“Il Recovery Plan non ammette errori nella gestione dei fondi e questa è un’occasione irripetibile per il nostro Paese per dimostrare un cambio di passo nella gestione delle risorse in arrivo dall’Europa”. Daniele Ferretti, ricercatore presso il Censis, spiega i vantaggi della certificazione accreditata per la gestione e l’allocazione delle risorse del PNRR
«La certificazione accreditata al servizio del Recovery plan». È questo il titolo dello studio dell’Osservatorio Accredia, curato dal Censis, per quanto riguarda la gestione dei fondi in arrivo dall’Europa con il Recovery Plan, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che ha l’obiettivo di aiutare le economie nazionali a rialzarsi dopo la brusca “caduta” causata dalla pandemia di Covid-19. Si tratta di circa 210 miliardi di euro di risorse pubbliche , per oltre due terzi finanziati dall’Unione europea e per il resto con risorse nazionali. Risorse per lo più vincolate alla realizzazione di progetti specifici: il Pnrr, infatti, destina il 37% delle risorse alla transizione verde e il 20% a quella digitale e si articola in missioni che individuano i diversi settori dove verranno effettuati gli investimenti. Dalla ricerca alla salute, dalla mobilità sostenibile all’inclusione sociale fino alle infrastrutture e allo sviluppo del Sud Italia, sono alcune delle principali aree che riceveranno un’iniezione di liquidità per la realizzazione dei diversi progetti. Questa volta, però, l’Italia non può permettersi gli errori e i ritardi del passato, riguardanti sempre la gestione dei fondi strutturali Ue e ha bisogno di “spendere presto e bene”: la gestione degli investimenti pubblici è stata particolarmente difficoltosa nel Mezzogiorno ma, in generale, il report annuale della Corte di Conti Ue ha collocato l’Italia nelle ultime posizioni della classifica relativa all’assorbimento dei fondi strutturali Ue erogati nel settennato 2014-2020.
La soluzione per superare le inefficienze del sistema – dovute per lo più alla bassa capacità amministrativa sia a livello centrale che regionale, ad una burocrazia troppo pesante e a processi troppo lenti – potrebbe essere proprio il (massiccio) ricorso alla certificazione accreditata, in modo tale da poter effettuare un controllo sulle imprese a cui viene appaltata la realizzazione dei progetti con i fondi del Pnrr e poterne monitorare l’andamento e la effettiva conclusione. Nel 2017 in Italia sono state avviate, ma non completate, 647 opere pubbliche. Ma come funziona la certificazione accreditata e quali sono i suoi vantaggi se messa al servizio della gestione delle risorse del Recovery Plan? Dealogando lo ha chiesto a Daniele Ferretti, ricercatore presso il Censis che si è occupato di redigere il già citato studio dell’Osservatorio Accredia.
Secondo lo studio da voi realizzato, con la certificazione accreditata per la gestione delle risorse del Recovery Fund si potrebbe creare un valore aggiuntivo di 30 miliardi in termini di Pil entro il 2023. Ci spiega come funziona e quali sono i principali vantaggi?
Tramite la certificazione accreditata, ad esempio degli strumenti e procedure dei sistemi di gestione e di figure professionali, viene garantita la conformità alle norme internazionali e agli standard tecnici riconosciuti. Per quanto riguarda i principali vantaggi, questa previene la corruzione e, in generale, determina un innalzamento dell’efficacia e dell’efficienza dei processi, generando degli effetti economici moltiplicatori. Alcuni studi dimostrano che le aziende che possiedono la certificazione accreditata hanno migliori prestazioni e, in riferimento al Recovery Plan, oppure a sostenibilità e digitalizzazione, sicuramente gli schemi di certificazione hanno un ruolo rilevante e significativo.
Abbiamo realizzato una stima che prevede un aumento delle imprese certificate sotto accreditamento di 60mila unità rispetto alle attuali, con l’obiettivo di arrivare a 150mila nel 2023: è proprio in base a questa stima che si crea l’effetto moltiplicatore del Pil, nell’ordine dei 30 miliardi di euro. Per quanto riguarda il sistema di accreditamento, ogni impresa passa dagli enti e istituti di certificazione, a loro volta certificati da Accredia.
“Spendere presto e bene”. È insieme la principale linea guida su come gestire le risorse in arrivo dall’Europa relativamente al Recovery Plan e l’obiettivo a cui punta la Pubblica amministrazione. Quali potrebbero essere gli strumenti utili – oltre la certificazione accreditata – a far coesistere la verifica del rispetto delle regole con l’impiego rapido dei fondi?
