«La vocazione del nostro Hub è quella di avere un forte impatto sociale». Galbiati, Head of Open Innovation di GIH, spiega come Giffoni fa la sua parte per guidare la trasformazione culturale e digitale in Italia e all’estero
In un momento storico in cui l’innovazione è protagonista in diversi contesti e settori, e in cui tantissime aziende vivono il Talent Shortage, quindi la difficoltà nel reperire talenti e lavoratori specializzati nelle più moderne tecnologie, c’è una realtà che si propone di raccogliere questi talenti, di supportare lo sviluppo delle loro idee e di mettere in contatto imprese e nuove generazioni attraverso progetti di natura creativa: si tratta del Giffoni Innovation Hub, un polo creativo di innovazione nato per guidare e favorire la trasformazione culturale e digitale in Italia e all’estero.
Al suo interno parte Giffoni for Kids, il primo percorso di accelerazione rivolto a dieci tra startup, progetti e spin-off selezionati nel corso della call dello scorso maggio e conclusasi con una rosa di idee rivolte al mercato Kids & Teens. I progetti selezionati, provenienti da tutta Italia e attivi nelle industrie creative e culturali, prendono parte al percorso di accelerazione ideato per supportare startup o idee di business ancora in fase di definizione con una finalità specifica: realizzare servizi o prodotti dedicati al mercato dei giovanissimi, dando supporto alle nuove generazioni e un rinnovato respiro al mondo dell’open innovation.
Abbiamo parlato di questo con Stefano Galbiati, Head of Open Innovation di Giffoni Innovation Hub e professionista esperto in Blockchain Technologies.
Il Giffoni Innovation Hub è un polo di innovazione: raccontaci la sua principale mission e spiegaci come funziona.

Il Giffoni Innovation Hub nasce da una costola del Giffoni Film Festival, uno dei festival più longevi al mondo dedicato ai ragazzi. La sua vocazione, quindi, è innanzitutto quella di avere un forte impatto sociale e permettere ai ragazzi, soprattutto in questo periodo storico, di acquisire quelle skills cruciali per il mondo del lavoro attuale. E questo lo facciamo attraverso una Academy che mira appunto ad insegnare loro ciò che oggi è fondamentale sapere: ieri era l’inglese, oggi sono i linguaggi di programmazione e la capacità di districarsi nell’universo del digitale.
Poi ci rivolgiamo anche ai brand con le original production, il brand entertainment e anche qui viene coinvolto il dipartimento innovazione, che lavora su produzioni immersive, in realtà aumentata e virtuale. Inoltre organizziamo eventi che permettono di fare divulgazione, evangelism, sui temi legati all’innovazione. La mia area, nello specifico, è quella di open innovation e ci occupiamo anche di formare e supportare le startup che si rivolgono ai creator digitali, quindi a tutti coloro che lavorano nelle industrie creative. Per le loro attività, tecnologie come la blockchain o l’intelligenza artificiale sono di grande supporto.
Quali sono i principali settori dei progetti che avete selezionato nell’ambito del Giffoni For Kids?
Ci siamo trovati a che fare con startup dei settori più variegati: pensavamo che ci sarebbero arrivate per lo più candidature in ambito gaming – che comunque rappresentano una parte importante – ma sono arrivate anche tante realtà in ambito edutainment, per educare divertendosi, startup con una forte vocazione sociale o con un focus sulla sostenibilità.
Realtà variegate e provenienti da tante industry diverse, accumunate da un unico purpose: portare un cambiamento positivo nella società.
Ma i più giovani oggi che significato danno alla parola innovazione?
Per loro l’innovazione, al contrario di quello che generalmente si crede, non è soltanto digitale, ma fa riferimento al cambiamento del mindset delle aziende: si tratta di una prospettiva molto più “olistica” e ampia, e che fa riferimento allo snellimento dei processi grazie alle tecnologie, ma anche a questioni sociali e che riguardano lo smart e hybrid working, la diversity e inclusion o l’ambito ambientale e in un’ottica di ecosostenibilità.
