L’ambiente è un tema sempre più centrale nella quotidianità di persone e aziende ma forse non è ancora evidente quanto la sostenibilità possa creare economia e lavoro, aprendo un circolo virtuoso. Abbiamo intervistato Noemi De Santis di Junker App, un punto di riferimento per la raccolta differenziata

Realizzare un’impresa che lavori per l’ambiente e per una corretta raccolta differenziata, tra le difficoltà della nostra società, può sembrare una missione impossibile. L’Applicazione gratuita Junker fa parlare direttamente i prodotti, identificandoli uno per uno grazie al codice a barre. In questo modo in 8 anni di attività ha già riconosciuto 1,8 milioni di articoli, “servito” 15 milioni di cittadini e ricevuto 70 milioni di ricerche in App. Inclusiva per indole (12 lingue, non vedenti, ipovedenti), Junker scansiona il codice a barre di un prodotto da gettare, lo riconosce, lo scompone nelle materie prime che lo costituiscono e indica in quali bidoni vanno buttate le varie parti nel proprio Comune di riferimento. Non solo: ha la volontà di coinvolgere sempre di più i giovani, gli anziani e anche i Comuni, ad esempio tramite i fondi del PNRR, il tutto all’insegna dell’economia circolare, della sostenibilità e della clean technology. Abbiamo intervistato Noemi De Santis, co-fondatrice e responsabile comunicazione di Junker.

Junker è un’App che indica come differenziare ogni prodotto. Aiuta quindi a fare la raccolta differenziata in modo semplice, veloce e senza errori. È la dimostrazione del fatto che “fare impresa” e al contempo aiutare l’ambiente è possibile? Avete dati e numeri sulla vostra crescita a questo proposito?

“Assolutamente sì. Questa è stata proprio la nostra più grande scommessa sin dall’inizio. Siamo partiti da un’idea: sfruttare qualcosa che già era presente su tutti gli imballaggi e indicava in modo univoco i prodotti, ossia il codice a barre, per dare agli utenti uno strumento smart per sapere come differenziare correttamente i packaging. Era un’idea così semplice da sembrare rivoluzionaria. Quando si è trattato di svilupparla, però, non abbiamo trovato nessun investitore che ci credesse. E quindi siamo andati avanti da soli, senza investimenti esterni, crescendo in modo sostenibile anno dopo anno. Nel 2021 abbiamo superato il milione di fatturato”.

Come mai avete scelto proprio il muso di una zebra per il vostro logo?

“Non il muso, ma il manto! Cercavamo una mascotte per rendere immediatamente riconoscibile e ‘amichevole’ la nostra app anche ai bambini nelle scuole. Da qui la zebra, perché il suo manto è una specie di codice a barre naturale – e no, non c’entra il calcio! -“.

In generale, fare la raccolta differenziata in Italia è facile o è difficile?

“La raccolta differenziata e, più in generale, la gestione dei rifiuti sono una metafora perfetta della società post-moderna: sono argomenti assai complessi, che discendono da precise scelte politiche ed economiche, hanno importanti ricadute ambientali e implicano questioni tecniche e logistiche tutt’altro che banali. Eppure, nell’immaginario comune, differenziare sembra un’operazione facile e chiunque pensa di poterne discutere, pure senza avere alcuna competenza. Anche sui media di ogni livello e genere se ne scrive in continuazione, spesso in modo sbagliato, incompleto o non valido in tutti i territori, diffondendo in modo esponenziale info scorrette che generano migliaia di conferimenti sbagliati, che qualcuno finirà per pagare. Una parte importante del nostro lavoro è proprio contrastare le fake news, contattare i giornalisti per spiegare e chiedere rettifiche.

