In un mondo del lavoro in continua trasformazione, saper comunicare se stessi è ormai una competenza chiave. Ma quali sono le abilità davvero necessarie nel 2025 per chi cerca lavoro? E come affrontano Millennials e Gen Z il confronto con le generazioni senior nelle aziende? Ne parliamo con Mario Benedetto, giornalista e professore alla LUISS, autore de La Staffetta, libro che esplora il passaggio generazionale nel mondo professionale. In questa intervista, Benedetto ci guida attraverso le sfide e le opportunità della comunicazione moderna, tra ascolto attivo, intelligenza artificiale e capacità di adattamento.

Benedetto, quali sono le abilità che nel 2025 chi cerca lavoro dovrebbe avere a livello comunicativo?

Ci sono abilità “culturali” e “tecniche”. Partendo dalle prime, in cima a tutte ne metterei una “insolita”: l’ascolto. Oggi, purtroppo, si ascolta poco. Si ascolta poco tanto sé stessi quanto l’interlocutore di turno. Quando l’ascolto, invece, rappresenta in realtà la prima azione fondamentale per trovare risposte e, dunque, elaborare strategie. Veniamo così al secondo punto, con il quale intendo dare, al solito, risposte concrete. Ormai è diventato quasi un obbligo “morale” citare l’intelligenza artificiale nei propri discorsi, personali o professionali, ma deve crescere la consapevolezza del suo utilizzo, già in corso, anche nell’ambito della comunicazione. La tecnologia, questa tecnologia, viene messa spesso in contrapposizione al ruolo dell’Uomo. La verità, però, è un’altra. Non bisogna chiedersi se la “macchina” prevarrà sull’uomo in occasione di questa nuova “rivoluzione industriale”, ma agire con la consapevolezza che “l’uomo potrà essere superato dall’uomo”: ovvero, chi non ha contezza o competenze rispetto alla gestione di questi nuovi tools verrà superato in termini di performance da chi ne comprenderà ruolo e funzioni. O meglio, da chi, a livello personale, formativo e professionale, lo ha già compreso e sta agendo di conseguenza.

In “staffetta” lei parla di due generazioni, Millenials e Gen Z, che incontrano il mondo lavorativo entrando in contatto con i senior delle realtà aziendali. Quale delle due generazioni fa più fatica? Quali sono le virtù e le debolezze dell’una e dell’altra? Come intervenire?

Le virtù sono quelle note, penso in particolare alla propensione al rischio, al coraggio delle nuove generazioni così come all’esperienza e alla saggezza delle precedenti. Per aggiungere un nuovo elemento di riflessione e utilità pratica vorrei, però, introdurre una riflessione specifica. Non bisogna, infatti, ignorare un trend, che ho dimostrato e raccontato proprio ne “La Staffetta”: la capacità di essere efficaci e letteralmente “contaminarsi” da parte delle generazioni che vivono, lavorano, vogliono vivere e vogliono lavorare insieme. Infatti, assistiamo spesso a cambiamenti di atteggiamento, quasi a uno “scambio di ruoli” tra generazioni. Penso al caso degli amici imprenditori e proprietari di un brand storico come l’Amaro Lucano, oggi Lucano 1894 per la precisione. Questa inversione di ruoli tra vecchie e nuove generazioni, tra padre e figli, è avvenuta nella loro azienda, nella loro famiglia, e lo raccontano con la loro solita efficacia e simpatia nel mio libro. Quindi, attenzione all’anagrafica ma anche ai ruoli, alla cultura ed alle culture delle generazioni che possono e devono contaminarsi.

C’è stato un momento specifico o un evento che le ha fatto comprendere l’importanza di un cambiamento sia gestionale che culturale nelle imprese?

Sinceramente la vita di tutti i giorni. Esperienza dopo esperienza, infatti, mi ha fatto maturare una consapevolezza semplice, ma determinante: che impresa è tutto ciò che ci circonda. Anche questo schermo da cui il lettore adesso sta leggendo, l’acqua che sta bevendo o la musica che sta ascoltando mentre legge. Da questa consapevolezza – come avrai capito per me è una parola chiave, un “mantra” personale e lavorativo – scaturisce un comportamento che ci porta a tenere in debita considerazione il ruolo dell’imprenditore che trasforma il giusto profitto, per citare una voce emblematica come quella di Brunello Cucinelli, in stipendi e servizi per i bisogni di ogni giorno.

Cosa ne pensi delle aziende che continuano ad assumere figure junior, apprendisti o stagisti? Dov’è il problema, nel caso singolo o nel mondo del lavoro?

La domanda va contestualizzata rispetto al momento storico e all’azienda specifica. Dipende se questo ingresso faccia parte di un’esigenza contingente, se rappresenti l’avvio di un percorso. Ma la domanda mi aiuta a chiarire una mia netta convinzione: non c’è impresa che non tenga al suo dipendente. Le imprese che per dolo o colpa dovessero mai farlo sono quelle destinate a non conoscere grande sviluppo.

Detto questo il mercato del lavoro è in trasformazione e i dati del nostro mercato rispetto a occupazione e calo della disoccupazione sono chiari e confortanti. Per ricordare i principali, a ottobre il tasso di occupazione è salito al 62,5%, mentre quello relativo alla disoccupazione cala al 5,8%. Un lavoro da proseguire ma del quale i dati dimostrato la correttezza e l’efficacia, tanto rispetto alle soluzioni istituzionali quanto, appunto, al comportamento delle imprese.

Ci sono settori o tipi di imprese più predisposti al ricambio generazionale? Conosci qualche azienda di questo tipo?

