Con Carlo Rinaldi, Chief Marketing Officer di Glickon, realtà tutta italiana che opera nel settore dell’HR tech cogliendo la sfida di trasformare i processi HR in “intelligenze”, abbiamo parlato delle più recenti evoluzioni di questo settore, il cui obiettivo è valorizzare i talenti di oggi e raccogliere quei cambiamenti positivi che stanno intervenendo nel mondo del lavoro (e in quello tech) per poggiare le basi di un futuro più virtuoso e sostenibile per il capitale umano
«Utilizziamo la tecnologia per liberare tempo e restituire energie alle persone, così che queste possano utilizzare a loro volta il proprio tempo e le proprie energie per sviluppare nuovi progetti e occuparsi di altre mansioni dove il “fattore umano” fa la differenza». Carlo Rinaldi ha un’idea ben precisa di quale debba essere il ruolo – auspicabile, arricchente, valorizzante – dell’intelligenza artificiale, e in generale dell’innovazione, nella nostra società. Per questo Glickon, azienda specializzata in HR Tech (settore che nel 2025 arriverà a valere oltre 90 miliardi) di cui è Chief Marketing Officer, offre un servizio che combina l’utilizzo della tecnologia, dei Big Data e dell’AI per supportare persone e aziende a raggiungere risultati eccellenti, rendendo l’esperienza di lavoro migliore attraverso un approccio data-driven e percorsi guidati.
È il modello GPT di Intelligenza Artificiale di OpenAI, implementato e addestrato all’interno delle soluzioni Glickon da oltre un anno. Il percorso dell’azienda inizia nel 2014 con l’idea di rivoluzionare il percorso di candidatura, rendendolo meno frustrante e lungo e più divertente, rapido ed efficace. Oggi è basato sull’analisi dei dati, oltre che sull’engagement e la gamification, per rendere l’esperienza dei lavoratori più appagante e riuscire a indirizzarli verso il ruolo più adatto alla loro personalità, oltre che alle loro competenze.
In un contesto sociale, economico e culturale che, dalla pandemia in poi, sta vivendo diverse rivoluzioni e cambiamenti d’approccio – soprattutto lato lavoro – viaggiando verso la direzione di garantire all’essere umano uno stile di vita più sostenibile e una rinnovata attenzione al talento unico di ciascuno, l’azienda propone di raggiungere un patto tra persone e tecnologia. Un patto che, quindi, riesca ad andare oltre dubbi e perplessità sulle ricadute etiche di un sempre maggiore utilizzo dell’intelligenza artificiale in diversi ambiti.
Il settore HR Tech nel 2025 arriverà a valere oltre 90 miliardi. Quali sono le principali applicazioni della tecnologia nella gestione delle persone in azienda e quali i loro vantaggi?
Quando si pensa all’utilizzo e all’implementazione della tecnologia nei diversi settori vengono subito in mente, principalmente, vantaggi in termini di efficienza, innovazione dei processi e ottimizzazione del tempo. In Glickon abbiamo una visione precisa del settore in cui operiamo – cioè quello delle HR Tech – e per noi la tecnologia, e in particolare l’AI, ha un ruolo e una coniugazione diversa: stimola la creatività, favorisce le relazioni tra colleghi e persone, aiuta a trasformare i processi in esperienze – dal recruiting all’off-boarding (perché sì, anche questa è un’esperienza chiave in ogni carriera e va trattata con la giusta e dovuta attenzione).
Utilizziamo quindi la tecnologia per liberare tempo e restituire energie alle persone, così che queste possano utilizzare a loro volta il proprio tempo e le proprie energie per sviluppare nuovi progetti e occuparsi di altre mansioni dove il “fattore umano” fa la differenza. E poi un aspetto importantissimo, su cui abbiamo basato la nostra filosofia di business: la tecnologia può aiutare a valorizzare il talento, tema che è e resterà di attuale importanza, quindi ben venga che si creino ecosistemi capaci di aiutare le aziende a farlo brillare!
E quali sono le vostre strategie per far “brillare” i talenti?
Tanti parlano di risorse umane, inteso come qualcosa da andare a “consumare”. Anche noi lo facevamo, ma poi abbiamo capito che le parole sono importanti e quindi rivisto in questa ottica i prodotti e i servizi che offriamo, elaborando quella che abbiamo definito la “formula dell’oro”. Si tratta di una “formula del talento” che andiamo a mappare su tre dimensioni: competenze, motivazioni e relazioni.
