Negli ultimi anni, i casi di cronaca in cui uomini sono accusati di violenza di genere hanno scosso l’opinione pubblica, portando spesso a polarizzazioni nette. Ma come dovrebbe comportarsi un uomo accusato di violenza, soprattutto se ricopre un ruolo pubblico?

Il dibattito sull’accusa di violenza di genere

Quando emerge un’accusa, si creano due schieramenti principali. Da una parte, c’è chi sostiene incondizionatamente la vittima, aderendo al principio del “Sorella, io ti credo”. In una società patriarcale, questa visione parte dalla premessa che le donne abbiano il diritto a essere credute per prime. Dall’altra, c’è chi difende la presunzione di innocenza, un principio cardine della giustizia che garantisce che l’accusato sia considerato innocente fino a prova contraria.

Questi due approcci sembrano spesso inconciliabili, ma è davvero necessario scegliere tra di essi? Un confronto costruttivo potrebbe bilanciare il rispetto per le vittime con l’esigenza di indagini giuste ed equilibrate.

Il caso di Leonardo Caffo alla fiera “Più libri più liberi”

Il tema è tornato d’attualità durante l’ultima edizione della fiera dell’editoria indipendente “Più libri più liberi”, dedicata quest’anno alla memoria di Giulia Cecchettin, vittima di femminicidio nel 2023. Tra gli ospiti invitati c’era il filosofo Leonardo Caffo, imputato in un processo per maltrattamenti e lesioni aggravate contro l’ex compagna, con sentenza prevista il 10 dicembre.

La sua partecipazione ha suscitato polemiche, portando lo stesso Caffo a rinunciare all’invito. Chiara Valerio, curatrice della fiera, ha spiegato che, nonostante le critiche, il suo intervento – inizialmente legato alla presentazione di un saggio sull’anarchia – avrebbe potuto essere un’occasione per il confronto. Valerio ha riconosciuto le motivazioni delle proteste, ma ha criticato i toni eccessivi utilizzati, difendendo l’importanza del dialogo in uno spazio culturale.

Come bilanciare ascolto e presunzione di innocenza

La vicenda di Caffo pone un interrogativo più ampio: come dovrebbe comportarsi la società, ma anche l’individuo accusato, di fronte a casi simili?

È fondamentale evitare di ridurre il dibattito a una scelta tra credere ciecamente alla vittima o proteggere sempre l’accusato. Un equilibrio si può trovare partendo da due principi:

  1. Ascolto e rispetto per le vittime
    Le denunce di violenza di genere sono spesso sottostimate, e chi denuncia si scontra con ostacoli culturali e istituzionali. Creare un ambiente in cui le vittime si sentano supportate e credute è essenziale per evitare che il silenzio prevalga.
  2. Presunzione di innocenza
    Questo principio giuridico resta imprescindibile: chiunque sia accusato di un crimine è innocente fino a prova contraria. Tuttavia, questo non deve diventare un pretesto per ignorare le accuse o rimandare decisioni necessarie.

Cosa fare in caso di accuse?

L’equilibrio si trova nel bilanciare il rispetto per le vittime con un’indagine equa. Questo significa:

  • Accogliere le denunce con serietà.
  • Garantire una giustizia rapida.
  • Proteggere i diritti e la reputazione dell’accusato, ma anche salvaguardare la fiducia pubblica.

La valutazione delle accuse dovrebbe considerare il contesto. Se emergono prove credibili, l’imputato dovrebbe assumersi la responsabilità di dimettersi o allontanarsi dai ruoli pubblici. In assenza di evidenze concrete, soluzioni come l’autosospensione o una limitazione della partecipazione pubblica possono rappresentare un compromesso.

Responsabilità e trasparenza

Quando un uomo accusato di violenza di genere è mediaticamente esposto, la sua condotta deve essere guidata da responsabilità e trasparenza. Ogni situazione richiede un approccio misurato, evitando sia giudizi affrettati sia il rischio di ignorare la gravità delle accuse.

Solo attraverso un equilibrio tra ascolto delle vittime e rispetto delle garanzie per l’accusato si può costruire una società più giusta, che non sacrifichi né la fiducia nelle istituzioni né la tutela dei diritti di chi denuncia.