Secondo Manpower, in Italia il 37% dei datori di lavoro ha difficoltà nel trovare le persone con le giuste competenze: è il dato più alto di sempre. Anche il nostro Paese partecipa quindi alla tendenza globale del Talent Shortage, e sembra esserci un gran bisogno di aiutare le aziende a dialogare con le nuove generazioni. Voi in che modo lo fate?
Noi lo facciamo ormai da tempo con la nostra Academy e sproniamo le aziende a essere presenti lì dove ci sono i ragazzi, quindi nelle scuole. È lì che i più giovani vanno aiutati ad interessarsi ad alcune tematiche. Per quanto riguarda lo skill mismatch è bene sottolineare che attrarre talenti non è solamente una questione economica, ma più “valoriale”: l’azienda deve essere molto brava a presentare le skill che sta cercando, ma anche nel completare la sua offerta parlando dei suoi valori, della sua mission e dell’impatto che desidera avere nella società.
In tante realtà, ancora oggi, è molto difficile instaurare un dialogo tra dipendenti e azienda: molti lavoratori non si sentono ascoltati, visti, valorizzati. Il problema, però, è che chi inizia oggi il suo percorso professionale – quindi i più giovani – non è disposto a tollerare un ambiente tossico. Che ne pensi?
La pandemia ci ha messo di fronte al fatto che un altro modo di lavorare è possibile, mentre anche i social hanno contribuito a sdoganare il mito del sacrificio – che alla fine si traduceva con sfruttamento. I giovani su questo non sono più disposti a scendere a compromessi, e in generale ormai è abbastanza diffusa la convinzione che lo standard non può più essere quello del sacrificio della salute mentale.
Fenomeni come la Great Resignation o il Quiet Quitting hanno un impatto sociale ed economico importante e le aziende possono mitigarli iniziando a concepire nuove modalità di lavoro, aprendosi allo smart working, ai fringe benefit, ma soprattutto prestando attenzione a temi importanti come la salute mentale e al benessere del dipendente a 360 gradi. Da parte nostra nell’era della Yolo Economy (You Only Live Once, ndr), dove molti lavoratori hanno deciso di lasciare il cosiddetto “posto fisso” per fare qualcosa in proprio, supportiamo startup e professionisti con competenze specifiche a portare innovazione nella società.
Tu sei un esperto di Blockchain e metaverso: la maggior parte delle persone che sentono queste parole, oggi, non ha la minima idea di quale sia – e quale sarà – l’applicazione concreta di queste tecnologie. Puoi chiarirci un po’ le idee?
Sono delle tecnologie nate ormai un decennio fa, ma che solo oggi si stanno affermando in maniera decisiva. Soprattutto la blockchain si sta staccando dall’ambito prevalentemente speculativo, legato alle criptovalute – che è poi l’elemento che crea più diffidenza da parte delle persone – e si sta cominciando a riconoscere diverse potenzialità.
Ad esempio noi lavoriamo con le industrie creative e la blockchain viene utilizzata in ambito di tutela della proprietà intellettuale, a supporto dei creator di contenuti oppure dell’accountability, sempre nell’universo dei social network; e ancora in ambito governance, con le organizzazioni autonome decentralizzate, o a supporto di nuove applicazioni che permettono un tracciamento immutabile dei dati. Insomma, proprio per via della sua grande impiegabilità, penso che questa tecnologia sia qui per restare.
Quando si parla di digitalizzazione e automazione, uno dei principali timori delle persone resta ancorato alla domanda “I robot ci ruberanno il lavoro?”. O alla convinzione che le attività umane avranno sempre meno spazio, e peso.
L’innovazione è da sempre un tema controverso: anche con l’introduzione delle catene di montaggio anni fa si temeva la sostituzione dei lavoratori con le macchine e la perdita dei posti di lavoro, ma è innegabile che l’automazione abbia il grande pregio di riqualificare le attività umane.
Oggi in particolare c’è un grosso divide tra generazioni “analogiche” e “digitali” e una formazione in tal senso è fondamentale per non lasciare nessuno escluso da questo percorso di cambiamento. Infine bisogna tenere sempre bene a mente che c’è qualcosa che i robot non potranno mai sostituire: il valore della creatività umana.