Una storia di fallimenti e grandi idee. Il brand Lush, con la sua storia, ci insegna che nonostante le difficoltà le idee vincenti riescono sempre ad avere la meglio

Un format riconoscibile tra mille, prodotti colorati e cruelty free, e una storia che ha dell’incredibile. Tutto questo è Lush, il brand cosmetico britannico che ha fatto della sostenibilità il suo punto di forza. Già dal nome, che vuol dire “rigoglioso, lussureggiante” e si usa in riferimento alla natura, Lush urla a gran voce il suo attaccamento alla natura, che rispetta e protegge attraverso varie iniziative.

Nata nel 1995 nel sud dell’Inghilterra, nel Dorset, a Poole, Lush porta avanti ideali etici sempre più apprezzati: vende prodotti naturali non testati sugli animali e, quando possibile, senza packaging. Oggi conta oltre 930 negozi, in 51 Paesi. In Italia è arrivata nel 1998, con l’apertura del primo negozio a Milano.

Mark Constantine: da homeless a founder di Lush

Ma partiamo dalle origini. Il fondatore di Lush è Mark Constantine, imprenditore inglese la cui vita è degna di un romanzo di Charles Dickens. Aveva due anni quando il padre abbandona la famiglia. A sedici anni, dopo uno scontro con la madre e il patrigno, va via di casa e per un periodo dorme sul divano a casa di amici, per poi vivere da homeless, all’aperto. Alla fine un’associazione benefica integra il suo reddito e gli permette di affittarsi una stanza.

Si avvicina al mondo della cosmesi quando diventa tricologo e inizia a sviluppare una linea di prodotti naturali per la cura di pelle e capelli. Così, quando ha poco più di 20 anni, Mark manda alcuni campioni dei suoi prodotti ad Anita Roddick, fondatrice di The Body Shop. Ad Anita piacciono i prodotti e Constantine diventa uno dei principali fornitori, finché nel 1984 The Body Shop non compra la sua società per 14 milioni di dollari. Con questi soldi Mark e la moglie Mo fondano la Cosmetics To Go, una società che vende cosmetici online. L’azienda però fallisce perché gli ordini sono molti più di quelli che è in grado di gestire. Ma proprio questo fallimento pone le basi per una nuova sfida: è questo che ha dato il via al progetto di Lush, la cui crescita è costante negli anni.

Impegno e buone azioni

The Body Shop è stata una delle prime aziende a sostenere campagne sociali e Lush ne ha seguito l’esempio, spingendosi oltre e sostenendo perfino gruppi di attivisti radicali impegnati in campagne più divisive.

Per fare solo qualche esempio, nel Regno Unito Lush ha sostenuto l’occupazione di una pista di Heathrow per protestare contro l’espansione dell’aeroporto nel luglio 2015, e quella dell’abbazia di Westminster per opporsi ai tagli dei sussidi per i disabili nel 2014. Ha, inoltre, sostenuto una campagna a favore dell’apertura delle frontiere ai migranti e negli Stati Uniti ha finanziato un gruppo di animalisti contrario alla sperimentazione animale in un laboratorio dell’Università di Washington e Peaceful Uprising, un gruppo ambientalista che si oppone all’estrazione di sabbie bituminose nello Utah. Infine, in Italia Lush ha sostenuto la campagna Svegliati Italia a favore delle unioni civili per coppie eterosessuali e omosessuali: nei giorni precedenti il 23 gennaio 2016, quando si sono tenute le manifestazioni in sostegno dell’allora disegno di legge Cirinnà, i negozi di Lush distribuivano volantini della campagna e avevano le vetrine addobbate a tema.

Questa campagne sono sostenute anche grazie ai clienti di Lush: il ricavato delle vendite della crema New Charity Pot, ad esempio, viene devoluto ad associazioni del paese o della città in cui si trova il punto vendita. Nel febbraio 2015 i negozi della Campania hanno organizzato una raccolta fondi per la Cooperativa Lazzarelle che offre lavoro alle detenute del carcere di Pozzuoli. Un altro prodotto usato per raccogliere fondi è il bagnoschiuma FUN: per ogni 200 grammi venduti Lush dona 15 centesimi a gruppi che organizzano attività per i bambini nella zona di Fukushima, in Giappone, colpita dal terremoto e dal successivo disastro nucleare.

Insomma, Lush ha puntato sin dall’inizio sulla sostenibilità ambientale e sociale, cercando anche di educare e sensibilizzare la propria clientela. I suoi negozi diventano sempre più sostenibili, anno dopo anno e i prodotti si aprono a nuove tendenze green, come quella dei “naked products” che sono venduti senza packaging, per ridurre il consumo di plastica. E a chi dice che si tratta di iniziative difficili da portare avanti, Mark Constantine risponde che con impegno e dedizione si può arrivare ovunque. Parola di un ex homeless!