“Se funzionano i nostri musei, se funziona il nostro cinema, il teatro, la musica, allora funziona meglio tutta la società italiana e con essa l’economia”. Era il 2005 quando Carlo Azeglio Ciampi, in occasione della cerimonia di consegna dei premi Vittorio De Sica, pronunciò questa frase che mai come oggi possiamo considerare attuale.
La crisi sociale ed economica causata dalla pandemia ha messo in seria difficoltà milioni di lavoratori dei più disparati settori. Tra tutti, anche i lavoratori dell’arte e dello spettacolo stanno affrontando un periodo di grande stallo. È la SIAE a dare una stima di incassi e ingressi mancati nel 2020: sono 24 milioni gli spettatori persi e 600 milioni gli euro non incassati dagli spettacoli dal vivo. La pandemia e tutte le misure prese per arginarla hanno messo in luce la vulnerabilità della condizione lavorativa di chi opera nel mondo dello spettacolo, come ad esempio la mancanza di enti di tutela specifici.
La diffusione del Covid19 è ancora lontana dall’essere definitivamente arrestata, ma i lavoratori dell’arte dopo un anno di stop hanno la necessità e il diritto di ripartire. “La fattibilità e il rispetto per l’applicazione delle norme di sicurezza è stato già dimostrato dai musei e da altre realtà espositive. Ciò che ovviamente è venuto più a mancare negli ultimi mesi è una vera condivisione di un’esperienza culturale senza mediazioni digitali”, spiega Davide Daninos, critico e curatore d’arte. D’altronde durante il lockdown sono stati molti gli artisti che hanno cercato di declinare la propria attività sulle diverse piattaforme che la rete mette a disposizione. “Al momento – prosegue Daninos – è difficile immaginare un cambio di rotta. Nel bene e nel male l’impatto del lockdown sulla digitalizzazione del sistema dell’arte è stato enorme. L’accelerazione di questa tendenza è stata così intensa da far coniare il concetto di Digital PTSD. L’investimento fatto nelle infrastrutture digitali non scomparirà quindi velocemente. Si può guardare a questa tendenza con ottimismo e se mantenuta potrà essere ovviamente utile anche in futuro, ampliando le offerte di ricerca, studio e divulgazione. È bene sottolineare però che per gli artisti, con le dovute eccezioni, la possibilità di esporre in uno spazio reale rimarrà ancora a lungo più interessante che partecipare a una mostra digitale.”
Sono diversi i governi dei Paesi europei che hanno varato delle misure straordinarie per il sostegno economico e finanziario agli operatori del segmento arte. In Francia il ministero dei Beni Culturali ha annunciato “aiuti d’emergenza” per 22 milioni di euro da destinare ai vari settori dell’arte e dello spettacolo. Di questi, 10 milioni andranno alla musica, 5 allo spettacolo, 5 per i libri e 2 per le arti visive; anche in Germania il Governo federale tedesco è intervenuto con un sostegno di 50 miliardi di euro, indirizzato ai lavoratori autonomi e alle piccole imprese
Abbiamo chiesto agli Art Workers Italia, un gruppo informale, autonomo e apartitico, composto da figure che operano all’interno di enti e istituzioni pubbliche e private per l’arte contemporanea, di raccontarci coralmente la loro condizione di lavoratrici e lavoratori dell’arte in Italia. Il gruppo è nato su Facebook (2.379 i membri della pagina ufficiale) in piena epidemia con l’obiettivo di chiedere al Governo Italiano un riconoscimento delle specificità della loro categoria professionale

Perché nasce Art Workers Italia e quali obiettivi vi siete posti?
La crisi Covid-19 è andata ad aggravare una situazione già molto critica per le lavoratrici del settore dell’arte contemporanea, un’ultima goccia che ha innescato una veloce reazione a catena di dialogo e mobilitazione e che ha portato in brevissimo tempo alla creazione del gruppo. AWI è nata quindi come reazione collettiva dovuta al diffuso malcontento per condizioni lavorative inaccettabili trascinate da decenni, che ognuna di noi viveva in modo sommerso e solitario nelle sue esperienze individuali.
