Cultura aziendale, ambizione comune e fiducia reciproca sono gli elementi che hanno reso Caffeina, Digital Native Agency fondata nel 2012, un Great Place to Work, classifica considerata il gold standard del sentiment percepito da chi l’azienda la vive ogni giorno dal suo interno 

Importanza della prossimità e delle relazioni, flessibilità ed efficacia organizzativa: sono questi i valori e i punti cardinali che hanno guidato fino a oggi Caffeina – Creative Company “nativa digitale” fondata nel 2012 da Tiziano Tassi, Partner e CEO, Antonio Marella, Partner e COO, e Henry Sichel, General Manager – che quest’anno ha ottenuto un riconoscimento importante entrando nella classifica Great Place to Work, certificazione che premia le realtà attente alla qualità dell’ambiente di lavoro e alla cultura organizzativa, capaci di attrarre e trattenere i talenti.

Una serie di fattori oggi fondamentali per un’azienda che vuole essere competitiva e camminare con il giusto passo verso quello che viene definito il New Normal, cioè un presente e un futuro del mondo del lavoro in cui le organizzazioni creano degli ambienti in cui il dipendente possa prosperare, e non dai quali voglia fuggire. Il fenomeno delle Grandi Dimissioni, con milioni di lavoratori che hanno lasciato a livello globale il proprio impiego, ha infatti portato sempre più aziende a ripensare l’ambiente di lavoro e a tenere conto delle necessità emerse negli ultimi anni: orari flessibili, una modalità di lavoro ibrida o la possibilità di accedere facilmente allo smart e remote working, valorizzazione delle risorse e formazione continua.

Caffeina in particolare – che oggi conta su più di 230 dipendenti dislocati in tre sedi italiane e che ha raggiunto la soglia dei 13 milioni di euro di fatturato nel 2021 – ha dato loro la possibilità di lavorare dall’estero e dai borghi più belli d’Italia grazie alla partnership con Smartway, oltre ad introdurre buone pratiche manageriali con l’obiettivo di evolversi in società benefit entro l’anno. E ha introdotto il Work From X, una modalità che garantisce a ogni Creator la possibilità di lavorare dall’ufficio (Work From Office), per incontrare i colleghi e partecipare a momenti di formazione; da ovunque, purché sia sufficientemente vicino a una delle sedi da consentire di raggiungerle entro circa un’ora e mezza (Work From Close By), oppure Work From Anywhere, l’opzione che consente di lavorare da qualsiasi luogo, anche a grande distanza, fino a 15 giorni consecutivi anche contigui a ferie e festività. Di tutte queste iniziative, come degli obiettivi raggiunti, ce ne ha parlato Beata Kornasiewicz, People & Culture Director

 

Siete tra le aziende certificate Great Place to Work in Italia per cultura aziendale, ambizione comune e fiducia reciproca. In che modo, e tramite quali iniziative, avete raggiunto questo traguardo? Quali sono i capisaldi della vostra company culture?

Per quanto riguarda il GPTW, non abbiamo introdotto delle iniziative mirate alla certificazione, ma semplicemente abbiamo sempre cercato di rinforzare i pilastri della nostra cultura, come i valori e i principi dei comportamenti che condividiamo: Tangible Impact, Solidity and Trust, Welcoming Change, Unbreakable Optimism, Nurturing Talent.

Questi valori per noi sono degli ingredienti della quotidianità e li usiamo come linee guida per risolvere problemi e per prendere le decisioni. È così che abbiamo costruito un ambiente di lavoro basato sulla trasparenza, autonomia a responsabilità. Uno dei progetti che esprime queste caratteristiche è il Work from X, che per noi rappresenta un nuovo modo di lavorare in modalità ibrida. La trasparenza e la condivisione delle informazioni relative al business e all’azienda è un altro aspetto che è stato evidenziato positivamente dalle nostre persone nella survey del GPTW.

Non parlerei di un traguardo raggiunto: siamo ancora in viaggio e ci sono molte cose da migliorare. L’obiettivo è quello di far crescere l’azienda e di creare opportunità per i nostri dipendenti. Le certificazioni aiutano a fare dei check-point lungo il percorso, ma non sono il nostro scopo finale.

 

Diversity e Inclusion sono due temi importanti, soprattutto nel mondo del lavoro post pandemia, anche se in molte realtà del nostro paese la diversità è ancora un tabù e anche il gender gap viene ignorato. Perché?

Credo che esistano delle realtà aziendali nelle quali la diversità fa semplicemente parte dell’DNA dell’organizzazione e non c’è quasi bisogno di parlarne. Caffeina fa parte proprio di quel gruppo di organizzazioni. Per noi la diversità e l’inclusione sono parte integrante dell’azienda, le viviamo in modo naturale.