Oggi che stiamo compiendo la nostra evoluzione, vogliamo parlare di “conoscenze” oltre che di “competenze”, perché se le competenze possono esaurirsi la conoscenza no, poiché porta dentro di sé un’attitudine che è tipica dell’essere umano. Siamo partiti nel 2014 costruendo una piattaforma che, facendo leva sulla gamification per la talent acquisition (Seek – la ricerca dell’oro), aiutava le aziende a trovare i giusti talenti. Poi nel 2017/2018 abbiamo introdotto la parte di employee experience, che si chiama Glow e che fa riferimento al far brillare il talento una volta che una nuova risorsa è dentro l’organizzazione.
In ambito “people analytics” e analisi dei dati, abbiamo invece sviluppato di recente una piattaforma, Flow, basata sull’intelligenza artificiale e che fa leva su due ambiti: l’affiancamento della risorsa per quanto riguarda la generazione di contenuto per l’HR (supporto per la job description, ad esempio) e l’ascolto, facendo in modo che la voce delle persone – che siano candidati o colleghi – venga ascoltata. Un ecosistema di soluzioni tecnologiche, quindi, alleate delle persone per le persone.
L’intelligenza artificiale sta prendendo sempre più piede nella nostra società, nel senso che, al netto del successo di ChatGPT, sempre più aziende e settori – anche in ambito HR – ne stanno valutando l’implementazione per velocizzare e snellire molti processi. Da ogni dove, però, arrivano timori riguardanti il suo impatto sulla società, sul mondo del lavoro, soprattutto quello creativo. Lei che ne pensa?
Noi utilizziamo tutta la parte di deep learning e machine learning sin dall’inizio, e continuiamo a utilizzarle nella parte di “testistica” e selezione, facendo leva su algoritmi adattivi: quando una persona si candida a una posizione, nella parte di assessment che fa su Glickon il livello di difficoltà cambia in base alle sue risposte. Questo perché noi riteniamo che la tecnologia possa essere “amica” nella misura in cui mette a disposizione di ciascuno un percorso più gratificante. Se l’assessment fosse lo stesso per tutti, per alcuni risulterebbe più facile e per altri più difficile; quindi, a volte frustrante, a volte poco ingaggiante.
Se la tecnologia riesce ad adattarsi agli input dell’essere umano c’è un effetto win-win: l’HR riesce ad avere un ranking dei candidati più in linea con la posizione, con i valori dell’azienda ecc., e anche il candidato ne trae beneficio. La tecnologia, infatti, aiuta le figure HR a superare la “sindrome del foglio bianco”, non limitando la creatività umana ma, anzi, amplificandola. In questo modo si realizza una prolifica alleanza tra l’essere umano e l’AI: quest’ultima, nell’ambito di questo “patto”, non deve essere né idolatrata né demonizzata, ma aiutare ad armonizzare il dialogo con l’essere umano.
In questa fase di innovazione dobbiamo avere coraggio oltre alla consapevolezza e al rispetto dell’etica, perché l’AI permette di estrapolare dati che un essere umano non potrebbe recuperare con questa velocità e perché, soprattutto in ambito HR, possono essere eliminati tutti quei bias cognitivi che l’uomo porta inconsciamente con sé. L’essere umano, dall’altra parte, può attivare un cambiamento trasformativo dell’organizzazione, che la macchina non può certo fare.
Di recente non facciamo che leggere notizie di licenziamenti, riguardanti soprattutto il personale delle Big Tech, le quali stanno utilizzando sempre più spesso software per gestire il proprio personale: per selezionare, per licenziare, per sorvegliare il lavoratore da remoto, per valutarne la produttività…Cosa pensa di queste modalità di gestione delle Risorse Umane? È giusto, utile o etico far decidere ad un software chi assumere e chi licenziare?
Il tema della macchina che decide è critico e attuale e, per riprendere il discorso precedente, io credo molto nell’armonia tecnologica: se viene progettata una macchina che può andare a 300 km orari, questo non significa che dobbiamo andare a 300 km orari. Questo per dire che, a oggi, abbiamo la possibilità di migliorare e velocizzare tanti processi in tanti ambiti diversi grazie a tecnologie come la AI, ma non dobbiamo utilizzarle per fini non etici o non migliorativi.
