Ogni volta che cambia un governo, poi, si ricomincia da capo, perché se l’ha fatto il governo precedente di sinistra e io sono di destra, allora non va bene a prescindere, anche se sono cose di buon senso che non hanno colore politico.

Poi c’è un altro problema, ossia che ci sono dei temi in Italia che non si possono affrontare, sono proprio un tabù: si parla tantissimo di destagionalizzazione, ossia tentare di non legare la stagione turistica solo ai mesi estivi, ma lei lo sa qual è la prima riforma che dovresti fare per destagionalizzare? Quella del calendario scolastico. Perché è ovvio che, se slegassimo l’apertura e la chiusura delle scuole dal ciclo delle stagioni, potremmo creare più periodi di tempo in cui le famiglie possono andare in vacanza, perché i ragazzi non devono andare a scuola. Una volta ho parlato con un ministro del Turismo, non dirò quale ma era molto competente, e gli ho proposto questa idea. Mi ha risposto “per carità, se tocchi la scuola ti metti in un casino”. E come dargli torto? Vogliamo mandare i ragazzi a scuola ad agosto, con le strutture scolastiche del tutto inadeguate a essere utilizzate nella stagione calda? Ripeto: il turismo funziona se funziona tutto il resto. Ecco perché quando mi chiedono “cosa può fare il governo” rispondo sempre “niente! Facessero altro”. Per esempio, si occupassero delle infrastrutture, che è inutile parlare del turismo come “petrolio d’Italia” se poi non ci sono i voli per andare in Sardegna. Il turismo è lo specchio di un paese: se il paese non funziona, non funziona neanche il turismo.

La verità è che come fai, sbagli: è impossibile fare qualcosa senza che una categoria non abbia da ridire, ci sono troppi interessi in comune. E così stiamo fermi, andiamo avanti navigando a vista, concentrandoci solo sulla prossima stagione e sperando che vada tutto bene. Perché il turismo è un settore che dipende molto dalla fortuna: una pandemia, un vulcano che erutta, un disastro climatico, una guerra. Non decidi tu quanto questi eventi avranno impatto sul turismo. E quindi, come si può rendere la “prima industria” un settore che è così intrinsecamente in balia di eventi che non può controllare?