Ci sarà sempre meno popolazione in età da lavoro, e gli effetti saranno a cascata su tutta la scala dell’economia. A partire dalla domanda di beni e servizi, la cui produzione potrebbe non essere sufficiente perché mancheranno cittadini in grado di sostenerla e produrla. L’immigrazione è la soluzione? Sì, ma non a lungo termine, secondo il professore Tommaso Frattini. 

L’immigrazione salverà l’Italia dalla crisi demografica? Le nascite nel 2023 sono state solo 379mila, 20mila in meno dell’anno prima. Un problema non solo italiano, perché, secondo Eurostat, i bambini nati all’interno dell’Unione europea nel 2022 sono stati 39 milioni, 210mila in meno dell’anno precedente ma 540mila in meno rispetto a dieci anni prima. La questione è quindi macroscopica e si impone già oggi: senza popolazione a sufficienza non ci sarà chi si farà carico di sostenere la domanda di beni e servizi da parte dei cittadini. E la forza lavoro, sempre più vecchia e costretta al pensionamento, non potrà garantire il pagamento di contributi e imposte.

Immigrazione uguale Pil

Immigrazione equivale poi a punti di Pil. “Non c’è dubbio che la presenza di immigrati faccia aumentare le dimensioni dell’economia nel suo complesso”, spiega a Dealogando Tommaso Frattini, professore ordinario di Economia politica presso il dipartimento di Economia, management e metodi quantitativi dell’Università di Milano. Gli immigrati “generano a loro volta una domanda di beni e servizi, a cui rispondono lavorando a loro volta”. Il Pil di conseguenza aumenta, “anche se non significa che l’aumento del prodotto interno lordo si traduca in un aumento del reddito pro capite”.

Con l’immigrazione cresce anche l’economia

Nel Rapporto 2023 sull’economia dell’immigrazione della Fondazione Leone Moressa emerge come dai 2,4 milioni di lavoratori immigrati entrino risorse pari a 154 miliardi: è il 9% del Pil. Lo ha dimostrato anche la Spagna, dove dal 2017 il numero degli abitanti è aumentato del 2%, cioè di circa un milione di persone. In Italia invece è diminuito esattamente di altrettanto, del 2%, cioè di circa 1,2 milioni di persone. Un altro indizio: alla fine del quarto trimestre del 2023 l’economia italiana era appena dello 0,6% sopra il livello di un anno prima, mentre quella iberica era del 2% sopra.

Gli effetti sul saldo demografico

Aumenta il numero delle persone in età da lavoro e si abbassa il cosiddetto tasso di dipendenza, cioè il rapporto con le classi di età che hanno superato l’età da lavoro”. Il punto è però, prosegue Frattini, che l’immigrazione “non necessariamente è la panacea di tutti i mali”. Si agisce sul saldo demografico, “che si mantiene positivo, e si garantisce la sostenibilità del welfare nel breve periodo”. Nel tempo però il fenomeno potrebbe non rivelarsi risolutivo perché “gli stessi immigrati nel giro di un paio di generazioni tendono a adattarsi allo stile di vita del Paese in cui emigrano”. Anche la loro fecondità si abbassa, e si è punto e a capo. Ciò su cui bisogna veramente puntare “è la crescita della produttività e l’aumento del gettito fiscale”.

Serve produttività

L’incremento della produttività potrebbe arrivare dagli immigrati stessi, spesso qualificati e dotati di titoli di studio. “Chi ha ottenuto la laurea nel proprio paese di origine e in particolare i migranti non europei ha però una probabilità di occupazione di 22 punti percentuali inferiore rispetto ai nativi”, afferma Frattini. “C’è un notevole spreco di competenze che sarebbero potenzialmente già disponibili nel mercato del lavoro europeo, ma che non riescono a essere utilizzate produttivamente”. Un mismatch che ha ricadute per chi immigra, sia in termini di salario percepito sia di svalutazione come capitale umano. Ma per i paesi che li ospitano la perdita è tutta in termini di produttività.