Spesso dietro dei tabù si nascondono le difficoltà nel gestire certi argomenti. Non credo che manchi la buona volontà e che il tema del gender gap venga completamente ignorato, a volte è la consapevolezza di non avere gli strumenti giusti che mette le aziende in difficoltà. Secondo me è più una questione di procrastinazione. La questione richiede analisi, attenzione e un grande impegno per essere affrontata.

 

Dite che “In Caffeina le persone ricevono molta attenzione”, che “sono il primo valore”. Come si è tradotta l’attenzione verso il benessere e la crescita dei vostri dipendenti? A quali risultati ha portato?

Il nostro business è fondato sulle persone, i loro talenti, le motivazioni, le energie che mettono nei progetti, la capacità di portare valore ai nostri Clienti. Non potremmo farne a meno. Sicuramente grazie al progetto del Work from X abbiamo creato un ambiente che permette di unire le esigenze del business ai bisogno della flessibilità e dell’autonomia dei singoli Creator. Per stimolare la crescita delle nostre persone abbiamo creato il Caffeina Career System – uno strumento di proiezione del percorso di crescita all’interno dell’azienda con la pianificazione degli step di carriera.

 

Di cosa ha bisogno il lavoratore e il professionista di oggi?

È difficile attribuire gli stessi bisogni a tutti i professionisti di oggi, sono aspetti spesso molto personali e legati alle storie individuali delle persone. Possiamo sicuramente parlare delle tendenze di mercato e di come alcuni bisogni emergono di più rispetto ad altri in alcuni momenti storici. Oggi le persone hanno una maggiore consapevolezza di quello che è importante per loro nella vita e c’è una grande voglia di trovare un equilibrio tra la vita personale e professionale. Questo è in parte dovuto alle nostre esperienze con la pandemia, in parte provocato dalla discontinuità degli eventi, dalle difficoltà oggettiva derivanti dalla crisi energetica e finanziaria. Molte persone hanno bisogno di una prospettiva di crescita in futuro, ma anche della stabilità. E’ come se in questo momento, pieno di incertezze, ci si aspettasse di avere qualche sicurezza in più.

 

Ultimamente si parla tanto di leader gentili, capaci di entrare in empatia con i lavoratori, eppure da più parti leggiamo e sentiamo testimonianze di ambienti di lavoro tossici. Come mai, secondo lei, alcuni manager non riescono ad abbandonare uno stile di gestione accentratore e a venire incontro alle esigenze delle persone?

Non necessariamente la mancanza di empatia rappresenta la radice di entrambi i problemi. Lo stile di leadership direttivo è storicamente riconosciuto come più efficace nei periodi di crisi, quando bisogna prendere le decisioni veloci e agire con determinazione. Molti imprenditori e manager devono muoversi in un contesto particolarmente competitivo, agire sotto la pressione del mercato e dare risposte a domande difficili. Posso immaginare che nelle situazioni di questo tipo la gestione accentrata possa apparire più efficace e per questo motivo viene adottata da chi deve guidare un team o un’azienda. Il problema sta spesso nel fatto che i manager spesso non sanno di avere scelta e di poter adottare uno stile di gestione diverso perché conoscono un solo modello, quello basato sulla gerarchia e direttive top-down.

Le teorie della leadership situazionale sottolineano quanto sia importante adeguare la gestione alle esigenze del contesto interno ed esterno. Una maggiore formazione manageriale su questi aspetti potrebbe sicuramente aiutare molti leader e manager a scegliere consapevolmente.

 

Smart working e hybrid working hanno messo in discussione i vecchi paradigmi del lavoro e con il Covid sono state poggiate le basi di una rivoluzione destinata a durare. Eppure ultimamente alcune aziende, qui in Italia come all’estero, stanno chiedendo ai dipendenti di tornare in ufficio. Qual è il destino del lavoro agile e perché persiste la convinzione che presenza si traduca sempre con più produttività?

Secondo me la presenza in ufficio non deve essere né demonizzata né lodata in quanto la soluzione a tutti i mali. Sappiamo che la vicinanza e le interazioni fisiche aiutano a creare e mantenere le relazioni, accelerano alcune dinamiche interpersonali, rendono un confronto più veloce perché si va oltre le parole scritte in chat o in una mail. La soluzione più efficace rimane quella che bilancia la prossimità fisica e il lavoro a distanza, in modo tale che entrambi abbiano il senso, per l’azienda e per il dipendente.  E’ faticoso però trovare una ricetta che andrebbe bene per tutti. Si finisce spesso nel gioco di incastri volto al bilanciamento dei compromessi.   E’ indubbiamente più facile adottare una soluzione mono-direzionale e tra il lavoro a distanza full-time e il lavoro in presenza, le aziende vedono più valore nella seconda. Perché? Forse perché da più sensazione di controllo o perché è la modalità che conosciamo da più tempo. Considerando tutta la storia dell’umanità, il lavoro a distanza è un fenomeno ancora nuovo.

 

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