Ne conosco molte che per varie ragioni sono propense al passaggio generazionale ed altre che, per altrettanti differenti motivi, attendono. Alla base della scelta ci sono ragioni culturali ma anche valutazioni di mercato che portano l’imprenditore a riflettere attentamente sul se e sul come fare spazio alle nuove generazioni che, dal canto loro, devono dimostrare di essere in grado di prendere le redini di un’azienda non solo per ragioni anagrafiche. Di questo tipo ne conosco molte che fanno parte dei Giovani Imprenditori di Confindustria. Proprio in occasione della loro ultima assise ho conosciuto la storia di un giovane imprenditore che da dipendente ha intrapreso la scelta coraggiosa di abbandonare il percorso da dipendente ripartendo, letteralmente, da zero. E oggi è a capo di una realtà aziendale in crescita, oltre a ricoprire il ruolo di vertice nell’Associazione. Le aziende sono tutte consapevoli e orientate al cambiamento. Per favorire questo, così come altri fenomeni virtuosi delle imprese, bisogna garantire condizioni di contesto socioeconomico competitive, penso al taglio del cuneo fiscale avvenuto così come alla politica fiscale ed alla riduzione degli oneri burocratici. Al contempo, occuparsi di quello che stiamo facendo noi proprio ora: fare cultura.

Nel corso di public speaking, quali sono le abilità che cerca di trasmettere maggiormente ai suoi studenti? Qual è il valore aggiunto di un corso del genere?

Oggi si trascurano spesso scrittura e oratoria che, invece, rappresentano fondamentali fattori di successo personale e di una qualsiasi strategia. Parto dalle basi: da un buon scritto e un buon parlato, anche a livello grammaticale, sino a trasferire loro una serie di competenze strettamente pratiche da mettere in campo nel comunicare sé stessi o le proprie attività. Mettendo in risalto come ci siano delle regole “auree” ma che ognuno di noi ha la sua “cifra” che deve valorizzare. Partendo dal contenuto si arriva al modo di raccontarlo, al tone of voice, al tono, che è cosa diversa, alla dizione, al ritmo e alla prossemica, all’occupazione dello spazio, solo per citare alcune abilità tra le principali. Poi c’è il rapporto con il pubblico, che parte dalla gestione del proprio potenziale espressivo ed emotivo. Insomma un mondo ampio ed affascinante, a valore aggiunto assolutamente alto. Lo testimonia il lavoro fatto il aula e la risposta di chi, dotato di strumenti concreti, scopre e valorizza abilità nuove o, “semplicemente”, portate a galla attraverso una formazione scrupolosa e, ribadisco, fattuale e concreta. Perché far qualcosa senza comunicarlo (bene) equivale a non averlo fatto o, quantomeno, portalo male o in modo parziale all’attenzione del mercato e del pubblico.

Quali sono le domande che ti fanno di più i tuoi studenti riguardo al mondo del lavoro?

Molte curiosità rispetto al tipo di attività e rispetto al mondo, di relazioni e processi in cui queste attività sono contestualizzate. Ma li vedo molto spesso motivati e non intimoriti, più che altro indecisi rispetto alla scelta “giusta”. In molti hanno più coraggio delle generazioni passate, si orientano con convinzione su quello che li convince, di quello che piace loro. Questa secondo me è la chiave di successo: scegliere non tanto e non solo per categorie di pensiero generali o altrui ma in base alle proprie. Scegliere cosa piace e convince, scegliendo secondo intelligenza razionale ma anche e soprattutto emotiva, che esercito anche in aula. Il successo diventa la diretta conseguenza di questa scelta.

Pensi che la ministra Calderone stia attuando provvedimenti utili a favore del ricambio generazionale? Lei cosa proporrebbe, se fosse un suo consulente?

Si. Da ultimo il ddl lavoro, collegato alla manovra di bilancio dello scorso anno, che ha ottenuto l’approvazione definitiva da parte del Senato e introduce novità interessati in materia.

Il passaggio generazionale infatti va inteso come fenomeno sociale ed economico per favorire il quale sono sicuramente importanti misure mirate, penso a sgravi rispetto alle successioni aziendali, ma che, al pari di altri fenomeni che hanno a che fare con la vita economica e sociale nostra e delle imprese, beneficia di condizioni di contesto che mettono in condizione l’impresa di svilupparsi e creare valore, diffuso. Proprio rispetto al ddl lavoro penso al contratto Misto di Lavoro che permette all’azienda di assumere un lavoratore con un rapporto che combina lavoro autonomo a partita Iva e lavoro dipendente: in questo modo il lavoratore potrà accedere a un regime fiscale agevolato, pagando meno tassi per intenderci, e l’azienda, a sua volta, beneficerà di minori costi. E ricordiamo, per portare avanti una missione culturale necessaria, che risparmio per l’impresa non significa sempre e solo più profitti ma significa più investimenti e opportunità proprio di lavoro, spesso proprio per le nuove generazioni.

E ancora, i professionisti iscritti in specifici albi professionali e i datori di lavoro con oltre 250 dipendenti potranno accedere al regime forfettario, dunque agevolato, se assunti con un contratto part-time indeterminato (40-50% del tempo pieno). Potranno farlo anche i professionisti non iscrittio attraverso con un contratto di lavoro dipendente.

Per le nuove generazioni, lavoro significa (sempre più) spesso libera professione. Una novità interessante riguarda la questione del lavoro femminile: le libere professioniste, infatti, potranno contare su una sospensione degli adempimenti verso la pubblica amministrazione dall’ottavo mese di gravidanza fino a un mese dopo il parto. Una misura dall’importante valore pratico ma anche, ancora una volta, culturale e simbolico.

Secondo i dati Istat del 2023 (con riferimento al 2022), ogni 143 senior ci sono 100 giovanissimi. Perché, nonostante il tasso di occupazione giovanile in crescita (+13%), c’è ancora questo gap?