Il sociologo del lavoro a Dealogando: “Le aziende e milioni di lavoratori che si sono trovati di fronte al lavoro da remoto hanno capito che si può fare della necessità una virtù”
“La nuova tecnologia sta sostituendo la vecchia e lo smart working è uno dei mezzi per raggiungere i livelli di innovazione di cui abbiamo bisogno”. Domenico De Masi, professore emerito di Sociologia del lavoro presso l’Università “La Sapienza” di Roma, dove è stato anche preside della facoltà di Scienze della comunicazione, è uno dei maggiori studiosi e teorici del lavoro agile, nuova modalità con cui svolgiamo le nostre attività quotidiane e con cui abbiamo dovuto prendere confidenza da quando ci è piombata addosso la pandemia di Covid-19.
Lo smart working però, al di là dell’emergenza sanitaria, è una modalità di lavoro che – se svolta seguendo delle regole precise – permette di aumentare l’efficienza di aziende e dipendenti, lasciando soprattutto a questi ultimi maggiore autonomia per quanto riguarda orari e luoghi dove vengono svolte le attività. Secondo De Masi, in effetti, si tratta di uno dei “lasciti” più preziosi di questo periodo estremamente drammatico. Dealogando ne ha parlato direttamente con il professore, di recente autore di “Smart working. La rivoluzione del lavoro intelligente”.
Professore, la pandemia ha profondamente cambiato il modo in cui viviamo, lavoriamo e ci relazioniamo. Che tipo di società saremo nel futuro?
Intanto bisogna guardare a cosa ci lascia il Coronavirus. Sicuramente una situazione come questa non può che darci degli insegnamenti, sta a noi poi decidere se farne tesoro o dimenticare. Ad esempio, ci ha insegnato a riconsiderare l’importanza di due dimensioni intrinseche dell’esistenza: il tempo e lo spazio.
Prima della pandemia avevamo un grande spazio a disposizione: viaggiavamo, prendevamo treni e aerei per arrivare in poche ore anche dall’altra parte del mondo e il virus, al contrario, ci ha fatto rendere conto che gli spazi sono troppo spesso minimi, limitati. Per molto tempo in effetti – e ancora oggi – siamo potuti andare solo da una parte all’altra della nostra casa. Risultato? Si è ristretto lo spazio e dilatato il tempo: non ci spostiamo per andare in ufficio, terminiamo il turno e siamo già a casa, quindi abbiamo molto più tempo a disposizione.
La pandemia, infine, ci ha insegnato la differenza tra necessario e superfluo, facendoci indagare nel profondo i nostri veri bisogni quando tutto è ridotto all’essenziale.
In merito allo smart working, quali sono i passi più urgenti da compiere per la sua regolamentazione sindacale? Diversi studi affermano che con il “lavoro agile” si lavora di più e si fa fatica a staccare la spina.
Le aziende e milioni di lavoratori che si sono trovati di fronte al lavoro da remoto hanno capito che si può fare della necessità una virtù: ora bisogna vedere quante persone, terminata l’emergenza, continueranno a lavorare da casa e se avranno il piacere di farlo. Di certo, molti dei datori di lavoro cercheranno di riportare i dipendenti in sede.
Sicuramente è urgente garantire ai lavoratori il diritto alla disconnessione, ma qui molto dipende dalla buona educazione o meno dei datori: c’è chi si arroga il diritto di telefonare o mandare mail in ogni momento e chi si rende conto che non è giusto. In questi giorni, comunque, tantissime aziende si stanno preparando a stilare degli accordi sindacali per definire regole, diritti e doveri dei dipendenti in smart working.
Di certo, il lavoro agile è innovazione e non c’era bisogno di una pandemia per farcelo capire. Il problema è che le aziende e i loro uffici del personale sono pieni di persone con una concezione ancora troppo retrograda del lavoro.
La pandemia ha accelerato il processo di digitalizzazione, delle imprese e dei loro dipendenti. Ci stiamo allontanando dal nostro “essere umani” o abbiamo finalmente in mano degli strumenti in grado di migliorarci sia come persone che come lavoratori?
Quello che sta succedendo è che la nuova tecnologia sta sostituendo la vecchia tecnologia: le piattaforme digitali, gli strumenti con cui i lavoratori italiani hanno preso maggiore confidenza in questi mesi, hanno reso possibile non accendere la macchina per raggiungere il luogo di lavoro. Come abbiamo imparato, nei decenni, ad utilizzare proprio l’auto in un modo più “sano”, impareremo ad utilizzare in modo sano queste nuove tecnologie.
Oggi quanto spazio c’è per l’ozio creativo?
Sempre di più, perché c’è sempre meno bisogno di lavoro “umano”. E perché, se lo smart working sopravvivrà alla pandemia, avremo molto più tempo per noi stessi, per dedicarci alla crescita delle nostre abilità più creative e che arricchiscono l’animo umano.
Lei è tra i fondatori di Symbola, associazione delle “imprese eccellenti”. Quali sono le imprese eccellenti oggi?
Le aziende che sanno fare innovazione, sia a livello “strumentale” che “umano”, sono quelle che sanno adattarsi ai cambiamenti e cogliere tutte le opportunità che il contesto offre. Se si è a capo di un’azienda e non si sfrutta il fatto che lo smart working, statisticamente, aumenta la produttività dei dipendenti del 20%, allora non si sta facendo un percorso verso l’eccellenza. L’imprenditore deve poi avere coraggio di rischiare, ma anche la capacità di capire dove rischiare.