Come Glickon, il nostro approccio è human to human: viene plasmato sull’essere umano per valorizzarlo al meglio. Il modo in cui abbiamo istruito i nostri sistemi ci permette, ad esempio, di creare un indice di valutazione in base al livello di inglese o alle competenze attitudinali, e anche di rendere il processo di selezione più partecipativo per tutti i livelli dell’azienda che richiede il nostro supporto in ambito HR.
Tornando alla domanda sull’etica e l’utilità, la risposta è certamente no, ma il problema di questi licenziamenti che sta interessando le Big Tech parte da una premessa: come e su quali basi ed esigenze sono state fatte queste assunzioni?
Peraltro molti di questi licenziamenti riguardano proprio il settore delle Risorse Umane. Il settore sta vivendo un momento di difficoltà o solo di transizione?
Credo ci sia una sempre più forte consapevolezza del fatto che il settore sta vivendo dei cambiamenti importanti e che ci sono delle nuove community HR che si stanno occupando sempre più di sustainability, change management e people organization.
Se ieri l’ufficio HR era quello che – mi si passi l’espressione – “faceva i cedolini” o si occupava di tutte le fasi del processo di talent acquisition, oggi l’urgenza è quella di occuparsi di un cambiamento positivo; l’attenzione del comparto è quindi tutta per le politiche di inclusione o welfare. E se la lente viene messa sull’essere umano, è difficile che il percorso intrapreso sia sbagliato.
Che poi tutte queste rivoluzioni tecnologiche stanno avvenendo mentre nel mondo del lavoro, negli anni più recenti, c’è in atto un’altra rivoluzione: quella portata avanti dalle persone, sempre più stanche di ambienti di lavoro dove non poter crescere professionalmente e umanamente, dove vengono sfruttate o non riconoscono più il senso di quello che fanno. Una vostra recente ricerca ha parlato di una vera e propria “crisi energetica” dell’essere umano, che infatti ha dato il via a trend come le Grandi Dimissioni o il Quiet Quitting. Si parla di rimettere al centro le persone, ma è difficile pensare che possano essere algoritmi e software a farlo.
Io non penso che le persone vadano messe al centro, penso che vadano rese protagoniste. Nel senso che questo è un bel claim, ma porre al centro non significa porre attenzione o ascoltare. È quindi necessario capire qual è il tipo di alleanza che va messa in gioco tra persone e aziende: questo per me è molto importante, per rendere le persone protagoniste, far capire – al momento dell’assunzione o durante la vita lavorativa – qual è il loro impatto, sia come persone che come lavoratori.
Per il benessere dell’ambiente di lavoro e delle persone, peraltro, credo sia fondamentale diversificare: fare in modo che, nell’organizzazione, coesistano non solo uomini e donne, ma persone di generazioni diverse, come di diverse passioni. Proprio come nel business, chi non diversifica è destinato a “morire”. Il nostro motto è “work better, live better”, proprio per suggerire l’idea che il modo in cui lavori può impattare positivamente sulla qualità della vita, ma anche che, nel lavoro, non c’è tutta la nostra vita.
Quali sono gli elementi fondamentali che ricercano oggi le persone da un posto di lavoro? E le aziende come dovrebbero rispondere alle loro esigenze?
Per la talent attraction e retention il potere del brand oggi non è più sufficiente: le aziende devono dimostrarsi coerenti con quello che dicono e con quello che fanno. Le HR, da parte loro, devono capire che è fondamentale, quando hanno di fronte qualcuno, andare oltre i titoli e il “formale”: è il vissuto di ogni persona che va conosciuto e valorizzato. È in quel vissuto che possiamo trovare il giusto ruolo per ciascuno, e inserire ogni persona nel posto più giusto di un organigramma.
Poi penso che le persone oggi cerchino soprattutto integrità dalla propria organizzazione, e coerenza, aspettandosi che traduca in fatti il suo sistema valoriale di riferimento. Quello di Glickon si basa su quattro principi fondamentali, che sono anche una sorta di “codice comportamentale”: “be a challenger”, per portare cambiamento e mai uno scontro, “make a difference”, come invito a stimolare un miglioramento continuo, “believe”, come incoraggiamento a continuare a credere in quello che si fa anche nelle difficoltà e “team” – acronimo di together everyone achieves more – perché gli obiettivi non si raggiungono con i “single player”, ma con tutta la squadra.
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