Spendere presto e bene rappresenta il vero cuore dello studio: la sua peculiarità è il fatto di guardare alle condizioni che possono determinare la migliore realizzazione del Recovery Plan, trovando un punto di equilibrio tra l’esigenza di impiegarne le risorse nel miglior modo possibile e nel minor tempo possibile. Si tratta di esigenze su cui, per primi gli italiani, non transigono: la maggior rapidità dell’utilizzo dei fondi non deve rappresentare un motivo per allentare i controlli. È proprio qui che si radica il valore della certificazione accreditata, che è una soluzione pronta all’uso, perché è già stata sperimentata con successo in altre esperienze della PA, come industria 4.0.
Per il resto è molto importante, per quanto riguarda i fondi in arrivo dall’Europa, definire bene, a monte, regole e procedure per la gestione delle risorse, dall’assegnazione dei progetti alla loro implementazione. Sicuramente individuare un percorso chiaro e trasparente è fondamentale e, altrettanto sicuramente, la certificazione accreditata può dare un contributo importante in tal senso.
Secondo la vostra ricerca il 75,5% degli italiani teme che dalla pressione a spendere in fretta possa derivare una riduzione dei controlli, spianando la strada all’illegalità. In che modo la certificazione accreditata potrebbe invece, al contrario, chiudere la porta alle infiltrazioni criminali?
Si tratta di uno strumento nato anche per contrastare, appunto, le infiltrazioni dell’illegalità in questi grandi progetti nazionali; esistono anche delle certificazioni ad hoc, attraverso le quali effettuare un controllo maggiore riguardo l’anticorruzione. In generale, comunque, l’opportunità sta nel fatto che, tramite la certificazione accreditata, si può assicurare in maniera veloce, trasparente ed efficiente sia il controllo ex ante sui soggetti economici che vengono candidati alla realizzazione dei progetti, sia la verifica successiva di ciò che è stato effettivamente realizzato.
La certificazione favorisce la messa in piedi di un sistema di prevenzione dai rischi di corruzione, perché predispone azioni, regole e misure che contribuiscono a creare un sistema trasparente, integro e conforme alle regole.
Dei finanziamenti Ue stabiliti per il periodo 2014-2020, quindi per il precedente settennato, l’Italia è riuscita a usufruire solo del 40% (equivalente ad una spesa di 264 miliardi sui 640 previsti). Motivo per cui la Corte dei Conti Ue, nel suo report, ha collocato il nostro Paese in penultima posizione per utilizzo dei fondi strutturali. Quali sono i passi più urgenti da compiere per rinforzare la politica nazionale di coesione, alla cui mancanza è imputata parte delle responsabilità di queste inefficienze?
I dati che abbiamo citato nello studio ci dicono che l’inefficienza nell’utilizzo dei fondi strutturali è un problema endemico nel nostro Paese, che ci portiamo dietro da diversi anni. Ad oggi siamo ad un bivio che rappresenta un’occasione importante e preziosa, perché il Recovery Plan non ammette errori nella gestione dei fondi.
Al fine di risolverlo occorre osservare le cause profonde del problema più che i suoi sintomi, con il proposito di individuare degli strumenti ad hoc per efficientare il sistema. Penso che, in generale, bisogna porre le condizioni per superare queste debolezze, che poi determinano ritardi e inefficienze, trovando dei metodi per velocizzare i processi e valorizzare anche quelle risorse e competenze già esistenti nella pubblica amministrazione. Bisogna realizzare un vero e proprio cambio di passo.
Per quanto riguarda la ripartenza dell’economia italiana, quali sono le previsioni e prospettive del vostro istituto per il medio e lungo termine? Un recente rapporto Confcommercio-Censis sull’impatto della pandemia su fiducia, prospettive e consumi delle famiglie italiane, vede timidi segnali di ripresa.
Il Covid ci ha insegnato che fare previsioni a medio e lungo termine è molto rischioso. Questo perché il contesto attuale è in rapido mutamento e lo abbiamo provato sulla nostra pelle durante gli ultimi 16 mesi. Oggi finalmente riusciamo a intravedere l’uscita dal tunnel, con il buon andamento della campagna vaccinale, e la prospettiva della ripartenza diventa sempre meno utopica, ma va monitorata e verificata nel tempo. Di certo c’è che gli italiani sono pronti ad accompagnare la ripartenza, tramite i consumi ad esempio, e bisogna solo attendere fiduciosi un evolversi positivo della situazione.