Questo succede perché non ci si informa a sufficienza sulle ricadute economiche di una raccolta differenziata ‘sporca’, sul funzionamento degli impianti di trattamento, sulle leggi fisiche che sottendono il sistema stesso di gestione dei rifiuti, a partire dalla più elementare legge di conservazione della massa: nulla si crea e nulla si distrugge. Il risultato è che alla maggior parte delle persone ancora oggi non è chiaro che si avviano a riciclo solo gli imballaggi o che le regole che valgono nel mio Comune non sono le stesse di quello accanto o di quello in cui vado in vacanza. In una recente indagine commissionata dal Consorzio CONAI, abbiamo mappato in Italia 5 sistemi – stradale, porta a porta, misto… – e addirittura 34 diverse modalità di raccolta differenziata! Questo vuol dire che uno stesso materiale – ad esempio il cartone per bevande – può essere conferito anche in 4 modi diversi a seconda del Comune in cui si trova l’utente. Eterogenei sono anche i colori dei cassonetti: quello della carta può presentarsi addirittura in 6 colori diversi da un Comune all’altro! Junker aiuta a non fare confusione, perché tutte le info sono geolocalizzate e insegna ai cittadini a distinguere i materiali, ad esempio una bioplastica da una plastica da fonte fossile”.

Quali sono i prodotti più cercati dagli utenti, quelli più difficili da “buttare” nel modo giusto?

“I prodotti più ricercati su Junker sono, grosso modo, gli stessi in tutta Italia, segno che si tratta di tipologie di imballaggi che generano confusione un po’ in tutte le famiglie, perché il loro aspetto, il materiale di cui sono fatti, addirittura il loro nome è simile a quello di altri prodotti che vengono conferiti in una certa raccolta. Tra gli imballaggi più ‘terribili’ ci sono senza dubbio i ‘poliaccoppiati’, ossia gli imballaggi composti da diversi strati di materiali, non separabili manualmente. Ai primi posti della classifica di Junker troviamo quindi i pacchi dei biscotti, il sacchetto del caffè, la bustina del lievito, i blister dei farmaci e il cartone per bevande. In questo ultimo caso, la questione è complicata anche dal fatto che il cartone per bevande viene smaltito in modi diversi a seconda delle regole del Comune in cui si trova.

Due grandi classici sono poi le vaschette di polistirolo e il cartone della pizza, che si differenzia in modo diverso a seconda del fatto che sia sporco o pulito. E come dimenticare i cosiddetti ‘falsi amici’ del vetro? Bicchieri innanzitutto, ma anche pirofile in pyrex e altri oggetti in cristallo: seppur simili al vetro, hanno caratteristiche non compatibili con il riciclo del vetro. Un capitolo a parte riguarda quegli imballaggi che sembrano fare riferimento alla carta, ma in realtà vanno nell’indifferenziato: la carta termica, cioè quella degli scontrini, la carta oleata usata per rivestire panini e focacce, così come la carta forno, che invece è carta siliconata. E poi, ancora, le lampadine, i gusci dei molluschi, il dentifricio, i tappi di sughero… vogliamo scommettere che chiunque di noi, almeno una volta nella vita, ha sbagliato a differenziarli?”

Junker promuove i piccoli gesti quotidiani all’insegna della sostenibilità, dal riuso dei materiali alla sensibilizzazione dei turisti e degli studenti: come reagiscono ai temi ambientali queste categorie di persone e in particolare i più giovani?

“Nelle scuole si fa ormai da anni un lavoro costante di educazione ambientale. Gli studenti, anche quelli molto piccoli, sono quindi quasi naturalmente sensibili sui temi della sostenibilità e della circolarità e spesso se ne fanno ambasciatori anche a casa. Con le giovani generazioni quindi si tratta più che altro di fornire contenuti qualificati, per far germogliare dei semi di consapevolezza che sono già ben radicati.

La cosa più stupefacente è vedere quanto anche le terze età siano attente e interessate a migliorare la propria raccolta differenziata, al punto da imparare a usare un’app! Abbiamo moltissimi utenti anziani e questo è per noi fonte di grande orgoglio. Nello sviluppo di Junker d’altronde abbiamo lavorato per far sì che nessuna categoria fosse lasciata indietro: abbiamo quindi inserito bottoni grandi e colori in contrasto, reso l’app accessibile anche ai non vedenti e ipovedenti e tradotto tutte le info in ben 12 lingue, così che l’app fosse usabile anche dai turisti e i lavoratori stranieri”.

Oltre a “guidare” i cittadini, offrite i vostri servizi ad altre realtà: quali sono le principali difficoltà affrontate dalle imprese e dalle amministrazioni sul piano ambientale?

