L’open innovation è un modello di business “aperto”, utile alle aziende per avere collaborazioni con altre aziende o startup innovative. Questo modello rappresenta un vero e proprio scambio tra le parti, dove tutti accrescono il loro valore sia in termini di profitti sia in termini di innovazione
L’espressione open innovation è stata coniata dall’economista americano Henry W. Chesbrought e letteralmente significa “innovazione aperta”. Si tratta di un modello di innovazione aziendale opposto al modello tradizionale, cioè quello definito “verticale” e utilizzato per tutto il Novecento.
Lo dice stesso la parola: “open” vuol dire aperto e quindi, in questo modello, il confine tra l’azienda e il mondo esterno diventa più labile e non rigido, come invece accadeva in passato. In questo contesto di “apertura”, l’azienda può costruire percorsi di interscambio con startup, università, altre imprese o ad immaginare nuovi modelli di business.
Quindi, per evolversi e rimanere competitiva o affermarsi sul mercato, un’azienda deve essere proattiva, attingendo a idee e canali con percorsi “misti” che includano strumenti e competenze non necessariamente presenti al proprio interno. E per farlo, c’è bisogno di usare il modello dell’open innovation.
I principi dell’open innovation
Secondo Chesbrought, i principi di cultura aziendale che rendono possibile l’open innovation sono molto diversi da quelli tradizionali.
Per prima cosa, occorre essere consapevoli che non tutte le persone più brillanti del settore lavorano nella nostra azienda, quindi una messa in discussione che porta alla ricerca di collaborazioni esterne è un fattore da considerare.
Anche realizzare che non tutta la ricerca interna porterà necessariamente al profitto è un atteggiamento propositivo, come cambiare prospettiva sulla proprietà intellettuale – sia interna che esterna – potrebbe rappresentare una fonte di investimento per far progredire il business.
Quando si usa questo modello
Chesbrought ha notato anche come l’open innovation sia particolarmente funzionale nel salvare i “falsi negativi”, ovvero quei progetti che inizialmente non sembrano promettenti ma poi si rivelano preziosi.
Per esempio, le grandi aziende che sfruttano un modello di innovazione chiusa, saranno inclini a perdere molte opportunità perché magari richiedono di essere combinate con tecnologie esterne o c’è bisogno di un budget più ampio, per poi scoprire che i progetti abbandonati avrebbero avuto un valore commerciale enorme.
Un esempio perfetto di modello aperto lo fornisce l’azienda dei mattoncini colorati più famosa al mondo. Infatti LEGO, storica produttrice di giocattoli, da anni ha introdotto il programma Lego Ideas: una piattaforma che stimola gli utenti con challenge e contest di difficoltà diversa ad inviare e votare nuovi possibili modelli di prodotto.
inbound open innovation e outbound open innovation
Gli Osservatori “Digital Innovation” del Politecnico di Milano distinguono due approcci all’open innovation da parte delle aziende: inbound open innovation e outbound open innovation.
inbound e outbound sono due strategie di marketing che corrispondono al “farsi trovare” e al “cercare”. Il primo è più diffuso del secondo, perché considerato meno rischioso.
L’inbound open innovation stimola l’innovazione all’interno dell’impresa attraverso collaborazioni con università e partner consolidati o la creazione di Corporate Venture Capital. Non mancano le “Call4Ideas”, “Call4Startup”, ovvero i concorsi a tema che mirano a raccogliere idee innovative da supportare nello sviluppo del modello di business.
L’outbound open innovation, invece, cerca l’innovazione all’esterno dell’impresa attraverso joint venture, licensing dei prodotti o piattaforme di Business Model. Nel caso di joint venture, l’impresa stipula un accordo di collaborazione con almeno un’altra impresa per un progetto comune, che le impegna a condividere risorse.
L’open innovetion in Italia
Il 78% delle grandi imprese italiane e il 53% delle PMI adottano azioni di open innovation, soprattutto inbound. A prediligere questo modello sono soprattutto le imprese con oltre mille dipendenti che ritengono utile la collaborazione con terzi per mantenere la competitività sul mercato. Nello specifico: la collaborazione con le startup è diffusa nel 45% delle grandi imprese e nel 15% delle PMI.
Un esempio utile per capire i vantaggi di sfruttare un modello aperto è TIM. L’azienda di telefonia, infatti, ha realizzato i TIM WCAP, una serie di hub che selezionano le migliori idee provenienti dall’esterno che possano essere sviluppate in azienda.
È nata così la collaborazione con la startup Swascan, ideatrice di una piattaforma di servizi IT Security in Cloud. Il frutto di questo interscambio è che la startup ha ampliato la sua offerta e TIM ha acquisito rapidamente uno strumento innovativo.
Questi ultimi dati sono stati raccolti dagli Osservatori Startup Intelligence e Digital Transformation Academy del Politecnico di Milano. La loro ricerca è stata presentata a dicembre 2020 e fa rifermento a quel lasso temporale.