Nel suo sviluppo, poi, ci siamo ispirate a movimenti che in passato si sono mossi in modo simile, oltre a porci da subito in dialogo con realtà affini in Italia e all’estero. AWI ad oggi è un’associazione eterogenea, inclusiva e orizzontale, nella quale soggettività che esercitano diverse professioni, attività e pratiche confluiscono in un sentire comune: l’ambizione di tutelare le figure professionali che operano all’interno del settore dell’arte contemporanea – non solo artiste e curatori, ma anche giornaliste, designers, architetti e tutte quelle figure che contribuiscono alla sua sussistenza – ne delinea degli iniziali confini, per quanto riguarda rivendicazioni e obiettivi.
Tuttavia, come parte di un sistema molto più ampio, complesso e sfaccettato siamo consapevoli che la lotta si estenda ad altre realtà affini, con cui ci confrontiamo in un’ottica solidale di scambio, formazione e sostegno reciproco.
Cosa c’è da fare in Italia perché i lavoratori dell’arte non vivano in condizioni di precarietà?
La crisi generata dalla pandemia di Covid 19 ha fatto emergere i problemi strutturali mentre le lavoratrici, che già operavano ai margini della sostenibilità, si sono trovate con la maggior parte dei lavori cancellati o rimandati nonché prive di reti di sicurezza. Per un cambiamento di rotta, che crediamo a questo punto improcrastinabile, è necessario innanzitutto lavorare al riconoscimento delle specificità del settore; per questo stiamo per lanciare un’indagine a livello nazionale dedicata al lavoro nell’arte contemporanea, con lo scopo di produrre dati e informazioni precise sulle nostre modalità lavorative, oltre che ad attivare dialoghi con musei ed enti culturali per delineare progetti di sviluppo condivisi e coerenti rispetto alle urgenze delle lavoratrici.
Sempre in questa direzione, stiamo lavorando a una proposta di tariffe minime per una giusta remunerazione del lavoro di artiste e art workers compilato a partire dal confronto con modelli già utilizzati in altri paesi, e dalla comparazione con quelli già utilizzati da altre categorie di lavoratori in Italia. Il tariffario sarà testato da una serie di istituzioni di diversa scala e inquadramento giuridico prima di essere proposto al Ministero per i Beni e le Attività Culturali affinché venga implementato come standard a livello nazionale.
Il Decreto Cura Italia può essere considerato un buon inizio per la ripartenza del settore?
Varato nel marzo 2020, nel caso specifico dell’arte contemporanea non è riuscito neanche a raggiungere la maggioranza delle artiste e delle professioniste. Ciò è dovuto in primo luogo ad alcune caratteristiche strutturali che contraddistinguono il nostro settore e che sono inevitabilmente emerse in questo momento di crisi sociale ed economica, come la diffusa parcellizzazione e discontinuità dell’impiego, le modalità contrattuali atipiche, intermittenti e inadeguate. Si tratta di fattori che hanno reso molto difficile rientrare nei parametri necessari per ricevere indennizzi e ammortizzatori; in secondo luogo, ad aver influito è anche la mancanza di riconoscimento civile e politico delle specificità del settore.
In risposta a questo, come Art Workers Italia, sin da marzo siamo impegnati sul fronte della pressione politica unitamente all’individuazione e alla proposta di strumenti fiscali e contrattuali utili alla regolamentazione dei rapporti di lavoro nel nostro ambito, e all’impegno nella formazione, sensibilizzazione e nella consulenza, per le lavoratrici, per gli enti, per le istituzioni e per i policy maker.
Un settore, quello delle arti e dello spettacolo, che purtroppo nel nostro paese non ha mai goduto di ottima salute, nel 2019 il rapporto annuale di federculture evidenziava come il 38,5% degli adulti non partecipa ad attività di tipo culturale e ancora peggio la quota di coloro che non vanno al cinema, non visitano un museo né un sito archeologico almeno una volta all’anno sono circa il 70% degli adulti, che diventa l’82% al sud. La pandemia ha cambiato in maniera radicale e improvvisa i nostri ritmi e le nostre esigenze, potrà questo momento di crisi essere l’inizio di un riavvicinamento all’arte e allo spettacolo da parte di tutti?
Questo non possiamo saperlo. Sicuramente le artiste, gli spazi no-profit, gli enti e le istituzioni culturali nel nostro paese hanno dimostrato la loro vitalità e capacità di adattamento producendo contenuti online, purtroppo spesso anche gratuitamente, e cercando di mantenere un contatto con il pubblico.
Ovviamente un riavvicinamento di questo tipo sarà possibile solo se veicolato da politiche di cambiamento strutturale che mirino a sensibilizzazione sull’importanza dell’arte e, in generale, della cultura nella società.
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