“Il nostro modello di business è dare servizi ai Comuni per svolgere il dovere istituzionale di informare i cittadini ma anche essere compliant con i nuovi obiettivi di riciclo stabiliti a livello europeo e con le nuove normative, tra cui gli obblighi di trasparenza e verifica periodica della qualità e l’efficacia dei servizi offerti, fissati dalla direttiva ARERA n. 444. All’inizio è stato difficile far comprendere il linguaggio e le opportunità derivanti dal digitale, proprio per mancanza di cultura specifica da parte delle amministrazioni. Ma, man mano che si diffondevano i nostri risultati nei Comuni che per primi avevano scommesso su Junker, altri Comuni si abbonavano e attivavano percorsi per loro nuovi. L’accelerata in materia di regolamentazioni, il fatto che nei bandi di affidamento della raccolta rifiuti le app fossero sempre più una richiesta costante, ci ha permesso di espanderci moltissimo e affermarci come piattaforma digitale collaborativa per la creazione di valore. Oggi, poi, i bandi del PNRR costituiscono una grande opportunità per integrare Junker app, perché prevedono contributi a fondo perduto per migliorare la raccolta differenziata”.

Uno dei principi attorno a cui ruota Junker è l’economia circolare. In Italia a che punto è arrivata la diffusione di questa “cultura”?

“Per rispondere a questa domanda, è necessario fare una precisazione: noi abbiamo un punto di vista privilegiato su una community molto ampia – 1,9 milioni di utenti attivi -, ma non rappresentativa della società italiana nel suo complesso. Gli utenti di Junker sono infatti persone particolarmente sensibili e mediamente più informate, come dimostrano i risultati dei nostri sondaggi periodici su questioni di economia circolare. Detto questo, all’interno della nostra community abbiamo visto crescere moltissimo la consapevolezza della necessità di modificare abitudini di consumo e modelli di produzione, anche sotto la spinta dell’emergenza climatica. La scommessa è valorizzare e rispettare questa crescente sensibilità, tenendo sempre alto il livello di attenzione nei confronti di iniziative che di green hanno solo la facciata o che non tengono in considerazione l’intero ciclo di vita dei processi e dei materiali adottati, perché la circolarità non fa sempre rima con sostenibilità”.

Siete un punto di riferimento per l’imprenditoria “cleantech”. Quali sono le ultime novità e innovazioni che si stanno facendo strada in questo settore?

“Si tratta sicuramente di un settore in rapida e costante crescita, su cui si sta puntando molto anche a livello europeo. Oserei dire che la clean technology è destinata a diventare una pre-condizione del fare impresa. Nel nostro campo entriamo spesso in contatto con progetti e realtà interessanti, ma non mi sento di poter definire un trend preciso”.

Nel vostro mondo l’Intelligenza Artificiale viene già impiegata?

“Sì, già da tempo, ma principalmente in ambito industriale. Junker è stata la prima ed è tuttora l’unica app ad applicare, in esclusiva, le tecnologie di Machine Learning e Image Recognition per il riconoscimento fotografico dei rifiuti. Grazie a questa funzione, per sapere come differenziare un prodotto o un oggetto, gli utenti possono anche inquadrarlo con la fotocamera dello smartphone. Il sistema, grazie ad algoritmi e classificatori, lo riconosce e fornisce tutte le informazioni sui materiali che lo compongono e sulle corrette modalità di conferimento. Un servizio particolarmente utile per identificare gli oggetti senza codice a barre”.

Secondo voi, chi sono i “green heroes” di oggi?

“Dal nostro punto di vista di azienda, i ‘green heroes’ sono quelli che riescono a fare business rispettando la sostenibilità in tutte le sue declinazioni: ambientale, economica e sociale. Le storie di molti di loro – tra cui, modestamente, c’è anche Junker! – sono state raccontate all’interno del progetto – che si chiama proprio ‘Green Heroes’ – promosso da Annalisa Corrado e Alessandro Gassman, con il supporto scientifico degli esperti di Kyoto Club.

Si tratta di piccole grandi rivoluzioni verdi che dimostrano che un altro mondo è davvero possibile e soprattutto è auspicabile. È dimostrato infatti che le aziende che investono in sostenibilità sono anche quelle che producono ed esportano di più e hanno una maggiore solidità nel medio-lungo periodo, perché creano un rapporto di fidelizzazione con i clienti e sono aperte all’innovazione”.